In the annotated judgment, the European Court of Justice (ECJ) deals with the difficult task of interpreting article 106 TFEU, when applied in combination with article 102 TFEU. The ECJ clarifies that, to assess whether an infringement of such provisions has occurred, it is irrelevant to consider if the privileged undertaking has engaged in any potential anticompetitive conduct. Rather, it merely suffices that a potential anticompetitive consequence is liable to result from the Member State’s measure conferring the special right; i.e., that the national measure is liable to affect the structure of the market, by creating an inequality of opportunities between economic operators.
This article focuses on the potential – albeit far reaching – implications of the judgment. Given that the conferral of a special right inherently alters the opportunities between operators in favour of the privileged undertaking, the judgment seems to reduce the appropriate place for Member States’ intervention in the economy, in line with an ever-increasing market-based approach to art. 106 TFEU and an ineluctable process of sovereignty’s transfer from Member States to the EU Commission.
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I. Premessa - II. Le condizioni di mercato del settore energetico greco - III. La decisione della Commissione … - IV. … e il suo annullamento da parte del Tribunale - V. L’overruling della Corte di giustizia - VI. L'applicazione dell'art. 106, comma 1, TFUE: la parità di trattamento fra imprese come limite all'intervento pubblico nei mercati - VII. Brevi riflessioni conclusive - NOTE
La Corte di giustizia torna a occuparsi dei processi di liberalizzazione e privatizzazione effettuati dalla Repubblica ellenica [1]. Questa volta la prospettiva non è quella dei poteri speciali sovente attribuiti all’azionista pubblico nel corso di tali operazioni [2], ma piuttosto quella dei privilegi conferiti con altrettanta frequenza dagli Stati alle imprese pubbliche e in particolare alle ex monopoliste. Nel caso di specie si tratta dei diritti di sfruttamento sui giacimenti di lignite concessi all’impresa elettrica pubblica Dimosia Epicheirisi Ilektrismou [3]. La normativa di riferimento è quindi rappresentata dall’art. 106, comma 1, TFUE [4], disposizione che nella sua “chiara oscurità” [5] vieta agli Stati membri di favorire le c.d. imprese privilegiate [6] mediante misure contrarie al diritto dell’Unione, e in particolare al principio di non discriminazione e alle regole di concorrenza [7]. La sentenza in commento chiarisce la portata dell’onere probatorio che la Commissione deve sopportare ai fini dell’applicazione degli artt. 106, comma 1, e 102 TFUE. Viene in particolare definita l’intensità della restrizione concorrenziale causata dalla misura statale che si deve a tal fine dimostrare. Le parti esprimono infatti posizioni divergenti sul punto: da un lato, la Commissione ritiene sufficiente che il provvedimento nazionale pregiudichi la struttura concorrenziale del mercato creando una disparità di opportunità fra operatori economici a favore dell’impresa privilegiata; dall’altro lato, DEI e Repubblica ellenica reputano invece necessaria l’indicazione dello specifico abuso di posizione dominante che l’impresa privilegiata potrebbe commettere a causa della misura statale. Il secondo approccio caratterizza la sentenza del Tribunale, che infatti annulla la decisione della Commissione con cui i diritti di sfruttamento della DEI sono dichiarati incompatibili con gli artt. 106, comma 1, e 102 TFUE [8]. La pronuncia di annullamento viene tuttavia a sua volta riformata dalla Corte che, nella sentenza in esame, accoglie l’opposta interpretazione, così innovando il quadro applicativo delle norme in discussione. Pur avendo natura probatoria, la questione ha rilevanti conseguenze sostanziali e incide su tematiche che si pongono al centro della stessa [continua ..]
