Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La difesa europea dinanzi alla guerra in Ucraina tra “autonomia strategica” e vincoli strutturali: quali prospettive per la Difesa comune? (di Chiara Cellerino)


Il «ritorno della guerra sul suolo europeo», avvenuto con l’invasione russa dell’U­craina il 24 febbraio scorso ha fatto emergere i limiti della politica di sicurezza e difesa comune (“PSDC”), in assenza di adeguati meccanismi di coordinamento delle politiche di difesa nazionali degli Stati membri. Assistiamo infatti ad una perdurante centralità della NATO nella difesa del territorio europeo. Il contributo ha l’obiettivo di ricostruire alcuni profili relativi al rilievo che il tema della difesa, intesa nel senso più tradizionale di difesa del territorio dall’aggressione militare, ha avuto nell’ambito del processo di integrazione, dalle sue origini fino agli sviluppi più recenti, anche con riferimento alle procedure decisionali applicabili a tale settore in base alle norme dei Trattati. Quanto sopra al fine di segnalare alcune tendenze evolutive in atto e valutarne le possibili prospettive di sviluppo. Prendendo le mosse dal fallimento della Comunità europea di difesa (CED), emerge come il tema della difesa, dopo decenni di relativa marginalizzazione, sia da alcuni anni oggetto di un rinnovato interesse da parte degli Stati e delle istituzioni UE, non solo nel contesto della Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) ma anche attraverso il ri-orientamento strategico di alcune politiche disciplinate nel TFUE (quali la politica industriale, la politica degli investimenti, la politica dello spazio), nel perseguimento della cd. “autonomia strategica” dell’Unione. Esistono tuttavia una serie problematiche politiche e giuridiche che frenano la realizzazione di una vera e propria “difesa comune”, la cui istituzione dipende da una decisione unanime degli Stati membri ex art. 42 TUE. Rilevano al riguardo sia le diverse sensibilità di questi ultimi rispetto al rapporto della difesa europea con la NATO sia i limiti costituzionali nazionali rispetto allo sviluppo e eventuale impiego di possibili capacità militari comuni. In questo contesto, senza negare l’importanza delle recenti iniziative rivolte alla razionalizzazione della spesa degli Stati membri in materia di difesa, l’Autore ritiene che un significativo avanzamento del processo di integrazione in questo ambito, necessario a consentire all’Unione di assumersi la sua quota di responsabilità nel sistema di sicurezza internazionale, non possa prescindere da un rafforzamento dell’integrazione politica tra Stati membri, da accompagnarsi con una decisa revisione delle rilevanti norme dei Trattati, anche in materia di regole decisionali.

 

The “return of war on European soil”, occurred with the Russian invasion of Ukraine on 24th February last, shew the limits of European defence, absent an adequate level of coordination of national defence policies of the Member States. Indeed, NATO remains central in the defence of European territory. The article aims to analyse the role of the defence matters within the European integration process, from its origins to more recent developments, also with regard to decision making procedures provided for by the Treaties in this domain. The above in order to spot out some current tendencies and evaluate their perspective development. Moving from the failure of the European Defence Community (EDC), it appears that the issue of defence, having remained relatively marginal for some time, has recently gained momentum both at EU and Member States level, not only in the context of Common foreign and security policy (CFSP), but also through the strategic ri-orientation of several TFEU policies (such as industrial, investment and space policies), in the pursuit of so called EU “strategic autonomy”. However, political and legal constraints prevent the realization of a proper “common defence”, whose establishment is to be decided unanimously by all the Member States ex art. 42 TEU. In this regard, relevant are both the diverse feelings of EU member States as regards the relationship of European defence with NATO and national constitutional limits as regards the creation and possible deployment of perspective common military forces. In this context, without denying the importance of recent initiatives aimed at rationalizing the national expenses in the defence sector, the Author deems that a significant development of the integration process in this domain, necessary to allow the Union to undertake its share of responsibility within the international security system, requires the strengthening of political integration among the member States, accompanied with a decisive reform of Treaty provisions, also as regards decision making processes.

Keywords: Common foreign and security policy – Common Defence – Decision Making Procedures– European Defence Industry – Strategic Autonomy – NATO.

