Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La Grande Sezione della Corte di giustizia sulle vittime dei reati intenzionali violenti. Qualche breve considerazione (di Grazia Vitale, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Messina)


Obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare le contraddizioni e le forzature interpretative della decisione resa dalla Corte di giustizia nel caso BV (Corte giust. 16 luglio 2020, BV, causa C-129/19). In tale occasione, avuto riguardo al tenore letterale, al contesto e agli obiettivi della direttiva 2004/80, la Corte ha affermato che attraverso l’art. 12 della stessa il legislatore dell’Unione abbia previsto non già la predisposizione, da parte di ogni Stato membro, di un sistema di indennizzo applicabile solo alle vittime di reati intenzionali violenti che versino in situazioni transfrontaliere, ma di un sistema generale di indennizzo applicabile anche a tutte le vittime di reati intenzionali violenti che abbiano subito il reato nel territorio di uno Stato membro.

The purpose of this work is to analyze the contradictions and the interpretative forcing of the decision of the Court of Justice in BV. judgment (Court of justice 16 luglio 2020, BV, C-129/19). In the present case, having regard to the wording, context and objectives of the Directive 2004/80, the Court held in particular that, by article 12 of the Directive, the EU legislature had opted not for the establishment, by each Member State, of a specific compensation scheme restricted to victims of violent intentional crimes who were in a cross-border situation only, but for the application of national schemes on compensation to all victims of violent intentional crimes committed in the respective territories of the Member States. So, each Member State has the obligation to provide a scheme on compensation to victims of violent intentional crimes committed in its territory.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. La “prima via”: l’ampliamento della portata applicativa dell’articolo 12 della Direttiva 2004/80. - III. Segue. La pregressa giurisprudenza della Corte di giustizia sulla direttiva 2004/80 - IV. La “seconda via”: giudizio di uguaglianza e giudizio di proporzionalità - V. Brevi conclusioni - NOTE


I. Introduzione

Con sentenza del 16 luglio 2020 [1], la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale con cui la Corte di Cassazione italiana (Si tratta dell’ord. n. 2964/2019, sulla quale R.G. Conti, Il contenzioso sul risarcimento dello Stato alle vittime di reato: Cass. n. 2964/2019 alla ricerca dell’eguaglianza europea, in Riv. dir. comp., 1/2019) aveva sottoposto alla sua attenzione due quesiti pregiudiziali relativi alla portata applicativa della direttiva 2004/80, in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti [2]. La vicenda riguardava una donna di origini rumene, sebbene ormai cittadina italiana e residente in Italia, la quale risultava vittima, sempre in Italia, del reato di violenza sessuale, giudizialmente accertato in sede penale a carico di soggetti resisi, tuttavia, latitanti. La signora agiva quindi in giudizio contro lo Stato italiano, con domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno subito a motivo della mancata corretta trasposizione, da parte dell’ordinamento italiano, della nota direttiva 2004/80/CE. Secondo l’interpretazione che di tale direttiva prospettava parte attrice, più in particolare, gli Stati membri, ivi compreso il nostro, sarebbero obbligati ad istituire un sistema di indennizzo per “tutte” le vittime di “tutti” i reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio, che sia in sostanza in grado di garantire loro un indennizzo equo ed adeguato. La Presidenza del Consiglio, dal canto suo, resisteva in giudizio adducendo due specifici argomenti. Il primo era quello in ordine al quale lo Stato italiano, in effetti, aveva dato attuazione alla direttiva di cui trattasi, e ciò a mezzo del d.lgs. n. 204/2007; il secondo, poi, faceva leva sulla discrezionalità che la direttiva sembrava attribuire allo Stato stesso nell’individuazione degli specifici reati, all’interno del genus dei reati intenzionali violenti, da cui potesse legittimamente scaturire il diritto della vittima ad agire per il risarcimento del danno subito. Il Tribunale di Torino, con una sentenza francamente sorprendente e poco condivisibile, accoglieva la domanda di parte attrice, ritenendo a tal fine che la direttiva 2004/80 CE, con particolare riguardo all’art. 12 nei par. 1 2, fosse volta a disciplinare tanto le situazioni transfrontaliere, quanto quelle puramente interne, della tipologia cui [continua ..]


