Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Gli strumenti del giudizio di eguaglianza della Corte di giustizia alla prova del divieto di discriminazione sulla base della religione: il caso Cresco Investigation (di Lorenzo Cecchetti, Dottorando di ricerca in Diritto europeo, Università di Bologna “Alma Mater” e Université Paris II Panthéon-Assas)


Il contributo analizza tre consolidati “strumenti” del giudizio di eguaglianza della Corte di giustizia, ossia la valutazione della comparabilità delle situazioni, la nozione di azione positiva e il c.d. livellamento verso l’alto. L’esame è condotto in relazione all’utilizzazione di questi strumenti nella sentenza resa dalla Grande Sezione nel caso Cresco Investigation, avente ad oggetto, da un lato, la compatibilità con il diritto dell’UE di una normativa nazionale austriaca che prevedeva la concessione di un giorno festivo retribuito ai lavoratori appartenenti ad alcune minoranze religiose e, dall’altro lato, le eventuali conseguenze giuridiche, in caso di incompatibilità, in una controversia orizzontale. Si metterà in evidenza, in primo luogo, come l’automatica applicazione dei predetti strumenti (sviluppati in relazione a diversi motivi di discriminazione e a diverse “sintassi normative”) ad alcuni motivi protetti introdotti con il Trattato di Amsterdam (e.g. religione ed opinioni personali e razza ed origine etnica) possa incontrare una serie di difficoltà. Saranno inoltre esaminate, in secondo luogo, le premesse e le conseguenze del riconoscimento di effetti diretti, anche in controversie orizzontali, al principio generale di diritto dell’Unione consistente nel divieto di discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali (oggi sancito dall’art. 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE).

The article examines three long-established legal concepts informing the Court of Justice of the European Union (CJEU) judgment structure on the equal treatment principle, namely the assessment of the comparability of situations, the notion of positive measure, and the so-called levelling up mechanism. The analysis is carried out by analyzing the judgment rendered by the Grand Chamber in the Cresco Investigation case, concerning, on the one hand, the compatibility with EU law of the Austrian legislation granting a day’s holiday on Good Friday only to employees who are members of some minority religions and, on the other hand, its consequences, if any, in a horizontal dispute. First, it will be argued that the automatic application to some of the protected grounds introduced by the Amsterdam treaty (such as religion or belief and racial or ethnic origin) of the said equal treatment legal concepts (developed with respect to diverse discrimination grounds and “legal syntax”) may encounter a number of difficulties. Second, the premises and the consequences of the acknowledgement by the CJEU of the direct effect, even in horizontal disputes, to the general principle of EU law consisting of the prohibition of all discrimination on grounds of religion or belief (now enshrined in Article 21(1) of the Charter of Fundamental Rights of the EU) will be analyzed.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. Il quadro normativo nazionale, i fatti all’origine della controversia e le domande pregiudiziali - III. Le conclusioni dell’Avvocato generale Bobek - IV. La sentenza della Grande Sezione: sull’eccezione di incompetenza sollevata dal governo polacco - V. Segue: sulla sussistenza di una disparità di trattamento - VI. Segue: sulla esistenza di una giustificazione - VII. Segue: sulle conseguenze della incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione - VIII. Commento: giudizio di eguaglianza e nozione di “azione positiva” ex art. 7, par. 1, della direttiva 2000/78 - IX. Segue: livellamento verso l’alto in controversie orizzontali sulla base dell’art. 21 della Carta e allocazione dei costi - X. Considerazioni conclusive - NOTE


