Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La vicenda Taricco e il dialogo (?) tra giudici nazionali e Corte di giustizia (di Chiara Amalfitano, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università Statale di Milano.)


Il contributo esamina la c.d. saga Taricco. Dopo aver ripercorso i passaggi fondamentali della sentenza della Corte di giustizia dell’8 settembre 2015 e la reazione della giurisprudenza italiana, sfociata in un nuovo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale, l’A. si sofferma sulla sentenza del 5 dicembre 2017 (causa M.A.S. e M.B.) e le precisazioni che essa apporta alla “regola Taricco” fissata nel 2015. L’A., nel sottolineare i profili critici della pronuncia, evidenzia come la rilettura manipolativa della prima sentenza pregiudiziale non implichi (comunque) una ritrazione del primato del diritto dell’Unione, bensì un diverso bilanciamento degli interessi in gioco, entrambi tutelati da norme di diritto dell’Unione. Nella più recente pronuncia si ammette che il principio di legalità prevalga sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione, legittimando il giudice nazionale a non disapplicare la normativa nazionale contrastante con l’art. 325 TFUE se ciò comporta una violazione del menzionato principio. L’A. analizza, quindi, i nodi irrisolti della sentenza quanto al ruolo del giudice e del legislatore nazionali per dare piena attuazione agli obblighi che discendono dall’art. 325 TFUE e dalla direttiva (UE) 2017/1371; e nella parte finale esamina la presa di posizione della Consulta nella sentenza n. 269/2017 e le criticità che essa solleva, auspicando che il dialogo tra Corti prosegua in modo proficuo.

The article examines the Taricco saga. The Author shortly analyses the ECJ judgment of 8 September 2015 and the reaction of the Italian courts, that led to a new preliminary reference by the Italian Constitutional Court; then she focuses on the judgment of 5 December 2017 (case M.A.S. and M.B.) and the clarifications that it brings to the “Taricco rule” set in 2015. The Author underlines the critical passages of the decision and points out that the manipulative rereading of the first judgment does not imply a relativization of the primacy of EU law, but a different balance between the interests at stake, both protected by EU law. According to the most recent judgment, the principle that offences and penalties must be defined by law prevails over the protection of the financial interests of the Union; hence, national judges are not obliged to disapply the domestic legislation conflicting with Article 325 TFEU if that disapplication entails a breach of the aforementioned principle. The Author investigates, therefore, the unsolved issues of the judgment regarding the role of national judges and the Italian legislator in implementing the obligations stemming from Article 325 TFEU and Directive (EU) 2017/1371/EU. In the last part of the work, she examines the position taken by the Italian Constitutional Court in judgment no. 269/2017 and the main legal questions it raises, advocating that the dialogue between Courts will continue in a fruitful way.

KEYWORDS

Statute of limitations – Principle that offences and penalties must be defined by law – Primacy of EU law – Counter-limits – Dialogue between judges

SOMMARIO:

I. Premessa. - II. L’approccio funzionalistico della Corte di giustizia nella sentenza Taricco. - III. La reazione (orgogliosa, ma almeno formalmente aperta al dialogo) della Corte costituzionale. - IV. Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia nella causa M.A.S. e M.B. - V. Le conclusioni (preoccupanti) dell’avvocato generale e la conferma (rectius, l’irrigidimento) della 'regola Taricco'. - VI. La soluzione della Corte di giustizia: una rilettura manipolativa del precedente Taricco. - VII. Il compito del giudice nazionale e l’intervento necessario (?) del legislatore italiano. - VIII. 'Fu vera gloria?'. - NOTE