SOMMARIO:

I. La guerra in Ucraina e i limiti della difesa europea - II. Origine ed evoluzione delle competenze in materia di difesa pre-Lisbona… - III. …e post-Lisbona - IV. Origine ed evoluzione delle regole decisionali in materia di PESC-PSDC: prospettive di riforma - V. L’evoluzione della PSDC in “difesa comune”: utopia probabile o improbabile possibilità? - VI. La Strategia globale e il riorientamento strategico dell’Unione: spunti recenti in materia di industria della difesa, spazio e investimenti - VII. Il contributo della Bussola strategica e la conferma del pilastro NATO: quali prospettive per la Difesa comune? - NOTE


I. La guerra in Ucraina e i limiti della difesa europea

Il «ritorno della guerra sul suolo europeo» [1], avvenuto con l’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio scorso (ma, invero, ancorché con obiettivi più limitati, già con l’invasione russa della Crimea nel 2014), ha fatto emergere i limiti della politica di sicurezza e difesa comune (“PSDC”), in assenza di adeguati meccanismi di coordinamento delle politiche di difesa nazionali degli Stati membri. A fronte di ciò, assistiamo ad una perdurante centralità della NATO (e degli Stati Uniti) nella difesa del territorio europeo. In effetti, con un certo grado di semplificazione, si può dire che la lettera “D” di quell’acronimo che, a partire dal Trattato di Lisbona, indica la Politica di sicurezza e difesa comune (appunto, PSDC) sia rimasta in parte silente [2]. Infatti, se l’Unione europea post-Maastricht ha sviluppato moderatamente una politica di sicurezza rivolta al mantenimento della pace, alla prevenzione dei conflitti e al rafforzamento della sicurezza all’esterno dell’Unione, ciò è avvenuto alle spese della politica di difesa, intesa nel senso più tradizionale di difesa del territorio dall’aggressione militare [3]. I fattori che hanno contribuito a questa situazione sono vari e di varia natura: non solo la storica dipendenza degli Stati membri dal sistema di difesa collettiva della NATO e dal relativo investimento americano nel settore militare (che ha alimentato la poca propensione alla spesa militare delle nostre società, non senza un certo grado di opportunismo politico, acuito dalla fase di austerity della spesa pubblica a livello europeo), ma anche l’oggettivo mutamento della situazione geopolitica globale dopo la fine della Guerra Fredda e la diversa natura delle sfide alla sicurezza internazionale che ne sono derivate: il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento degli Stati, il crimine organizzato e cibernetico. Tali elementi hanno determinato l’elaborazione di una strategia di sicurezza a livello europeo (ma non solo) proiettata all’esterno dei confini territoriali degli Stati e basata su azioni trasversali e capacità di intervento operativo rapido o cd. “leggero” [4]. Si aggiunga infine che, nel linguaggio dei Trattati, i due profili della politica di sicurezza, da una parte, [continua ..]


II. Origine ed evoluzione delle competenze in materia di difesa pre-Lisbona…

L’integrazione politica nel campo della difesa costituiva, già nel­l’idea dei padri fondatori (o almeno di alcuni di essi), il necessario completamento, se non il fine ultimo, del processo di integrazione economica già avviato nei settori strategici del carbone e dell’acciaio con la firma del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dall’acciaio (“CECA”), avvenuta a Parigi il 18 aprile 1951. Riprendendo alcune risalenti idee di Jean Monnet, il cd. Piano Pleven, elaborato dall’allora Primo ministro francese René Pleven, proponeva infatti la fusione degli eserciti dei sei Stati fondatori della CECA in un unico esercito, da porre sotto il controllo di un Ministro della Difesa europeo e di un’autorità politica comune [7]. L’attuazione di questo ambizioso progetto fu affidata al Trattato istitutivo della Comunità europea della difesa (“CED”), che i sei Stati già fondatori della CECA firmarono a Parigi il 27 maggio 1952. Vale la pena sottolineare che, con tale Trattato, gli Stati membri acconsentivano inter alia alla sostituzione degli eserciti nazionali da parte dell’esercito comune e all’assunzione di decisioni relative al suo impiego da parte di un apparato istituzionale ispirato al modello CECA e in parte sovrapposto ad esso, con particolare (e significativo) riferimento alla Corte di giustizia e all’allora assemblea CECA. L’organizzazione così istituita avrebbe avuto competenze esclusivamente in materia di difesa e si sarebbe basata su una clausola di difesa reciproca prevista all’art. 2(3) del suo Trattato istitutivo [8]. Come noto, tale Trattato non entrò mai in vigore, a causa del rigetto della sua ratifica proprio da parte dell’Assemblea francese. Il fallimento della CED segnò profondamente il processo di integrazione nel suo successivo sviluppo [9]. Da allora, e per molti anni a seguire, il tema della difesa rimase infatti escluso dal processo di integrazione europea, che invece proseguì, come noto, sul binario dell’integrazione economica. Di riflesso, e naturalmente, la difesa del territorio europeo venne delegata alla NATO. In questa prospettiva, anche la firma del Trattato istituivo dell’Unione europea occidentale avvenuta il 23 ottobre 1954 (“UEO”), quale organizzazione di difesa europea cui prendeva parte anche [continua ..]