I. Introduzione

Nella sentenza della Grande Sezione del 22 gennaio 2019 [1], la Corte di giustizia (la “Corte”) affronta il tema della compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale (austriaca) che prevedeva la concessione di un giorno festivo retribuito ai lavoratori appartenenti ad alcune minoranze religiose. Constatata l’incompatibilità tra l’ordinamento nazionale e la direttiva 2000/78 [2], la Corte ne precisa le conseguenze, in forza dell’art. 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la “Carta”) [3], in controversie tra soggetti privati (c.d. orizzontali). Nonostante la Repubblica d’Austria sia tempestivamente intervenuta per porre fine a detto trattamento differenziato [4], la sentenza in commento presenta alcuni profili di interesse. Da un lato, essa restituisce un punto di osservazione privilegiato in relazione a tre tradizionali “strumenti” del giudizio di eguaglianza della Corte di giustizia. Dall’altro lato, la sentenza solleva alcuni interrogativi per quanto riguarda la realizzabilità di “azioni positive” nel rispetto del diritto dell’UE [5]. Quanto al primo profilo, vengono in rilievo, più in particolare, il giudizio sulla comparabilità delle situazioni, il c.d. giudizio di eguaglianza di secondo grado (insito nella nozione di “azione positiva”), e il c.d. livellamento verso l’alto. Dopo aver ricostruito il quadro normativo e fattuale all’origine della controversia (par. II) e presentato la posizione dell’Avvocato generale Bobek [6] (par. III), il contributo esaminerà l’iter logico-argomentativo della Grande Sezione in relazione all’eccezione preliminare di incompetenza e alle quattro questioni pregiudiziali (par. IV, V, VI e VII). A seguire, la parte di commento analizzerà più nel dettaglio l’utilizzazione, nel caso in esame, dei tre strumenti del giudizio di eguaglianza già menzionati al fine di segnalare alcuni punti di attenzione (par. VIII e IX). Questi concernono, in sintesi, l’automatica applicazione al caso di specie di insegnamenti sviluppati in relazione a differenti motivi di discriminazione e/o a diverse sintassi normative [7] e l’impatto del riconoscimento di effetti diretti orizzontali a disposizioni della Carta sulla posizione dei datori di [continua ..]


II. Il quadro normativo nazionale, i fatti all’origine della controversia e le domande pregiudiziali

Il diritto austriaco prevede, nella versione applicabile ai fatti all’ori­gine della controversia, tredici giorni festivi all’anno, individuati all’art. 7, par. 2, della legge in materia di periodi di riposo (Arbeitsruhegesetz, d’ora in avanti “ARG”). Con l’eccezione del 1° maggio (festa dello Stato) e del 26 ottobre (festa nazionale), undici giorni festivi [13] sono connessi al cristianesimo cattolico di rito romano [14]. In aggiunta a quanto precede, ai sensi dell’art. 7, par. 3, ARG, i membri delle Chiese evangeliche di confessione augustana e di confessione elvetica, della Chiesa vetero-cattolica e della Chiesa evangelica metodista (complessivamente, le “Quattro Chiese”) hanno diritto ad un ulteriore giorno festivo (retribuito) coincidente con il Venerdì santo. Gli appartenenti alle Quattro Chiese rappresentano approssimativamente il due per cento della popolazione austriaca [15]. È inoltre pacifico che il Venerdì santo costituisca la festività religiosa più importante per dette comunità confessionali e che l’art. 7, par. 3, ARG abbia l’obiettivo di consentire la partecipazione di tali lavoratori ai festeggiamenti religiosi, tutelandone in questo modo la libertà religiosa [16]. Per beneficiare del regime di favore in discorso, i lavoratori appartenenti alle Quattro Chiese sono tenuti ad informare il rispettivo datore di lavoro della propria confessione religiosa [17]. In occasione di un giorno festivo, nell’ordinamento austriaco, il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione per il lavoro non prestato. Ove impiegato durante il riposo festivo, egli ha altresì diritto al corrispettivo maturato per il lavoro prestato (l’“indennità”) [18]. In forza del combinato disposto tra questa disciplina di applicazione generale e l’art. 7, par. 3, qualora un membro di una delle Quattro Chiese lavori in un giorno corrispondente al Venerdì santo, tale lavoratore avrà diritto, in aggiunta alla normale retribuzione, all’indennità (a differenza del complesso degli altri lavoratori che lavorano in tale giorno). All’epoca dei fatti di causa, l’art. 7, par. 3, ARG rappresenta l’unica misura di tale portata predisposta dall’ordinamento austriaco in favore di confessioni religiose minoritarie [19]. I lavoratori [continua ..]


