Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

19/03/2020 - La Corte di giustizia interpreta alcune disposizioni della direttiva sul riconoscimento e la revoca della protezione internazionale

argomento: Giurisprudenza - Unione Europea

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Con due sentenze del 19 marzo 2020 pronunciate su rinvio pregiudiziale del Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria), in relazione rispettivamente alla causa C-406/18, PG, e alla causa C-564/18, LH, la Corte di giustizia ha sciolto alcuni dubbi interpretativi (i primi due nella prima sentenza, i due finali nella seconda) riguardanti la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale:

1) L’art. 46, par. 3, della direttiva, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che conferisce ai giudici soltanto il potere di annullare le decisioni delle autorità competenti in materia di protezione internazionale, ad esclusione di quello di riformarle. Tuttavia, in caso di rinvio del fascicolo all’autorità amministrativa competente, occorre che sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza di annullamento. Inoltre, qualora un giudice nazionale abbia constatato, dopo aver effettuato un esame completo ed ex nunc di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti presentati dal richiedente la protezione internazionale, che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, a tale richiedente deve essere riconosciuta una siffatta protezione per il motivo che egli invoca a sostegno della sua domanda, ma un’autorità amministrativa adotti successivamente una decisione in senso contrario, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi che giustifichino una nuova valutazione delle esigenze di protezione internazionale del richiedente interessato, detto giudice, qualora il diritto nazionale non gli conferisca alcun mezzo che gli consenta di far rispettare la sua sentenza, deve riformare tale decisione dell’autorità amministrativa non conforme alla sua precedente sentenza e sostituire ad essa la propria decisione riguardo alla domanda di protezione internazionale, disapplicando, se del caso, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tale senso.

2) Quella stessa disposizione della direttiva, letta sempre alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere inoltre interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale che impone al giudice investito di un ricorso avverso una decisione di rifiuto di una domanda di protezione internazionale un termine di 60 giorni per statuire, a condizione che tale giudice sia in grado di garantire, entro un termine siffatto, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie procedurali riconosciute al richiedente dal diritto dell’Unione. In caso contrario, detto giudice è tenuto a disapplicare la normativa nazionale che fissa il termine per la decisione e, scaduto tale termine, a rendere la propria decisione il più rapidamente possibile.

3) Quanto invece all’art. 33 della direttiva, esso dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che consente di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale con la motivazione che il richiedente è arrivato nel territorio dello Stato membro interessato attraversando uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione.

4) Infine, l’art. 46, par. 3, della direttiva, quale letto anch’esso alla luce dell’art. 47 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che impartisce al giudice, investito di un ricorso avverso una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile, un termine di otto giorni per pronunciarsi, qualora tale giudice non sia in grado di assicurare, entro un simile termine, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie processuali riconosciute al richiedente dal diritto dell’Unione.