III. …e post-Lisbona

Il Trattato di Lisbona porta a compimento l’assorbimento definitivo di tutti gli aspetti della PESD-PSDC nei Trattati [26]. In primo luogo, con una scelta stilistica forse non felicissima sul piano della pronuncia del relativo acronimo, ma certamente significativa sul piano semantico, la PESD si trasforma in Politica di sicurezza e difesa comune (“PSDC”). La nuova qualificazione sottende un elemento “comune” che è proprio non solo della PESC, all’interno della quale si inserisce, ma anche di alcune delle più sviluppate e integrate politiche già comunitarie (si pensi, solo per fare un esempio, alla politica commerciale comune, alla politica comune della pesca, alla politica agricola comune). L’upgrade dei temi della sicurezza e della difesa nell’equilibrio della riforma di Lisbona si riflette anche nello spazio dedicato alla PSDC nelle norme, costituito in particolare da tutta la sezione 2 del Titolo V del TUE-Lisbona (artt. 42-46 TUE). La PSDC, «costituisce parte integrante» della PESC (art. 42 TUE). Più precisamente, ne costituisce il “braccio operativo”, che consente all’Unione di disporre di mezzi civili e militari da impiegare in missioni al suo esterno, con l’obiettivo del mantenimento della pace, della prevenzione dei conflitti e del rafforzamento della sicurezza internazionale (art. 42 TUE). Si può trattare, più precisamente, di azioni congiunte di disarmo, missioni umanitarie di soccorso, missioni di consulenza o assistenza militare, missioni di prevenzione dei conflitti o mantenimento della pace, ma anche missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, il ristabilimento della pace o la stabilizzazione post-conflitto (art. 43 TUE). Resta fermo che nessuna operazione condotta sotto l’egida dell’Unione europea può perseguire obiettivi diversi da quelli codificati all’art. 21 TUE (in particolare lett. a), b) e c)) [27]. Il Trattato precisa che «l’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri» (art. 42, par. 1, TUE). Sono infatti i primi che, su base volontaria, forniscono i contingenti e le capacità necessari per lo svolgimento delle missioni civili e militari che l’Unione invia in scenari di crisi, talvolta in cooperazione con altre organizzazioni regionali (NATO e OSCE). Inoltre, qualora gli Stati [continua ..]