III. Le conclusioni dell’Avvocato generale Bobek

Per quanto concerne l’eccezione di incompetenza e le prime tre questioni pregiudiziali, la sentenza in commento risulta, in sostanza, conforme alle riflessioni svolte dall’Avvocato generale Bobek nelle proprie conclusioni. A questo riguardo, meritano di essere anticipati solo due principali disallineamenti aventi ad oggetto, da un lato, la prestazione rispetto alla quale svolgere l’esame sulla comparabilità delle situazioni (limitata, secondo l’Av­vocato generale, all’indennità [26]) e, dall’altro lato, l’interpretazione del­l’ul­ti­mo inciso dell’art. 2, par. 5, della direttiva 2000/78 [27]. I maggiori punti di attrito tra la posizione dell’Avvocato generale e la sentenza si riscontrano, invece, in relazione alla quarta domanda pregiudiziale. Occorre pertanto porre in evidenza tre principali punti di attenzione che emergono dalla lettura delle conclusioni. Un primo profilo è rappresentato dalla riconduzione degli insegnamenti delle sentenze Mangold [28], Kücükdeveci [29], Dansk Industri [30], Egenberger e IR [31] nell’alveo degli effetti giuridici derivanti dal (solo) principio del primato [32]. Un secondo profilo concerne la possibilità di riconoscere, all’art. 21 della Carta, “efficacia diretta orizzontale” [33]; con tale espressione intendendosi, secondo l’Avvocato generale, la possibilità di costituire diritti specifici (in termini pecuniari, di benefici e simili) e corrispondenti obblighi in capo ai privati esclusivamente sulla base della Carta, ossia indipendentemente e/o in assenza di disposizioni di diritto secondario [34]. Precisato quanto precede, l’azionabilità in giudizio dell’art. 21 viene esclusa in ragione della sua “formulazione succinta” rispetto alla natura del diritto in questione nel caso di specie [35]. Conclusioni analoghe, prosegue l’Avvocato generale, dovrebbero essere tratte in relazione alle altre disposizioni della Carta [36]. Un terzo profilo di attenzione riguarda il rimedio atto ad assicurare una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti del lavoratore. Si tratta di stabilire se, in virtù di questo principio, in un caso di discriminazione normativa come quello in esame, il lavoratore debba avere a disposizione un’azione verso la parte datoriale privata oppure verso [continua ..]


IV. La sentenza della Grande Sezione: sull’eccezione di incompetenza sollevata dal governo polacco

Quanto alla eccezione preliminare sollevata dal governo polacco, quest’ultimo sostiene che la Corte di giustizia difetta di competenza dato che, «in virtù dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, la concessione da parte di uno Stato membro di un giorno festivo destinato a consentire la celebrazione di una festa religiosa non rientra nel diritto dell’Unione» [54]. Il governo italiano è intervenuto a sostegno della posizione del governo polacco [55]. Al riguardo, la Grande Sezione rileva, anzitutto, che l’art. 17 TFUE [56] non sottrae la normativa nazionale a un controllo giurisdizionale effettivo circa il rispetto delle disposizioni della direttiva. La norma in discorso, infatti, si limita ad esprimere «la neutralità dell’Unione nei confronti dell’orga­nizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose» [57]. Sono in questo modo riaffermati i principi sanciti nelle sentenze Egenberger e IR [58]. Tuttavia, a differenza di quanto operato in queste ultime sentenze, nel caso in esame la Corte conduce un proprio apprezzamento in merito alla “funzione” della normativa nazionale in rilievo nel procedimento principale: l’ARG. La necessità di questo scrutinio alla luce dell’art. 17 TFUE è riconducibile al fatto che l’ARG non rappresenta la normativa di attuazione nel­l’ordinamento giuridico austriaco della direttiva 2000/78 [59], con la conseguenza che il collegamento tra la controversia e il diritto dell’UE risulta meno evidente rispetto ai casi Egenberger e IR [60]. All’esito dello scrutinio, viene concluso nel senso che le disposizioni dell’ARG «non sono dirette a organizzare i rapporti tra uno Stato membro e le chiese, ma mirano unicamente a concedere ai lavoratori, membri di talune chiese, un giorno festivo supplementare che coincide con una festa religiosa importante per tali chiese» [61]. Non è presente alcuna delucidazione circa i criteri sulla base dei quali una norma nazionale possa essere considerata “diretta a organizzare i rapporti tra Stato membro e comunità religiose”, esulando dal campo di applicazione del diritto dell’Unione. In questo modo, la sentenza denota una inversione di prospettiva rispetto alle pronunce della Corte che hanno [continua ..]