II. La “prima via”: l’ampliamento della portata applicativa dell’articolo 12 della Direttiva 2004/80.

Un primo problema che si pone la Corte è quello dell’esatta interpretazione dell’art. 12, par. 2 della direttiva 2004/80, conformemente al tenore letterale dello stesso, al contesto nel quale esso risulta inserito, nonché agli scopi perseguiti dall’atto inteso nel suo complesso [3]. La Corte esordisce con l’argomento relativo alla lettera della disposizione in esame, la quale si limiterebbe ad enunciare in termini generali la sussistenza di un obbligo, gravante su tutti gli Stati membri, di dotarsi di un sistema di indennizzo per le vittime dei reati intenzionali violenti “commessi nei rispettivi territori”. La norma, in altri termini, non si applicherebbe soltanto alle vittime che si collochino in una situazione transfrontaliera, ma varrebbe invero per qualsivoglia fattispecie, ancorché puramente interna, nell’ambito della quale si sia consumata un’ipotesi di reato a carico di soggetti non in grado di soddisfare la vittima stessa. La Corte ritiene poi che questa ricostruzione possa essere facilmente confermata dall’analisi del contesto giuridico nel quale si inserisce l’art. 12, par. 2. Si tratterebbe, più in particolare, dell’unica disposizione inserita nel Capo II della direttiva il quale, a sua volta, sarebbe espressamente e significativamente intitolato ai “sistemi di indennizzo nazionali”. Esisterebbe, in buona sostanza, una netta linea di demarcazione tra le fattispecie ricadenti nel campo di applicazione del Capo I, che sarebbero quelle transfrontaliere, e tutte le altre, ancorché prive di elementi di transfrontalierietà, cui si applicherebbe piuttosto il Capo II. Per confermare l’opzione ricostruttiva prescelta, la Corte richiama l’inten­zione del legislatore dell’Unione, a tal fine precisando che con l’emanazione della direttiva 2004/80 esso non abbia affatto inteso imporre agli Stati membri di dotarsi di sistemi di indennizzo limitatamente alle vittime di reati intenzionali violenti che si trovino in una situazione transfrontaliera, bensì di meccanismi applicabili a qualsivoglia reato intenzionale violento consumatosi nel proprio territorio. La Corte analizza, infine, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva e, pur ammettendo che taluni dei suoi considerando si riferiscano espressamente alla volontà del legislatore dell’Unione di abolire gli ostacoli alla libera [continua ..]


III. Segue. La pregressa giurisprudenza della Corte di giustizia sulla direttiva 2004/80

La statuizione in commento, in ordine alla quale l’art. 12, par.2 della direttiva 2004/80 troverebbe applicazione anche rispetto alle vittime che non si trovino in una situazione transfrontaliera, non sarebbe smentita, secondo la Corte, nemmeno dalla sua pregressa giurisprudenza. Infatti, con tale giurisprudenza la Corte si sarebbe “limitata a precisare che il sistema di cooperazione istituito dal capo I della direttiva 2004/80 riguarda unicamente l’acces­so all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia determinare la portata dell’art. 12, par. 2, di tale direttiva, contenuto nel capo II della stessa” (par. 54). Ora, pare invero sorprendente che la Corte di giustizia, anziché ammettere di avere “cambiato idea”, pretenda piuttosto di prospettare una sorta di continuità con la sua stessa giurisprudenza precedente; continuità, invero, piuttosto difficile da rintracciare in concreto. La specifica lettura ed interpretazione della direttiva qui proposta è infatti assolutamente chiara ed ormai pacifica anche nella consolidata giurisprudenza di Lussemburgo: la Corte di giustizia ha espressamente e ripetutamente precisato che la direttiva 2004/80 non abbia in alcun modo inteso regolamentare “anche” le situazioni puramente interne, ma piuttosto “solo ed esclusivamente” quelle transfrontaliere, caratterizzate cioè da una diversità tra il luogo di residenza della vittima e il luogo in cui si consuma il reato. Si ricordi a tal fine, in primo luogo, la sentenza Dell’Orto [5] al cui par. 57 la Corte precisa che “la direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest’ultima sia indennizzata da tale primo Stato”. In secondo luogo, poi, nella sentenza Giovanardi si circoscrive la portata applicativa della direttiva nel senso che “come risulta segnatamente dal suo art. 1, essa è diretta a rendere più agevole per le vittime della criminalità intenzionale violenta l’accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere” [6](Corte giust. 12 luglio 2012, C-79/11, EU:C:2012:448, par. 37). [continua ..]


