Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


È la rule of law a proteggere il bilancio dell'Unione o viceversa? La nuova proposta di regolamento «sulle carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto» (di Andrea Circolo, Dottorando di Ricerca in Diritto dell'Unione Europea,Università "Parthenope" di Napoli)


La proposta di regolamento «sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri» costituisce l’ultima delle risposte alla recente crisi applicativa della rule of law nell’ordinamento dell’Unione. Il sostanziale fallimento dell’art. 7 TUE ha richiesto infatti una ridefinizione del quadro di tutele da parte di tutte le istituzioni europee coinvolte nella supervisione sulla corretta applicazione del diritto dell’Unione. Ed è in questo contesto che si inserisce la proposta di regolamento in esame, che permetterebbe alla Commissione di accertare in prima battuta le «carenze generalizzate per quanto riguarda lo Stato di diritto» e di presentare al Consiglio una proposta di decisione sulle misure finanziarie più idonee da adottare. Tuttavia, nonostante l’obiettivo fissato con la proposta sia senza dubbio lodevole e sebbene sia vero che tale meccanismo risulta essere incisivo dal punto di vista delle tutele, non può sottovalutarsi la circostanza che esso sollevi più di qualche dubbio circa la sua compatibilità con i Trattati.

Is the Rule of Law Protecting the Eu's Budget or Vice Versa? The Proposal for a Regulation in Case of Generalised Deficiencies as Regards the Rule of Law

The proposal for a Regulation «on the protection of the Union’s budget in case of generalised deficiencies as regards the rule of law in the Member States is the latest in a series of responses to the recent crisis in the application of the rule of law in the European Union. The substantial failure of Article 7 TEU has required a redefinition of the framework of safeguards by all EU institutions involved in the supervision of the correct application of EU law. It is in this context that the proposal under examination is inserted. It would allow the Commission to ascertain, in the first instance, the generalised deficiencies as regards the rule of law and, then, to present to the Council a proposal for a decision on the most appropriate financial measures to be adopted. However, despite the fact that the objective to be achieved by this proposal is undoubtedly laudable and although it is true that this mechanism appears to be incisive from the point of view of safeguards, the fact that it raises more than a few doubts as to its compatibility with the Treaties cannot be underestimated.

KEYWORDS: Founding values – Rule of law – Article 7 TEU – Proposal for a regulation – Union’s budget

SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. La proposta di regolamento. - III. Segue: La posizione del Parlamento in prima lettura. - IV. Questioni di compatibilità con la normativa primaria. - V. Conclusioni. - NOTE


I. Introduzione.

La proposta di regolamento «sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri» [1] costituisce l’ultima delle risposte alla recente crisi applicativa della rule of law nel­l’ordinamento dell’Unione. Risposta che merita un’accurata riflessione, dal mo­mento che lo Stato di diritto rappresenta uno dei valori su cui si fonda l’intera architettura europea (art. 2 TUE) [2]. Valori o princìpi, che dir si voglia, questi non costituiscono infatti «mere enunciazioni ideali e politiche» [3], bensì la condizione essenziale per la sopravvivenza di un’«Unione di diritto» [4] quale mira ad essere l’Unione europea fin dalla giurisprudenza Les Verts [5]. Proprio perché lo Stato di diritto costituisce uno dei princìpi che l’Unione mutua dalle tradizioni costituzionali comuni di tutti gli Stati membri, in via di principio, i diversi ordinamenti giuridici nazionali dovrebbero disporre di adeguati meccanismi di tutela, innanzitutto giurisdizionali [6]. Tuttavia, alcune vicende, oramai non più recenti, hanno evidenziato esattamente il contrario. Come noto, il principio dello Stato di diritto è stato seriamente messo a rischio dagli avvenimenti che hanno coinvolto e continuano a coinvolgere principalmente due Stati membri dell’Unione, la Polonia e l’Ungheria [7]. A cui si sono aggiunte forti preoccupazioni per talune situazioni sorte in Romania [8], in Slovacchia [9] e a Malta [10]. Precisamente, la violazione del principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura e, in generale, del libero funzionamento del sistema costituzionale, ha reso necessaria l’attivazione della specifica procedura che i Trattati destinano a garanzia dei valori fondanti dell’Unione, ossia la c.d. clausola di sospensione, prevista all’art. 7 TUE [11]. Nondimeno, al momento della sua prima e vera applicazione, tale meccanismo, di natura prettamente intergovernativa, si è rivelato nella sostanza inefficace. In un certo senso, può sostenersi che gli Stati membri siano rimasti intrappolati nelle loro stesse “cautele diplomatiche”. Le complessità procedurali e le soglie di voto «ne hanno reso [continua ..]