V. Segue: sulla sussistenza di una disparità di trattamento

Con la prima questione pregiudiziale la Corte Suprema austriaca interroga la Corte di giustizia in merito alla sussistenza di una discriminazione diretta fondata sulla religione ai sensi degli artt. 1 e 2, par. 2, lett. a), della direttiva. La Corte, sul punto, rileva anzitutto che la normativa nazionale «istituisce una differenza di trattamento fondata direttamente sulla religione dei lavoratori» [65]. Viene successivamente condotta una disamina approfondita in punto di comparabilità delle situazioni in cui si trovano lavoratori appartenenti a confessioni religiose differenti [66]. Nell’esaminare, per la prima volta compiutamente [67], questo aspetto, viene fatta luce in ordine a tre profili del giudizio sulla comparabilità delle situazioni condotto dalla Corte. Detta comparabilità deve essere valutata non prendendo in esame la posizione del ricorrente ma confrontando “categorie di lavoratori” [68], ossia quelle individuate in seno alla fonte legislativa della disparità di trattamento [69]. Non rileva, pertanto, la confessione religiosa (oppure l’aconfessionalità) del lavoratore [70] ma il solo fatto che egli non appartenga a una delle Quattro Chiese. Viene precisato, in secondo luogo, che le due categorie da porre a raffronto sono rappresentate, da un lato, dai lavoratori appartenenti a una delle Quattro Chiese e, dall’altro lato, «[da]l complesso degli altri lavoratori» [71] «a prescindere dall’appartenenza di questi ultimi a una religione» [72]. La Corte adotta così un termine di raffronto significativamente ampio che – tra i possibili sottoinsiemi di gruppi comparabili [73] – coincide, in sostanza, con quello proposto dal ricorrente. In terzo luogo, il beneficio attribuito ai membri delle Quattro Chiese è preso in considerazione nel suo complesso. Sono pertanto esaminate, seppur separatamente, sia la concessione di un giorno festivo retribuito coincidente con il Venerdì santo sia il diritto alla corresponsione dell’indennità [74]. Secondo la Grande Sezione, l’esame in punto di comparabilità rispetto al beneficio in discorso deve essere condotto, da un lato, «alla luce della totalità degli elementi che […] caratterizzano [le situazioni dei due gruppi di lavoratori] e, in particolare, dell’oggetto e dello [continua ..]


VI. Segue: sulla esistenza di una giustificazione

La seconda e la terza questione pregiudiziale hanno ad oggetto la possibilità di considerare la disparità di trattamento in discorso giustificata ai sensi dell’art. 2, par. 5, e/o dell’art. 7, par. 1, della direttiva 2000/78. In forza dell’art. 2, par. 5, la direttiva «lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui». A questo riguardo, la Corte innanzitutto conferma il proprio insegnamento secondo cui le deroghe al divieto di discriminazione, tra le quali rientra l’art. 2, par. 5, devono essere oggetto di una interpretazione restrittiva [85]. Viene rilevato, in secondo luogo, come l’art. 7, par. 3, ARG possa essere astrattamente sussunto nella disposizione in esame [86]. La misura in discorso, difatti, è prevista dalla “legislazione nazionale” [87] e sarebbe finalizzata alla “tutela dei diritti altrui” ai sensi dell’art. 2, par. 5, della direttiva (nella specie, la libertà religiosa degli appartenenti alle Quattro Chiese) [88]. È il requisito della “necessarietà” della misura che, invece, non viene considerato integrato dato che, al fine di tutelare la libertà religiosa delle altre minoranze religiose presenti in Austria, non sono previste misure analoghe (i.e. la concessione di un giorno festivo retribuito supplementare) [89]. In altri termini, il carattere “selettivo” [90] della misura dimostrerebbe che la stessa non è necessaria. Le medesime considerazioni sottendono le valutazioni della Corte in relazione all’art. 7, par. 1, della direttiva, oggetto della terza domanda pregiudiziale. Ai sensi di tale articolo, gli Stati membri possono, «[a]llo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale», «manten[ere] o adott[are] misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 [della direttiva]» [91]. L’opera ermeneutica della Grande Sezione in relazione alla disposizione in discorso si basa sulla giurisprudenza relativa all’art. 2, par. 4, della direttiva 76/207, in tema di divieto di [continua ..]


