Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

21/12/2016 - La Cassazione rifiuta l’estradizione verso la Turchia sulla base di un’interpretazione “europea” del principio del ne bis in idem

argomento: Giurisprudenza - Italiana

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Con la sentenza n. 54467/16 del 21 dicembre 2016 la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata in senso negativo su una richiesta di estradizione verso la Turchia in base a un’interpretazione evolutiva ed “europea” del principio del ne bis in idem.

Il caso riguardava un soggetto, accusato di associazione e traffico di stupefacenti e già processato e condannato in Germania, dove ha anche scontato la pena inflitta, nei cui confronti la Turchia avanzava richiesta di estradizione per gli stessi fatti.

La Corte d’appello di Venezia, nell’aprile 2016, aveva ritenuto tale richiesta meritevole di accoglimento non ritenendo operante nel caso specifico il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 9 della Convenzione europea di estradizione, che riguarda l’ipotesi diversa in cui la sentenza definitiva a carico dell’estradando sia stata emessa dallo stesso Stato cui è indirizzata la richiesta. La stessa Corte, inoltre, non aveva considerato sufficientemente provati i rischi di trattamenti disumani e degradanti all’interno dell’ordinamento giuridico turco e, in particolar modo nel sistema carcerario, in quanto fondati su fatti tratti da documenti pubblicati su Internet.

La Suprema Corte ha ora annullato senza rinvio, contestando ambedue i punti toccati dalla pronuncia d’appello. Ma merita in particolare sottolineare che, per quanto riguarda il principio del ne bis in idem, la Cassazione, facendo leva anche sull’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ha concluso nel senso che esso si identifica ormai come garanzia individuale operante nell’intero spazio giudiziario europeo. Ne consegue, a suo avviso, che “ogni sentenza emessa da uno Stato membro deve valere quale sentenza di ogni singolo Stato, sul presupposto che si tratta di ordinamenti fondati sul rispetto dei diritti umani”. Nel caso di specie, quindi, trattandosi pur sempre di Stati membri dell’Unione, a nulla rileva che lo Stato destinatario della richiesta di estradizione non sia lo stesso che ha emesso la sentenza definitiva di condanna.