II. La proposta di regolamento.

In questo contesto si inserisce la proposta di regolamento in esame, parte integrante del pacchetto di bilancio a lungo termine dell’Unione (QFP 2021-2027). L’obiettivo della proposta è subordinare l’accesso ai fondi europei da parte degli Stati membri all’effettivo rispetto del principio dello Stato di diritto. Invero, la Commissione ha giustamente rilevato che «l’economia europea prospera al massimo laddove il quadro giuridico e istituzionale rispecchia appieno i valori comuni dell’Unione» [14]. In assenza di tale condizionalità politica, il rischio è che la spesa dell’Unione negli Stati membri non sia adeguatamente tutelata. Da qui la necessità di porre in essere sistemi di controllo efficaci che tutelino (in)direttamente il bilancio dell’Unione. Senza l’adozione di misure volte ad assicurare l’applicazione dello Stato di diritto, ad essere in pericolo, secondo la Commissione, sono infatti anche gli interessi finanziari dell’Unione [15]. La proposta permetterebbe alla Commissione di accertare in prima battuta le «carenze generalizzate per quanto riguarda lo Stato di diritto» e di presentare al Consiglio una proposta di decisione sulle misure finanziarie più idonee da adottare. Va subito osservato che per carenze generalizzate deve intendersi qualsiasi comportamento attivo od omissivo – che sia reiterato – volto a compromettere il principio dello Stato di diritto (art. 2), e, segnatamente, il corretto funzionamento delle autorità (nazionali) che eseguono il bilancio del­l’Unione, dei servizi responsabili delle indagini e dell’azione penale, e degli organi giurisdizionali indipendenti; l’imposizione di sanzioni effettive; la repressione delle frodi e delle attività corruttive, etc. (art. 3, par. 1). Il par. 2 dell’art. 3 elenca esempi concreti di carenze generalizzate, tra i quali le minacce all’indipendenza della magistratura; l’assenza di controllo e di repressione sulle condotte illegittime assunte dalle autorità pubbliche; la presenza di conflitti di interesse; la mancata esecuzione delle sentenze; la riduzione (dell’efficacia) delle vie di ricorso; la mancata attivazione dell’azio­ne penale. Tale elenco non è comunque da considerarsi tassativo, giacché il carattere meramente descrittivo della [continua ..]


III. Segue: La posizione del Parlamento in prima lettura.

Occorre far presente che il Parlamento si è già pronunciato sulla proposta summenzionata in prima lettura [25]. Nonostante siano numerosi gli emendamenti proposti, l’impianto principale della proposta della Commissione risulta in realtà confermato. Invero, il Parlamento considera il futuro regolamento uno strumento capace di garantire «la coerenza e corrispondenza della politica interna ed esterna in materia […] di Stato di diritto […]» [26], obiettivo essenziale per la credibilità dell’Unione. Vanno comunque evidenziate le modifiche più incisive che ruotano principalmente attorno a due questioni: il c.d. “dilemma di Copenaghen” e la funzione del Parlamento nella procedura di sanzionamento. Con riferimento alla prima, il continuo richiamo al rapporto che lega il rispetto dei valori fondanti, tra cui lo Stato di diritto, e l’art. 49 TUE dimostra l’intenzione del Parlamento di risolvere il paradosso per cui ai Paesi candidati all’adesione viene richiesto il rispetto dei valori fondanti dell’Unione, rispetto la cui violazione non è efficacemente censurabile dopo l’adesione stessa [27]. In questo modo, la nuova procedura assicurerebbe che gli Stati membri siano sottoposti a «valutazioni periodiche per verificare che le loro leggi e prassi continuino a rispettare tali criteri nonché i valori comuni su cui si fonda l’Unione» [28]. Più considerevoli si dimostrano però gli emendamenti relativi al ruolo dello stesso Parlamento nell’adozione delle misure sanzionatorie. L’assem­blea parlamentare ha proposto che la decisione sul congelamento dei fondi e sulla revoca della stessa sia adottata congiuntamente con il Consiglio, sul presupposto che, così come presentata dalla Commissione, la proposta non avrebbe riguardo della funzione di bilancio che i Trattati riservano ad essa stessa [29]. Se gli emendamenti a riguardo dovessero essere accettati dal Consiglio, il Parlamento acquisirebbe la sua stessa dignità di voto anche in relazione alla tutela di un valore fondante quale lo Stato di diritto. Ciò non solo è auspicabile, ma altresì possibile, giacché l’adozione del regolamento deve sottostare al voto e alle modifiche del Parlamento in virtù della base giuridica prescelta [30]. Non bisogna comunque [continua ..]