I. Premessa.

I. Il 5 dicembre 2017, giorno in cui è stata pronunciata la sentenza nella causa M.A.S. e M.B. [1], sarà senza dubbio ricordato come una data storica. La sentenza testé menzionata, infatti, era tanto attesa quanto temuta, per l’effetto dirompente che avrebbe potuto produrre nell’ordinamento costituzionale italiano laddove la Corte di giustizia avesse deciso di non seguire i suggerimenti della nostra Corte costituzionale circa la possibile diversa interpretazione da fornire all’art. 325 TFUE, ma piuttosto di confermare o addirittura irrigidire il dictum di cui alla pronuncia Taricco e a. [2], sulla scia di quanto argomentato dall’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni del 18 luglio 2017 [3]. La Corte di Lussemburgo decide invece, di disinnescare la miccia dei controlimiti, il cui impiego era stato minacciato in modo tutt’altro che velato dai giudici della Consulta nella loro ordinanza di rinvio pregiudiziale del 26 gennaio 2017. Così facendo essa (ac)coglie (nell’ordinamento dell’Unione europea) le specificità del regime italiano dell’istituto della prescrizione ed evita, appunto, il conflitto interordinamentale, assicurando la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo rilevanti in virtù del principio di legalità di cui all’art. 49 Carta. Tuttavia, come meglio si dirà nel prosieguo della trattazione, la sentenza della Corte di giustizia non convince appieno: il suo ragionamento appare talora frettoloso, ambiguo e incoerente rispetto alla consolidata giurisprudenza “comunitaria”, nonché viziato da qualche lacuna e da passaggi che, a nostro parere, avrebbero potuto essere sviluppati in ordine invertito rispetto a quello seguito dalla Grande Sezione [4]. Certo però è assai più facile da osservatore esterno riscontrare le incongruenze e i difetti argomentativi del ragionamento della Corte piuttosto che suggerire soluzioni giuridiche valide e percorsi logici alternativi. E in tutta l’analisi che seguirà non potrà mai perdersi di vista la delicatezza delle questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio dei giudici di Lussemburgo nel caso in esame. Delicatezza anche politica e di gestione dei rapporti tra ordinamento sovranazionale e nazionale, essendo la Corte di giustizia chiamata a pronunciarsi sulla sostanziale rilevanza dei [continua ..]


II. L’approccio funzionalistico della Corte di giustizia nella sentenza Taricco.

II. Prima di addentrarci nell’analisi della sentenza M.A.S. e M.B., pare opportuna una sintesi dei passaggi fondamentali dell’intera vicenda Taricco, in particolare dei punti chiave della decisione della Corte di giustizia del settembre 2015 e della successiva reazione delle corti nazionali e della Consulta, nonché delle menzionate conclusioni dell’avvocato generale Bot. Benché si tratti di vicenda assai nota – la sentenza Taricco è tra le più commentate, se non la più commentata (senz’altro in Italia), in sessant’anni di storia di integrazione europea [6] – una ricostruzione del contesto giuridico di riferimento consentirà di meglio comprendere la più recente pronuncia dei giudici del Kirchberg. Nella sentenza dell’8 settembre 2015 la Corte di giustizia sviluppa le proprie argomentazioni mossa dalla volontà di perseguire un obiettivo chiarissimo, quello di assicurare “costi quel che costi” l’effettiva applicazione dell’art. 325, parr. 1 e 2, TFUE, per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea. A tal fine, senza dilungarsi in approfondite disamine e con affermazioni a tratti apodittiche, essa dispone che il giudice nazionale deve disapplicare la normativa italiana controversa (quella sull’allungamento massimo dei termini di prescrizione di cui agli artt. 160 e 161 c.p. [7]), se (i) la frode IVA rilevante è «grave» e si verifica in un «numero considerevole di casi» o se (ii) la normativa che tutela corrispondenti interessi finanziari nazionali è sorretta da un regime di prescrizione più efficace/dissuasivo di quello applicabile ai reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione [8]. Tale disapplicazione – afferma per inciso la Corte – non potrebbe operare se si riscontrasse una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo [9]. E benché, ancor più incidentalmente, la verifica di siffatta violazione sembri rimessa dai giudici di Lussemburgo al giudice nazionale [10], nella sostanza la valutazione de qua è effettuata dai primi, che giungono ad escludere qualsivoglia violazione [11]. L’obbligo di disapplicazione, al verificarsi delle menzionate condizioni, impone al giudice nazionale di individuare la disciplina applicabile al giudizio [continua ..]