In linea con la direttiva 96/92/CE [9], il mercato greco dell’energia elettrica viene liberalizzato ed è quindi – almeno sulla carta – aperto alla concorrenza fin dal 2001. Viene infatti creato un mercato obbligatorio su base giornaliera per tutti i potenziali acquirenti e venditori di elettricità: i primi vi immettono le previsioni di carico per il giorno successivo; i secondi vi indicano quantità e prezzo dell’energia che intendono produrre. Le offerte sono accolte fino a soddisfare la domanda di energia, con precedenza accordata all’energia offerta a prezzi più bassi. L’ultima offerta necessaria a soddisfare la richiesta complessiva determina il prezzo di vendita di tutta l’energia prodotta. I produttori competono dunque sul mercato obbligatorio per il diritto di vendere la propria elettricità. La competitività e la stessa possibilità di restare sul mercato dipendono quindi dalla capacità delle imprese di produrre energia a basso costo. Ciò è a sua volta collegato alla possibilità di accedere a fonti energetiche economiche. Sul mercato greco, il combustibile più economico è rappresentato dalla lignite. La Repubblica ellenica ha concesso alla DEI (ex monopolista pubblico, oggi società quotata di cui il governo detiene la maggioranza del capitale sociale [10]) diritti di sfruttamento per miniere pubbliche in cui si trovano più della metà delle riserve complessive di tale materiale [11]. Della restante quota, sono attribuite concessioni ad altri operatori solo per quantitativi marginali, nonostante le richieste di molto superiori [12]. Ne deriva che per quasi la metà della lignite pubblica non è stato concesso alcun permesso di estrazione, e che al tempo stesso la DEI accede a risorse per un ammontare di circa sette volte superiore rispetto agli altri operatori [13]. Non stupisce che la DEI sia dunque la più importante produttrice di energia nel mercato in discussione [14].
Le condizioni del mercato energetico greco vengono portate all’attenzione della Commissione nel 2003 mediante una denuncia. Nella decisione emessa ex art. 106, comma 3, TFUE vengono individuati due mercati rilevanti, distinti ma fra loro collegati [15]: a monte, vi è il mercato della fornitura di lignite; a valle, vi è quello della produzione e vendita di elettricità. La DEI si trova in posizione dominante su entrambi [16]. Nella decisione si rileva l’esistenza di un legame fra le due fattispecie di dominio. L’accesso privilegiato alla lignite sul mercato a monte consente infatti alla DEI di consolidare la propria posizione nel mercato a valle e di operarvi in una condizione di quasi monopolio. In linea con la c.d. teoria dell’estensione della posizione dominante [17], si ha dunque una violazione dell’art. 102 TFUE [18]. Nel caso di specie, l’estensione è però consentita da un insieme di misure statali [19]. La Commissione conclude quindi per l’avvenuta violazione degli art. 106, comma 1, e 102 TFUE [20]. Ciò che interessa è l’intensità della restrizione concorrenziale causata dalle misure statali che viene considerata a tal fine sufficiente. Le parti hanno infatti opinioni discordanti in merito alla necessità di individuare la specifica ipotesi di abuso (almeno potenziale) [21] fra quelle vietate dall’art. 102 TFUE che l’impresa privilegiata può essere indotta a commettere a causa della misura statale. Da un lato, la Commissione afferma che l’estensione o il rafforzamento di una posizione dominate da un mercato a un altro è ipotesi di per sé vietata dal Trattato, anche laddove sia conseguenza di una misura statale [22]. Nel caso di specie, il rafforzamento della posizione della DEI sul mercato della produzione di elettricità è dovuto alle sue prerogative con riguardo all’estrazione. L’accesso agevolato alla lignite sul mercato a monte la pone infatti in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti sul mercato a valle. La creazione di tale posizione di vantaggio da parte della Repubblica ellenica è sufficiente a violare gli artt. 106, comma 1, e 102 TFUE: il privilegio della DEI comporta infatti una disparità di opportunità tra gli operatori economici che esclude o quantomeno [continua ..]