VII. Segue: sulle conseguenze della incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione

Constatata l’incompatibilità tra normativa austriaca e direttiva 2000/78 [101], la Grande Sezione, in risposta alla quarta questione pregiudiziale, è chiamata a precisarne le conseguenze giuridiche nel caso di specie. Con essa, la Corte Suprema austriaca domanda, in sostanza, «se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che, finché lo Stato membro interessato non abbia modificato, al fine di ripristinare la parità di trattamento, la propria normativa […] un datore di lavoro privato soggetto a detta normativa abbia l’obbligo di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo e, di conseguenza, di riconoscere a questi ultimi, se sono chiamati a lavorare in tale giorno, il diritto a un’in­den­nità per giorno festivo» [102]. In altre parole, viene in rilievo la questione della possibilità, per un diritto fondamentale sancito dalla Carta, di esplicare effetti diretti in controversie orizzontali imponendo un obbligo in capo a un soggetto privato non risultante dalla mera disapplicazione della norma nazionale. Il ragionamento della Corte muove da principi lungamente affermanti nella propria giurisprudenza in relazione agli effetti giuridici delle disposizioni delle direttive in controversie orizzontali. Viene infatti ricordato, in primo luogo, che «una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti» [103], venendo sottolineata, nel contempo, la centralità dell’obbligo di interpretazione conforme [104]. Sulla base dei principi sanciti nelle sentenze Egenberger e IR, in secondo luogo, viene precisato, da un lato, che il divieto di discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali non trova la propria fonte nella direttiva 2000/78 [105], e, dall’altro lato, che ad esso deve essere riconosciuta la natura di principio generale del diritto dell’Unione [106]. Ne consegue che il diritto fondamentale in discorso ha “carattere imperativo” ed è «di per sé sufficiente a conferire ai privati un diritto invocabile in quanto tale nel­l’am­bito di una controversia che li veda opposti in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione» [107]. In questo [continua ..]


VIII. Commento: giudizio di eguaglianza e nozione di “azione positiva” ex art. 7, par. 1, della direttiva 2000/78

Il giudizio sulla comparabilità delle situazioni in cui si trovano lavoratori appartenenti a confessioni religiose differenti e l’interpretazione dell’art. 7, par. 1, della direttiva 2000/78 meritano di essere esaminati nel dettaglio e posti in relazione alle pronunce in cui questi strumenti del giudizio di eguaglianza sono stati sviluppati. Entrambi i profili, come anticipato, sono per la prima volta compiutamente esaminati dalla sentenza in commento. Al riguardo, occorre preliminarmente segnalare che, ancorché distinti, essi risultano strettamente connessi stante l’incidenza che la determinazione del termine di comparazione (c.d. tertium comparationis) [126] dispiega sulla possibilità di considerare un trattamento differenziato come “obiettivamente giustificato” [127]. Per quanto riguarda i canoni alla luce dei quali deve essere condotto il giudizio sulla comparabilità delle situazioni [128], nella giurisprudenza della Corte sono riscontrabili, a seconda dei casi, due principali canoni valutativi. Si tratta, da un lato, dell’analisi della normativa nazionale e della ratio legis ad essa sottesa [129] e, dall’altro lato, dell’esame “specifico e concreto” in riferimento alla prestazione di cui trattasi. Questo secondo canone valutativo, dirimente nella risoluzione della prima questione pregiudiziale [130], trova la propria origine nella – piuttosto recente – giurisprudenza avente ad oggetto trattamenti differenziati in funzione dell’orientamento sessuale in relazione alla corresponsione di prestazioni pecuniarie integrative [131]. Pur non negandosi le esigenze sottese all’impiego, nel caso in esame, di un tale approccio “oggettivo” nella valutazione della comparabilità delle situazioni [132], l’applicazione del medesimo canone a disparità di trattamento volte ad avvantaggiare minoranze religiose solleva alcune perplessità, in particolare ove coniugata con una non approfondita ricostruzione dello scopo della normativa nazionale [133]. Infatti, dall’approccio adottato nella sentenza in esame consegue che la comparabilità tra gruppi confessionali potrebbe essere esclusa nel solo caso in cui l’attribuzione di un beneficio ad uno di essi venga condizionata all’adempimento di un obbligo religioso esteriore oggettivamente verificabile oppure alla [continua ..]