III. La reazione (orgogliosa, ma almeno formalmente aperta al dialogo) della Corte costituzionale.

III. Le reazioni alla sentenza della Corte di giustizia non si sono fatte attendere [31]. Per lo più criticata in dottrina, dove è stata definita addirittura eversiva [32], di essa è stata fatta immediata applicazione, ad esempio, dalla III sez. penale della Cassazione che, in data 17 settembre 2015, disapplicando la normativa nazionale controversa, ha proseguito il procedimento che, altrimenti, avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione [33]. Quindi, la IV sez. penale, nel gennaio 2016, verificando le condizioni di disapplicazione fissate dalla Taricco e ritenendole insussistenti, ha ammesso la persistente applicabilità del regime interno di prescrizione [34]. La Corte di appello di Milano, invece, solo dieci giorni dopo l’emanazione della Taricco – procedendo rispetto a frodi fiscali ritenute gravi e che sarebbero prescritte ove si fosse applicato il regime controverso di prescrizione e ritenendo che l’impunità derivante da tale applicazione ricorresse in un numero considerevole di casi – ha sollevato una questione di legittimità costituzionale: essa ha infatti ritenuto che la lettura data dal giudice di Lussemburgo all’art. 325, parr. 1 e 2, TFUE non sia compatibile con l’art. 25, comma 2, Cost. [35]. A tale presa di posizione si è allineata, qualche mese dopo, la stessa III sez. penale della Cassazione che, nel rimettere gli atti alla Consulta, ha richiesto che venisse sostanzialmente espunta dal nostro ordinamento la legge di esecuzione al trattato di Lisbona nella parte in cui ha consentito l’ingresso dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia al menzionato art. 325 TFUE, evidenziando come essa violasse, non solo l’art. 25, comma 2, Cost., ma altresì gli artt. 3, 11, 24, 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost. [36]. Nonostante alcune voci critiche in dottrina circa l’opportunità di “scomodare” il controlimite (specie il principio di legalità in materia penale operativo anche) rispetto all’istituto della prescrizione e, addirittura, rispetto al regime prescrizionale per reati che ledono, prima ancora che gli interessi finanziari dell’Unione, quelli dello Stato [37], la Consulta ritiene fondata la tesi dei giudici rimettenti e, senza impiegare direttamente il controlimite, come pur da alcuni auspicato [38], ne [continua ..]


IV. Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia nella causa M.A.S. e M.B.

IV. I quesiti pregiudiziali della Consulta sono accompagnati dalla richiesta di trattare la causa con procedimento accelerato, richiesta motivata in virtù del «grave stato di incertezza sul significato da attribuire al diritto dell’Unione, incertezza che riguarda processi penali pendenti e che è urgente rimuovere quanto prima. Non può inoltre sfuggire la prioritaria importanza delle questioni di diritto che sono state sollevate e l’’utilità che i relativi dubbi vengano eliminati il prima possibile» [51]. Il giudice di Lussemburgo accoglie la richiesta con ordinanza del 28 febbraio 2017, rilevando che «una rapida risposta della Corte è tale da eliminare le gravi incertezze che il giudice del rinvio esprime rispetto all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione in un numero considerevole di casi in materia di diritto penale» e specificando che alla luce delle menzionate «incertezze, che riguardano questioni fondamentali di diritto costituzionale nazionale e di diritto dell’Unione, le [...] circostanze del caso [in esame giustificano] il rapido trattamento» della causa, ex art. 105, par. 1, del regolamento di procedura [52]. Si tratta, senz’ombra di dubbio, di un procedimento accelerato un po’ anomalo quanto ai tempi di svolgimento se confrontato con gli altri procedimenti sottoposti allo stesso tipo di trattamento. In base alle statistiche ufficiali della Corte, infatti, siffatti tipi di procedimento si concludono, di regola, in 5/6 mesi. Nella causa in esame la sentenza della Corte è stata pronunciata ben 10 mesi dopo il deposito in cancelleria dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale. Tale tempistica è probabilmente dovuta alla delicatezza delle questioni trattate, per cui i giudici del Kirchberg – pur riconoscendo l’esigenza di un trattamento più rapido di quello ordinario (sempre in base alle statistiche ufficiali della Corte circa 15 mesi) [53] – hanno poi ritenuto opportuna una riflessione attenta e ponderata che ha richiesto tempi più lunghi del previsto [54] (rectius, del “normale”) e che, forse, le conclusioni dell’avvocato generale Bot non hanno contribuito a rendere del tutto “distesa”. Altro aspetto degno di nota che ha contraddistinto il procedimento riguarda il fatto che, [continua ..]