L’argomento viene meglio sviluppato dinnanzi al Tribunale. La Repubblica ellenica afferma infatti che la prova (e quindi l’esistenza) di un abuso almeno potenziale è “condizione previa e necessaria” per l’applicazione degli artt. 106, comma 1, e 102 TFUE, e non è quindi «sufficiente che la Commissione dimostri che un provvedimento di Stato crei una disparità di opportunità sul mercato» [27]. Anche la DEI ritiene che la decisione sia viziata da un errore di diritto nella parte in cui non viene precisata «la natura del comportamento abusivo nel quale la ricorrente sarebbe stata asseritamene indotta dalla presunta disparità di opportunità» [28]. Con la propria interpretazione, la Commissione finirebbe quindi per recidere il legame fra art. 102 e art. 106 TFUE, tentando di «trasformare [quest’ultimo] in una norma autonoma e di rango superiore» [29]. Il Tribunale riconosce che la controversia concerne la corretta definizione dell’onere probatorio della Commissione, e in particolare la questione se la disparità di opportunità fra operatori è condizione sufficiente per l’applicazione degli artt. 106 e 102 TFUE [30]. Per rispondere a tale questione, viene ripercorsa in modo minuzioso (ma a posteriori erroneo) [31] la giurisprudenza della Corte sull’art. 106 TFUE. Vengono in particolare analizzati sia i casi di portata generale [32], sia quelli in tema di disparità di trattamento [33]. Nella prospettiva generale, si conferma l’irrilevanza della commissione di un illecito da parte dell’impresa, essendo invece sufficiente il rischio di un abuso. Secondo il Tribunale, ciò significa però che un comportamento (almeno potenziale) dell’impresa deve essere individuato [34]. In tutti i casi in cui si è accertata la violazione degli artt. 106 e 102 TFUE si è infatti altresì determinata la condotta abusiva dell’impresa fra le ipotesi previste dall’art. 102 TFUE [35]. Secondo il Tribunale, la mera «situazione vantaggiosa rispetto ai propri concorrenti» in cui si trovi l’impresa privilegiata non può del resto costituire «di per sé un abuso di posizione dominante» [36]. Passando al tema più specifico, si riconosce che la [continua ..]
La decisione di primo grado afferma essenzialmente che (i) la creazione di una disparità di opportunità fra impresa privilegiata e altri operatori è circostanza necessaria ma non sufficiente per l’applicazione degli artt. 106, comma 1 e 102 TFUE, e che a tal fine (ii) è invece imprescindibile che la misura statale violi entrambe le disposizioni [41]. Si pone così l’accento sul comportamento delle imprese privilegiate, piuttosto che sugli effetti restrittivi che il conferimento di diritti esclusivi o speciali può avere sulla concorrenza. L’art. 102 TFUE proibisce infatti le pratiche abusive unilaterali e secondo il Tribunale, perché ne sia integrata la violazione (anche in conseguenza di una misura nazionale), è quindi necessario che una condotta unilaterale dell’impresa sia effettivamente individuata. La Commissione (e l’Avvocato generale) contesta(no) tali conclusioni, ritenendole fondate su una lettura erronea della giurisprudenza precedente [42]. L’elemento dirimente ai fini della corretta applicazione delle norme in discussione sarebbe infatti rappresentato dagli effetti anticoncorrenziali della misura statale, e in particolare dalla sua capacità di incidere sulla struttura di mercato [43], piuttosto che dalla condotta dell’impresa privilegiata. Spostare il piano dell’analisi verso quest’ultimo elemento rappresenterebbe quindi un errore di diritto [44]. La Corte accoglie tale motivo di impugnazione e sancisce che l’applicazione degli artt. 106, comma 1 e 102 TFUE richiede solamente che dalla misura statale possa derivare «una conseguenza anticoncorrenziale, potenziale o reale» [45]. L’onere della prova della Commissione è quindi limitato all’identificazione di tale conseguenza negativa, e non si estende invece alla dimostrazione di alcun «abuso diverso da quello che risulterebbe dalla situazione creata dal provvedimento statale» [46]. La sentenza cerca poi di chiarire la portata della nozione di «conseguenza anticoncorrenziale». Si precisa infatti che questa coincide con gli effetti dei provvedimenti statali che «pregiudichino la struttura di mercato, creando condizioni di concorrenza ineguali tra le imprese» [47]. In altri termini, si afferma che gli artt. 106, comma 1 e 102 TFUE sono finalizzati alla [continua ..]