IV. Origine ed evoluzione delle regole decisionali in materia di PESC-PSDC: prospettive di riforma

Essendo la PSDC parte integrante della PESC, essa ne eredita i principali meccanismi di funzionamento. Tra questi, in particolare, la regola dell’unanimità delle decisioni (ad esempio, quelle relative all’istituzione delle missioni). A dire il vero, gli Stati membri erano sin dall’inizio ben consapevoli della necessità di mitigare la regola dell’unanimità in ambito PESC per consentire, in alcuni casi, l’assunzione di decisioni anche in presenza di voti contrari o di astensione da parte di alcuni Stati membri [36]. Tale esigenza aveva però trovato una sua espressione solo al livello della dichiarazione (n. 27) adottata dalla Conferenza intergovernativa di Maastricht [37]. Si era poi in allora prevista la possibilità eccezionale per il Consiglio di decidere a maggioranza, oltre che sulle questioni procedurali, anche per l’adozione di decisioni di attuazione di un’azione comune, la quale però avrebbe dovuto essere adottata all’unanimità ed espressamente disporre in tal senso (artt. J.8 e J.3.2 TUE-Maastricht). I tentativi di attivare tale clausola sono sempre falliti [38]. Vero è che qualche correttivo è intervenuto nel tempo. Col Trattato di Amsterdam, ad esempio, si è introdotto il principio della cd. “astensione costruttiva” (art. 23 TUE-Amsterdam) e la possibilità per il Consiglio di assumere decisioni a maggioranza qualificata in alcune ipotesi (art. 23.2 TUE-Amsterdam). Tuttavia, il ricorso a tali meccanismi è stato raro e, forse, disincentivato dalle stesse norme. Quanto allo strumento dell’astensione costruttiva, gli Stati membri restavano comunque tenuti ad un obbligo di leale cooperazione nei confronti dell’Unione e degli altri Stati membri, rispetto all’attuazione della decisione così assunta: se non erano chiamati ad attuarla direttamente, dovevano comunque astenersi da azioni che potessero contrastare o impedire l’azione dell’Unione basata su tale decisione. Quanto alle ipotesi di decisione a maggioranza qualificata, gli Stati membri mantenevano la possibilità di bloccarne l’adozione, dichiarando la sussistenza di importanti e specificate ragioni di politica nazionale, con relativa facoltà di investire della questione il Consiglio europeo (cd. “freno di emergenza”). Si consideri poi che nessuna decisione a maggioranza [continua ..]


V. L’evoluzione della PSDC in “difesa comune”: utopia probabile o improbabile possibilità?

Occorre a questo punto chiarire la distinzione tracciata nei Trattati tra la «graduale definizione» della PSDC, da attuarsi con le modalità e i mezzi di cui sopra si è detto (supra, §§ 3 e 4), dalla realizzazione di una vera propria «difesa comune», che ne costituisce un’evoluzione ulteriore ed eventuale, subordinata all’assunzione di una decisione unanime in tal senso in senso al Consiglio europeo, da approvare poi a livello nazionale in base alla rilevanti disposizioni costituzionali (art. 42, par. 2, TUE). Preso atto che l’an della sua realizzazione dipende dalla volontà degli Stati, i Trattati ben si guardano dal definirne il quid, ossia cosa si intenda per “difesa comune”. La sua costruzione resta quindi anch’essa del tutto rimessa alla “fantasia” degli Stati membri. Si può immaginare che essa implichi, quanto meno, e inter alia, lo sviluppo una capacità di difesa (un esercito?) comune, o comunque coordinata tra gli Stati membri, secondo un modello più evoluto e più integrato di quello attualmente in essere in base alla prassi delle missioni ex art. 43 TUE e degli stessi Battlegroups (supra, par. IV). Ciò detto, molti sono gli interrogativi che si aprirebbero sul quomodo dell’iniziativa: l’ipotetico esercito comune sarebbe sostitutivo o integrativo degli eserciti nazionali? Quali sarebbero le istituzioni e gli organi competenti a governarlo e in base a quali regole decisionali? A chi andrebbe imputata la responsabilità giuridica e politica dei suoi atti [46]? Sarebbe possibile immaginare l’Unione europea quale proprietaria degli armamenti (e quindi “cliente” dell’industria europea della difesa), ovvero gli Stati resterebbero gli attori principali, pur coor­dinandosi, nel rispetto delle competenze previste all’art. 346 TFEU [47]? L’analisi dei vari modelli ipotizzabili su questi ed altri profili dell’architettura di difesa comune fuoriesce evidentemente dai limitati confini del presente lavoro. In questa sede, ci limitiamo ad una riflessione sulle funzioni che la difesa comune potrebbe assolvere. Ci si chiede in particolare se essa potrebbe essere incaricata inter alia della difesa territoriale (comune) degli Stati membri da possibili aggressioni, sostituendosi ai o, più probabilmente, integrando i meccanismi di assistenza [continua ..]