V. Le conclusioni (preoccupanti) dell’avvocato generale e la conferma (rectius, l’irrigidimento) della 'regola Taricco'.

V. Come aveva precisato al termine dell’udienza di discussione, l’avvocato generale Bot ha presentato le proprie conclusioni il 18 luglio 2017 [59]. E come era immaginabile dalle domande che aveva posto in udienza alle parti, i suggerimenti che egli ha fornito alla Corte di giustizia su come risolvere i quesiti pregiudiziali sono stati tutt’altro che concilianti rispetto alle “richieste” avanzate dalla Corte costituzionale. La soluzione proposta da Bot è stata infatti nel senso di una conferma dell’interpretazione dell’art. 325 TFUE data in Taricco, se non di un suo irrigidimento, tali da esasperare il (rischio di) conflitto inter-ordinamentale. E la dottrina, pressoché unanime [60], ha espresso il timore che la Corte di giustizia vi si allineasse e formulato l’auspicio che un tale allineamento non si verificasse, suggerendo soluzioni alternative a quelle delineate dall’avvocato generale così da evitare, a fronte dell’allineamento in parola, il (già preconizzato) ricorso ai controlimiti da parte della Corte costituzionale [61]. Bot contesta, innanzitutto, la legittimità del regime italiano dell’interruzione della prescrizione dal momento che la previsione di un limite “assoluto” al termine di prescrizione, qualificato «délai préfix» (o termine di decadenza), impedisce di sanzionare in modo effettivo le frodi IVA e viola pertanto l’art. 325 TFUE [62]. L’avvocato generale, criticando anche la disciplina sulla prescrizione di cui alla proposta di direttiva sulla protezione degli interessi finanziari (PIF), prospetta come regime corretto quello in cui «una volta avviato, il procedimento penale [si svolge] sino alla sua conclusione» e per cui «ciascun atto processuale costituisc[e] un atto interruttivo della prescrizione che fa decorrere un nuovo termine nella sua integralità» [63]. Alla luce di tale premessa, egli propone una nozione autonoma di “interruzione della prescrizione”, secondo cui «ogni atto diretto al perseguimento del reato [e] ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa [...] decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato» [64]. Con riguardo, quindi, al [continua ..]


VI. La soluzione della Corte di giustizia: una rilettura manipolativa del precedente Taricco.

VI. Nella sua pronuncia del 5 dicembre 2017, la Corte di giustizia non tiene in considerazione alcuna i suggerimenti dell’avvocato generale Bot e, come anticipato, risolve i quesiti pregiudiziali (formalmente solo i primi due, analizzati congiuntamente) disinnescando la miccia dei controlimiti[75]. Essa propone infatti una rilettura manipolativa della sentenza Taricco, sostanzialmente sterilizzandola [76] ed evitando (il rischio di) uno scontro inter-ordinamentale. Al contempo, dopo il parere negativo sull’adesione dell’Unione alla CEDU [77], essa dimostra ancora una volta di essere perfettamente in grado di assicurare la protezione dei diritti fondamentali a prescindere dalla menzionata adesione [78]; ciò, senza pregiudicare, come invece da alcuni sostenuto (v. infra), il primato del diritto dell’Unione [79]. Senza dubbio ci si può interrogare se, nella scelta infine elaborata, la Corte di giustizia sia stata influenzata dall’analisi sulla rilevanza dei principi di legalità e di certezza del diritto nell’ordinamento dell’Unione, effettuata dall’avvocato generale Bobek nelle conclusioni relative alla causa Scialdone [80]. Benché in tale procedimento, ancora pendente dinanzi alla Corte, si ponga, sempre in materia di frodi IVA, un problema di retroattività della norma penale più favorevole e della compatibilità di quest’ultima con l’art. 325 TFUE e con l’art. 4, par. 3, TUE, Bobek svolge infatti un’ampia disamina dei due menzionati principi [81]. Egli, in particolare, evidenzia la necessità (i) di bilanciare l’obbligo di efficace riscossione delle risorse dell’Unione con tali principi (e con la tutela del legittimo affidamento) e (ii) di assicurare la prevedibilità della normativa penale applicabile [82]; (iii) afferma che siffatti principi vietano la retroattività in malam partem [83] e (iv) prospetta la possibile limitazione degli effetti temporali della decisione della Corte proprio per tutelare la certezza del diritto e le aspettative legittimamente createsi in capo ai destinatari della normativa nazionale che fosse riscontrata incompatibile con il diritto dell’Unione (senza che ciò escluda l’avvio di una procedura di infrazione per mancato rispetto degli obblighi posti da tale diritto, né [continua ..]