L’esame approfondito delle modalità con cui le normative nazionali possono venire scrutinate alla luce delle regole antitrust esula dalle finalità del presente lavoro [49]. Si prendono quindi in considerazione solo gli aspetti necessari a consentire un miglior apprezzamento dell’approccio seguito nella sentenza in commento [50]. Va comunque premesso che la questione è collegata al tema ben più ampio dei limiti all’intervento pubblico in economia [51]. L’ordinamento dell’Unione si pone in modo apparentemente neutro con riguardo a tale problematica [52]. Da un lato, l’art. 345 TFUE sancisce infatti l’indifferenza dei Trattati rispetto ai regimi di proprietà in vigore negli Stati membri. Il diritto derivato non può quindi imporre privatizzazioni né impedire nazionalizzazioni [53], purché queste siano compiute dagli Stati membri nel rispetto dei Trattati, e in particolare delle regole di concorrenza [54]. Dall’altro lato, è proprio in tale prospettiva che s’inserisce l’art. 106, comma 1, TFUE [55], norma chiave in materia di intervento e regolazione pubblica dell’economia. Tale disposizione esprime infatti l’esigenza di un bilanciamento fra due obiettivi talvolta contrastanti, quali l’interesse dell’Unione all’integrazione – e quindi alla liberalizzazione – dei mercati nazionali e le politiche economiche dei singoli Stati membri [56]. Nonostante l’ambigua collocazione [57] fra le regole di concorrenza applicabili alle imprese, si è visto infatti che l’art. 106, comma 1, TFUE si indirizza in realtà agli Stati membri e ne sancisce la responsabilità per i provvedimenti che possono portare a una violazione del Trattato da parte delle imprese [58]. Da un lato, la norma rappresenta quindi un corollario del dovere di leale collaborazione di cui all’art. 4(3) TUE: si ribadisce cioè che gli Stati membri non possono pregiudicare la realizzazione degli obiettivi dell’Unione [59]. Dall’altro lato, l’art. 106, comma 1, TFUE ha però effetti ulteriori e più significativi: permette infatti di estendere l’applicazione di talune disposizioni del Trattato a soggetti diversi da quelli cui queste sono destinate [60]. Si è visto che fra tali [continua ..]
Le conseguenze di tale impostazione sembrano piuttosto rilevanti. In linea teorica, si ha una sorta di svalutazione della natura referenziale dell’art. 106, comma 1 TFUE e in particolare del ruolo di supporto svolto dall’art. 102 TFUE. L’irrilevanza del comportamento dell’impresa privilegiata e la centralità della parità di opportunità sono infatti principi che appaiono non perfettamente calibrati con il contenuto di una norma che vieta le condotte unilaterali abusive. Anche alla luce del ruolo dirimente assunto dalla protezione della struttura di mercato, l’art. 106, comma 1, TFUE sembra quindi divenire una norma autonoma, o meglio implicitamente funzionalizzata alla tutela della politica della concorrenza dell’Unione in sé considerata, piuttosto che finalizzata allo scrutinio delle misure statali che contrastano con una specifica disposizione fra quelle «contemplate dagli articoli […] da 101 a 109 inclusi», come previsto dall’art. 106, comma 1, TFUE. Ma soprattutto, dal punto di vista dell’attuazione concreta delle regole in discussione, l’adesione alla teoria degli effetti potrebbe consentire un’applicazione molto più incisiva dell’art. 106, comma 1, TFUE. L’effetto pratico è infatti quello di abbassare l’onere della prova che incombe sulla Commissione, la quale deve ora dimostrare solamente che l’impresa privilegiata si trova in una posizione di vantaggio rispetto agli altri operatori. La sentenza in commento chiarisce infatti che la creazione di mercati concorrenziali rappresenta un vero e proprio vincolo all’intervento e alla regolazione pubblica dell’economia, con la sola deroga dei servizi di interesse generale [114]. Anche in tale prospettiva, il caso DEI appare peraltro significativo: l’interpretazione segnatamente estensiva dell’art. 106, comma 1, TFUE che si è descritta viene infatti elaborata con riguardo ad un settore (la fornitura di energia elettrica) in cui l’interesse degli Stati membri a garantire la continuità dei servizi pubblici è particolarmente sensibile, e in cui la Corte aveva quindi tradizionalmente mostrato un approccio meno restrittivo [115]. Per le medesime ragioni, la sentenza in commento potrebbe peraltro incentivare anche l’attuazione privatistica dell’art. 106, comma 1, TFUE. Come confermato [continua ..]