IV. La “seconda via”: giudizio di uguaglianza e giudizio di proporzionalità

È interessante notare come la Corte di giustizia non accenni minimamente alla questione, invero prospettata dal giudice del rinvio con un quesito di straordinario rilievo teorico, relativa alla violazione del principio di uguaglianza e al connesso fenomeno delle discriminazioni alla rovescia [8]. Essa preferisce intervenire a monte, stabilendo che la direttiva 2004/80, e in particolare il suo art. 12, vada interpretata nel senso che si applichi anche alle situazioni puramente interne. Il modo di procedere della Corte, sotto questo profilo, dovrebbe però indurre a riflettere. Pur essendo possibile per la Corte di giustizia la riformulazione del quesito pregiudiziale, pare che in questo caso specifico essa abbia finito proprio per rispondere ad una domanda diversa da quella che le era stata posta. La Cassazione, infatti, ben consapevole degli approdi interpretativi di Lussemburgo relativi alla portata applicativa dell’art. 12, non aveva osato mettere in discussione il principio per il quale la direttiva si applicasse solo alle situazioni transfrontaliere. Chiedeva alla Corte, piuttosto, se ciò nonostante fosse possibile intervenire, a mezzo del principio comunitario di non discriminazione, interpretando estensivamente l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva e risolvendo in tal modo il fenomeno di discriminazione alla rovescia prodottosi per effetto della non applicabilità della direttiva stessa alle situazioni puramente interne. Ora, pur non ritenendo condivisibile la motivazione rintracciabile nella pronuncia in esame, lo sarebbe stato ancora di meno una scelta che avesse eventualmente finito per assecondare il giudice del rinvio e valorizzare il principio di non discriminazione rispetto a fattispecie, con evidenza, del tutto estranee al campo di applicazione del diritto dell’Unione. E ciò in ossequio ad un ormai costante e consolidato orientamento in ordine al quale le norme dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ivi compresi i principi generali di diritto, non possano valere se non rispetto a fattispecie che ricadano nel campo di applicazione dello stesso, in quanto non siano, cioè, situazioni “puramente interne” [9]. L’utilizzo del principio di non discriminazione ai fini della soluzione della fattispecie controversa inquadratasi e del correlativo fenomeno di discriminazione, avrebbe potuto essere forse più efficace solo se [continua ..]


V. Brevi conclusioni

Come si è tentato di mettere in luce nel corso di questo breve commento, sebbene la pronuncia in esame finisca con il perseguire il nobile fine di tutela delle vittime che non riescano ad ottenere adeguata soddisfazione da parte dei colpevoli, gli argomenti giuridici utilizzati non paiono convincenti. L’interpretazione dell’art. 12, par. 1 e 2, proposta dalla Corte di giustizia, comporta in definitiva una forzatura del dato normativo che, come si è tentato di dimostrare, risulta priva di un’adeguata copertura argomentativa. E ciò non solo se ci si sofferma sul tenore letterale della disposizione in esame, ma anche e soprattutto se si effettua della stessa una ricostruzione critica che tenga conto, in via di interpretazione sistematica, anche del preambolo del­l’atto e quindi della ratio ad esso sottesa. Né sarebbe stata percorribile la “seconda via”, astrattamente ipotizzabile e oggetto precipuo dell’impostazione offerta dal giudice del rinvio. L’estensione della portata soggettiva di applicazione dell’art. 12 come proposta dalla Cassazione, infatti, avrebbe necessitato dell’applicazione di un principio generale dell’ordinamento dell’Unione a fattispecie del tutto indifferenti per il diritto dell’Unione, quando addirittura ad esso estranee in quanto qualificate come “situazioni puramente interne”. E ciò sia nell’ipotesi in cui si fosse proposto un quesito di validità, sia in quella reale, in cui la Cassazione ha in effetti sollevato un quesito di interpretazione. La “terza via” cui si accennava all’inizio è forse, in definitiva, la migliore. Ci sono infatti degli ambiti di disciplina di rilevanza nazionale, non disciplinati dal diritto dell’Unione, anzi per esso del tutto indifferenti, laddove spetta allo Stato, con gli strumenti a sua disposizione, intervenire in via auspicabilmente risolutiva delle questioni giuridiche all’interno eventualmente insorgenti, ivi compresa la questione delle discriminazioni al rovescio. Tra tali strumenti ci si riferisce, in primo luogo, al giudizio di legittimità costituzionale; in secondo luogo, all’art. 53 della l. n. 234/12, che ha introdotto nell’ordinamento italiano una sorta di clausola generale relativa alla parità di trattamento prevedendo che “Nei confronti dei cittadini italiani non trovano [continua ..]


NOTE