VII. Il compito del giudice nazionale e l’intervento necessario (?) del legislatore italiano.

VII. La Corte di giustizia, come visto, rimette la valutazione ultima circa la violazione del principio di legalità al «giudice nazionale», senza tuttavia chiarire – ma non sarebbe certo suo compito farlo – se con tale locuzione intenda il giudice “comune” o, piuttosto, il suo diretto interlocutore, la Corte costituzionale. Sembra più plausibile che il riferimento sia al primo “tipo” di giudice e, dunque, alle autorità giudiziarie che in concreto saranno chiamate ad effettuare la menzionata valutazione e a verificare se la disapplicazione della normativa interna contraria ai parr. 1 e 2 dell’art. 325 TFUE implichi una lesione dei principi di determinatezza e di irretroattività [129]. Tuttavia, non può non rilevarsi come il primo giudice chiamato a prendere posizione sui dicta dei giudici del Kirchberg non sarà (almeno teoricamente [130]) il giudice comune, bensì la Consulta, che dovrà “sciogliere la riserva” rispetto alle questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte di appello di Milano e dalla Corte di Cassazione, e auspicabilmente integrare i non detti della sentenza M.A.S. e M.B. – relativi in particolare, come visto, ai concetti di “frode grave” e di numero considerevole di casi” – e dare chiare linee guida ai giudici comuni per assicurare un’applicazione (il più possibile) uniforme della pronuncia di Lussemburgo [131]. Come si ricorderà, in due passaggi dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, la Corte costituzionale aveva anticipato che, se la Corte di giustizia avesse sostanzialmente accolto l’interpretazione dell’art. 325 TFUE e della sentenza Taricco da essa suggerita, sarebbe cessata «ogni ragione di contrasto e la questione di legittimità costituzionale non sarebbe [stata] accolta» [132], dovendo ritenersi «superat[a]» [133]. È stato ipotizzato che, a questo punto, la Consulta si avvalga di una pronuncia di inammissibilità delle questioni di costituzionalità [134], ne dichiari l’infondatezza [135], impieghi una sentenza interpretativa di rigetto [136] o, invece, una sentenza di accoglimento [137] o, ancora, un’ordinanza di restituzione degli atti ai giudici [continua ..]


VIII. 'Fu vera gloria?'.

VIII. Al di là di qualche nodo problematico che la sentenza analizzata lascia irrisolto, essa può certamente considerarsi un successo per la Consulta, le cui ragioni di fondo vengono sostanzialmente accolte dai giudici del Kirchberg, e, almeno teoricamente, dovrebbe rappresentare un esempio di buona riuscita del dialogo tra le due giurisdizioni e, dunque, di consolidamento dei loro rapporti, appunto, “dialogici”. Prima tuttavia di soffermarci su questo aspetto, pare ancora opportuna qualche riflessione sulla decisione di Lussemburgo, in particolare per dimostrare come essa non rappresenti una rinuncia (seppur magari solo debole) o un’eccezione (“nascosta”) al primato del diritto dell’Unione europea [159]. Senza dubbio, come già detto, la sentenza attesta un notevole self-restraint della Corte, dettato dalla delicatezza delle questioni trattate, e dunque dalla natura politica oltre che giuridica delle ricadute che essa avrebbe avuto nell’ordinamento del giudice a quo [160]. La Corte stempera il conflitto, con un equilibrismo volto a dire il minimo indispensabile per ottenere il massimo risultato; essa dà prova di un atteggiamento distensivo che non deve essere confuso con un revirement, per quanto parziale, sottotraccia o in sordina [161]. La Corte, infatti, conferma il precedente Taricco e conferma anche (a nostro avviso, in modo non condivisibile) [162] la sostanziale efficacia diretta dell’art. 325 TFUE [163], anche se sotto questo profilo la stessa Consulta non aveva sollevato alcun tipo di contestazione. Non che una richiesta di delucidazioni avrebbe imposto alla Corte di giustizia di rivedere la propria interpretazione della previsione in parola, ma forse l’avrebbe spinta (almeno) ad una riflessione più approfondita [164]. Ciò che cambia è l’esame della rilevanza del principio di legalità nell’ordinamento dell’Unione e in quello italiano, a fronte dei chiarimenti forniti nel nuovo rinvio pregiudiziale. La Corte riscontra che siffatto principio è comune all’Unione e agli Stati membri; rectius, ne tiene conto più di quanto avesse fatto in Taricco: non è certo una novità, infatti – e la giurisprudenza che la Corte richiama lo dimostra – che tale principio sia garantito nell’ordinamento [continua ..]


NOTE