IX. Segue: livellamento verso l’alto in controversie orizzontali sulla base dell’art. 21 della Carta e allocazione dei costi

Il riconoscimento all’art. 21, par. 1, della Carta di un effetto diretto orizzontale che trascende la mera disapplicazione della normativa nazionale avviene attraverso lo strumento del livellamento verso l’alto e presenta delle peculiarità. Analogamente a quanto statuito nelle sentenze Egenberger e IR, l’effetto diretto del divieto di discriminazione sulla base della religione, come in parte anticipato, è stato riconosciuto mediante l’utilizzo della perifrasi della “di per sé sufficienza” [152]. Questa espressione, coniata nella sentenza AMS [153], deve essere intesa quale sinonimo della capacità della disposizione di avere effetto diretto, come sancito nella successiva sentenza Popławski II [154] (che ha altresì precisato i rapporti tra effetto diretto e primato [155]). Tuttavia, differentemente dai precedenti qui sopra citati, nel caso in esame la mera disapplicazione dell’art. 7, par. 3, ARG avrebbe comportato la compressione della sfera giuridica soggettiva degli appartenenti alle Quattro Chiese senza di per sé attribuire alcun beneficio al gruppo di soggetti svantaggiato da tale disposizione. Questa differenza è determinata dalla “sintassi normativa” della disposizione che impone il trattamento differenziato [156] e ha un’importante conseguenza: l’estensione della vincolatività vis-à-vis l’autonomia privata del principio generale di non discriminazione sulla base della religione rispetto alle sentenze Egenberger e IR [157]. In queste ultime, difatti, “la piena efficacia” del diritto fondamentale in discorso veniva realizzata «disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria» [158]. Analogamente alle sentenze sulle quali esse si basano (i.e., le sentenze Mangold, Kücükdeveci e Dansk Industri), la disapplicazione della normativa interna incompatibile con il diritto dell’Unione era infatti idonea e sufficiente a garantire la tutela dei diritti attribuiti ai singoli da quest’ultimo [159]. Contrariamente, nel caso in esame, come sottolineato in termini critici dall’Avvocato generale, il giudice nazione è tenuto a disapplicare l’art. 7, par. 3, ARG e a “miracolosamente” applicare a tutti la disposizione disapplicata [160]. In ragione della sintassi normativa [continua ..]


X. Considerazioni conclusive

Analizzate le principali criticità sottese all’iter logico-argomentativo della Corte, occorre porre quest’ultimo in una prospettiva più ampia, che tenga conto delle conseguenze in termini sia pratici sia teorici della pronuncia. Quanto all’impatto pratico, può essere segnalato, anzitutto, come il livellamento verso l’alto non abbia avuto luogo (se non in casi eccezionali in relazione al periodo precedente alla pronuncia della sentenza [189]). Il legislatore austriaco, difatti, con un «salto mortale» che non conosce precedenti nella storia contemporanea dell’ordinamento della Repubblica d’Austria [190], è intervenuto ponendo termine al trattamento discriminatorio descritto antecedentemente al 19 aprile 2019, Venerdì santo di tale anno. L’adozione di misure ripristinanti la parità di trattamento ha tuttavia incontrato – come in parte anticipato – «enormi complessità da un punto di vista giuridico e politico» [191], pur concordandosi sull’abrogazione dell’art. 7, par. 3, ARG. In aggiunta a quest’ultima si è optato [192], alla fine, per la previsione di un “giorno festivo su base personale” [193] attribuito a tutti i lavoratori (confessionali e aconfessionali). Anche a fronte di questa novella legislativa, risulta tuttavia arduo individuare delle categorie di lavoratori che abbiano tratto diretto e concreto beneficio dal ripristino della parità di trattamento [194]. Ciò in quanto il giorno festivo su base personale non è stato introdotto ex novo ma scomputato dai giorni di ferie annuali a disposizione dei lavoratori austriaci [195]. La prospettiva non è più confortante ove si guardi al caso del ricorrente: appare difatti improbabile che il signor Achatzi consegua effettivamente una qualche forma di tutela essendo tenuto a provare di aver inviato al proprio datore di lavoro una richiesta per assentarsi dal lavoro il 3 aprile 2015 [196]. La novella legislativa austriaca, inoltre, sembra lontana dal risolvere completamente le problematicità di tale ordinamento giuridico in relazione al divieto di discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali. Rimane aperta, in effetti, la questione della compatibilità con il diritto dell’Unione del predetto contratto collettivo che garantisce [continua ..]


NOTE