Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

14/05/2019 - La revoca e il rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato non producono l’effetto di privare una persona, la quale abbia fondato timore di essere perseguitata nel suo paese di origine, né dello status di rifugiato né dei diritti che la Convenzione di Ginevra ricollega a tale status

argomento: Giurisprudenza - Unione Europea

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Nell’ambito di un procedimento pregiudiziale attivato da due rinvii operati rispettivamente dal Conseil du contentieux des étrangers  del Belgio e dal Nejvyšši správni soud (Corte amministrativa suprema) della Repubblica ceca, la Corte di giustizia ha precisato (14 maggio 2019, cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, M c. Ministerstvo vnitra, X e X c. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides) che, per quanto concerne le ipotesi, previste nell’art. 14, par. 4 e 5, della direttiva 2011/95, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, ipotesi nelle quali gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, queste ultime corrispondono, in sostanza, a quelle nelle quali gli Stati membri possono procedere al respingimento di un rifugiato, in forza dell’art. 21, par. 2, di detta direttiva e dell’art. 33, par. 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.

Tuttavia, secondo la Corte, occorre rilevare che, mentre tale articolo di detta Convenzione priva, in ipotesi del genere, il rifugiato del beneficio del principio del non respingimento verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà sia minacciata, l’art. 21, par. 2, della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato e applicato, come conferma il considerando 16 di quest’ultima, in osservanza dei diritti garantiti dalla Carta europea dei diritti fondamentali, segnatamente dall’art. 4 e dall’art. 19, par. 2, di quest’ultima, che vietano in termini perentori la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti del genere. Pertanto, gli Stati membri non possono allontanare, espellere o estradare uno straniero quando esistono seri e comprovati motivi di ritenere che, nel paese di destinazione, egli vada incontro a un rischio reale di subire trattamenti proibiti dagli articoli citati della Carta.