VI. La Strategia globale e il riorientamento strategico dell’Unione: spunti recenti in materia di industria della difesa, spazio e investimenti

Venendo a parlare di ciò che oggi esiste, a partire dal 2013 è andata consolidandosi l’idea che l’Unione dovesse acquisire “autonomia strategica” nel settore della difesa [49]. Quanto sopra sia in ragione di fattori endogeni, come il mutamento della compagine degli Stati membri avvenuta con la Brexit, sia di fattori esogeni, quali la trasformazione degli scenari geopolitici globali, il sempre maggiore focus della politica estera americana sulla regione dell’indo-pacifico e la contestuale richiesta di Washington di assunzione di maggiori responsabilità europee nel campo della difesa, o il deterioramento della situazione di sicurezza ai confini esterni dell’Unione. Il concetto viene elevato ad ambizione più generale della Politica estera e di sicurezza dell’Unione europea nella Strategia globale elaborata nel 2016 dall’allora Alto Rappresentante Mogherini [50]. Con tale documento ci si proponeva di affrontare in modo integrato la difesa degli interessi e dei valori della società europea dalle minacce complesse dei nostri tempi: non solo il terrorismo e l’instabilità geopolitica fuori dai nostri confini, ma anche le cd. “minacce ibride” [51], la volatilità economica, il cambiamento climatico e l’incertezza energetica. In questo senso, l’autonomia strategica va perseguita, e accompagnata da adeguati strumenti di resilienza, non solo nel campo della difesa in senso stretto, ma anche in tutti quegli ambiti nei quali la dipendenza da paesi stranieri rende l’Unione fragile nella protezione dei propri valori e interessi. Di qui la declinazione del concetto sotto il profilo della cd. “sovranità” tecnologica, digitale, energetica, industriale, alimentare, economica del­l’UE, perseguita dalla Commissione europea con vari strumenti e a vari livelli, chiara essendo l’esigenza di coinvolgere nel processo di “trasformazione strategica” tutte le politiche dell’Unione. Si è così innescata una fase di relativa accelerazione nel settore che ci occupa, ben rappresentata da alcune iniziative come la già menzionata istituzione della PESCO (supra, § 3), la revisione coordinata annuale sulla difesa tra i Ministri della difesa degli Stati Membri (cd. “CARD”), il rafforzamento della struttura permanente di comando e controllo delle missioni PSDC [continua ..]


VII. Il contributo della Bussola strategica e la conferma del pilastro NATO: quali prospettive per la Difesa comune?

Il 21 marzo scorso il Consiglio ha adottato il documento denominato “Bussola strategica”. Si tratta del frutto dello sforzo congiunto dei 27 di definire le minacce comuni alla sicurezza dell’Unione e pianificare insieme le azioni necessarie ad affrontarle. Il processo di riflessione strutturata su questi temi, iniziato qualche anno fa su impulso dell’Alto rappresentante Borrell, si conclude in un momento particolarmente significativo, coincidente con l’avvento della guerra in Ucraina. Il suo nome è, del pari, molto appropriato alle contingenze, essendo proprio la capacità di orientarsi strategicamente ciò che è mancato, almeno sino ad un certo punto, nel processo di integrazione europea di stampo funzionale, in assenza di una forte componente di integrazione politica tra Stati membri. In una prima fase (conclusasi nel 2020), gli Stati membri e i relativi servizi di intelligence, le istituzioni, e gli esperti dell’UE hanno svolto insieme uno sforzo di analisi delle minacce e delle sfide comuni e, in una seconda fase (appena conclusasi), si sono avviate discussioni informali su tali minacce, le loro principali conseguenze, il divario di capacità nazionali e le rispettive priorità. Una prima versione della Bussola strategica è stata presentata nel novembre 2021 dall’Alto Rappresentante, per essere poi discussa e aggiornata tra febbraio e marzo 2022, tenendo conto del dibattito tra gli Stati membri ma anche delle iniziative assunte dalla Commissione europea con i pacchetti difesa e spazio presentati il 15 febbraio 2022 [66], nonché degli ultimi sviluppi relativi all’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina. Sotto questo profilo, se è certo che la bussola strategica si lega direttamente, e anzi costituisce attuazione, della Dichiarazione di Versailles del 10 marzo 2022, essa risente però anche di un lavoro preparatorio che si è svolto in gran parte nel biennio precedente alla guerra russo-ucraina, nel quale diversa era la percezione delle minacce dirette all’integrità e alla sicurezza dell’Unione, fermo restando che il suo contenuto è destinato ad essere periodicamente aggiornato. Essa contiene un’analisi dettagliata del contesto geopolitico globale ed individua una serie di azioni che l’Unione e gli Stati membri si impegnano a portare avanti per affrontare le sfide comuni. A [continua ..]


NOTE