IV. Questioni di compatibilità con la normativa primaria.

A bene vedere, dunque, se è vero che tale meccanismo risulta essere incisivo dal punto di vista delle tutele, è altresì vero che esso solleva più di qualche dubbio circa la sua compatibilità con i Trattati [33]. Innanzitutto, il rimedio individuato corre il rischio di sovrapporsi al sistema che i Trattati già predispongono a difesa dello Stato di diritto, ovvero l’art. 7 TUE. Tale regolamento andrebbe infatti a censurare le stesse violazioni (sistemiche e non una tantum) allo stesso principio (lo Stato di diritto) e nella stessa misura, dal momento che la sospensione dei fondi e/o degli impegni non è altro che la sospensione di un diritto riconosciuto agli Stati membri dai Trattati. Non appare chiaro, dunque, sulla base di quali criteri le istituzioni dovrebbero essere chiamate ad utilizzare l’uno o l’altro meccanismo. Appare evidente invece non solo che le due procedure rischiano di entrare in conflitto, ma che il nuovo sistema sia un escamotage volto ad aggirare la revisione dei Trattati e l’unanimità necessaria a riformare a livello di normativa primaria il sistema di tutela preesistente [34]. Invero, stupisce parecchio che, nell’analisi della coerenza con le disposizioni vigenti, la Commissione non faccia alcun riferimento all’altro strumento di tutela degli stessi valori, qual è l’art. 7 TUE [35]. Notevoli perplessità sorgono, inoltre, con riferimento alla base giuridica individuata dalla Commissione per la proposta. L’art. 322, par. 1, lett. a) TFUE riconosce in capo a Parlamento e Consiglio il potere di adottare regolamenti per la definizione «[del]le regole finanziarie che stabiliscono in particolare le modalità relative alla formazione e all’esecuzione del bilancio». La Commissione giustifica tale scelta alla luce del nesso che legherebbe Stato di diritto e bilancio dell’Unione: la predisposizione di un meccanismo a garanzia dello Stato di diritto è capace di tutelare, di riflesso, anche gli interessi finanziari dell’Unione. Il meccanismo costituirebbe perciò una regola finanziaria che attiene tanto alla formazione quanto all’esecuzione del bilancio. Infatti, secondo la Commissione, gli Stati membri possono garantire una sana gestione finanziaria e un corretto utilizzo dei finanziamenti europei solo se le autorità pubbliche agiscono [continua ..]


V. Conclusioni.

È opportuno, dunque, domandarsi se la proposta di regolamento riuscirà ad ottenere la maggioranza richiesta in seno al Consiglio ed eventualmente a superare il vaglio di legittimità della Corte. Su impulso della Presidenza austriaca (luglio-dicembre 2018), il progetto di regolamento è stato già oggetto di ampio dibattito [40]. Ed è emersa una divisione degli Stati membri in tre gruppi: a favore della proposta della Commissione, nella sua attuale formulazione, si sono espressi Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia; del tutto contrari si sono detti Polonia e Ungheria. Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Slovacchia e Italia sostengono invece la necessità di emendare il testo per le diverse criticità sopra esposte. Un recentissimo documento della Commissione apre però più di uno spiraglio: «[…] Significant progress has been made at technical level, which should allow for an agreement in the Council under the Finnish Presidency [luglio-dicembre 2019]» [41]. In definitiva, sebbene sia comprensibile il desiderio di difendere ad ogni costo lo Stato di diritto, non può nascondersi la perplessità che ciò avvenga aggirando evidenti ostacoli giuridici. Non condivisibile appare oltretutto l’intento di subordinare la tutela dei valori fondanti a procedure di carattere intergovernativo, vista l’evidente inefficacia dell’art. 7 TUE. Viceversa, sembra quantomai apprezzabile il tentativo del Parlamento europeo di invertire la rotta in direzione della “comunitarizzazione” dello strumento di tutela. Per l’affermazione di «una cultura condivisa dello Stato di diritto […], presuppost[o] essenzial[e] della legittimità del progetto europeo nel suo complesso e condizione fondamentale per consolidare la fiducia dei cittadini nell’Unione e garantire l’efficace attuazione delle sue politiche» [42].


NOTE