Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il rinvio pregiudiziale tra tutela dei diritti soggettivi e controllo delle inadempienze statali (di Roberto Adam, Ordinario di Diritto dell'Unione europea, Scuola Nazionale dell'Amministrazione di Roma)


Il rinvio pregiudiziale ha svolto un ruolo centrale in relazione alla tutela dei diritti soggettivi nel quadro dell’applicazione del diritto dell’Unione. I Trattati prevedono in realtà delle possibilità specifiche di intervento della Corte di giustizia a tutela di quei diritti: il ricorso per annullamento di atti dell’Unione, di cui all’art. 263 TFUE, e il ricorso per inadempimento degli Stati ai loro obblighi europei, previsto dagli articoli 258 e 260 dello stesso Trattato. Ma in ambedue i casi, la possibilità di attivare la Corte da parte dei singoli interessati è o limitata o del tutto inesistente.

Sulla base di questa premessa, lo scritto esamina come il rinvio pregiudiziale, sulla spinta dell’impulso convergente degli interessi privati e dell’interesse istituzionale dei giudici nazionali, sia gradualmente venuto a giocare un ruolo di supplenza, a vantaggio dei singoli, rispetto a queste altre vie giurisdizionali. Rispetto alla tutela giudiziaria dei privati nei confronti delle istituzioni dell’Unione questa supplenza è stata infatti assicurata da quella specifica variante del rinvio pregiudiziale, che è la pregiudiziale di validità. Dal canto suo, la tutela nei confronti dei singoli Stati membri, e anzitutto nei confronti del proprio, contro limitazioni o lesioni poste a livello nazionale a diritti garantiti da norme europee, ha visto come protagonista alternativo alla procedura d’infrazione la pregiudiziale di interpretazione

Preliminary Rulings between Protection of Individual Rights and Control of State Defaults

The preliminary ruling procedure has fulfilled a central role in relation to the protection of individual rights in the context of the application of EU law. Treaties provide for specific possibilities for the Court of Justice to intervene to protect those rights: actions for annulment of Union acts under Article 263 TFEU, and infringement proceedings against member States for failure to fulfill their European obligations, set out in Articles 258 and 260 of the same Treaty. But in both cases, the possibility of activating the Court by the individuals concerned is either limited or completely non-existent.

The essay examines how the preliminary ruling procedure has gradually come to play a substitute role, to the advantage of individuals, driven by a convergence between private interests and the institutional interest of national judges. The preliminary ruling on validity is the specific variant which provides judicial protection of individuals against the institutions of the Union. While preliminary ruling on interpretation has become an important alternative to infringement procedure when it comes to the protection vis-à-vis Member States, and above all vis-à-vis an individual’s own Member State, against limitations or damages imposed at a national level on rights guaranteed by European standards.

SOMMARIO:

I. Sulla centralità del rinvio pregiudiziale per il ruolo “strutturale” giocato dalla Corte di giustizia nel sistema dell’Unione - II. Il rinvio pregiudiziale come strumento di tutela dei diritti individuali - A. nei confronti delle istituzioni dell’Unione attraverso la pregiudiziale di validità - a) Ampiezza … - b) … e limiti della esperibilità da parte degli individui dello strumento della pregiudiziale di validità - c) Gli atti che ne possono essere oggetto - d) Gli effetti della sentenza di invalidità - B. nei confronti degli Stati membri attraverso la pregiudiziale di interpretazione. - a) L’uso alternativo alla procedura d’infrazione - b) Il passaggio da un giudizio di interpretazione a uno di compatibilità - c) Gli effetti della sentenza - d) Una proposta conclusiva - NOTE


I. Sulla centralità del rinvio pregiudiziale per il ruolo “strutturale” giocato dalla Corte di giustizia nel sistema dell’Unione

Non è esagerato affermare che la Corte di giustizia è stata l’istituzione dell’Unione europea che più di ogni altra ha contribuito alla costruzione e allo sviluppo nel tempo del sistema giuridico e istituzionale dell’Unione. Si deve ad essa, del resto, la caratterizzazione costituzionale di tale sistema. Essa è stata compiuta attraverso un percorso giurisprudenziale che ha anticipato in molti casi sviluppi poi recepiti in successive revisioni dei Trattati. Un percorso che è peraltro proseguito, come si è visto in questi ultimi anni, anche di fronte al fallimento del tentativo di formalizzare quella caratterizzazione attraverso un vero e proprio trattato costituzionale. Non è naturalmente questa la sede e l’occasione per ricordare nel dettaglio quel percorso. Ma basti ricordare che è attraverso esso che si sono affermati e consolidati, a partire dalle prime pronunce sul primato e l’efficacia diretta del diritto comunitario, elementi essenziali dell’ordinamento costituzionale europeo, quali, ad esempio, la strutturazione del riparto di competenze tra l’Unione e gli Stati membri; la definizione di un equilibrio istituzionale tra gli organi dell’Unione; l’elaborazione di una serie di principi strutturali necessari al funzionamento di un sistema delineato solo per grandi linee nei suoi Trattati istitutivi; l’affermazione e il consolidamento di tutta una serie di diritti fondamentali della persona umana e dell’obbligo del loro rispetto da parte dell’Unione e degli Stati membri; la costruzione di uno status di cittadino europeo operante anche nei confronti del proprio Stato nazionale; la concretizzazione dei valori dell’Unione, a partire da quello dello Stato di diritto, come elemento comune e caratterizzante dell’appartenenza all’Unione. Ciò è stato del resto inevitabile. La Corte di giustizia è l’organo di giustizia supremo dell’ordinamento giuridico dell’Unione, il giudice, cioè, cui spetta, non diversamente dalle corti costituzionali degli Stati membri in relazione ai rispettivi ordinamenti, assicurare “il rispetto del diritto nell’interpre­tazione e nell’applicazione dei trattati” (art. 19, par. 1, 1° co., TUE). Solo che essa è chiamata ad esercitare questa sua funzione rispetto a un ordinamento, che, identificandosi con un [continua ..]


II. Il rinvio pregiudiziale come strumento di tutela dei diritti individuali

Trattandosi di uno strumento giurisdizionale basato sul presupposto dell’esistenza di una controversia giunta dinanzi al giudice nazionale, il rinvio pregiudiziale ha svolto questo suo ruolo principalmente in relazione alla tutela dei diritti soggettivi nel quadro dell’applicazione del diritto dell’Unio­ne [8]. E ciò, sia che si trattasse di tutelare quei diritti da possibili limitazioni o lesioni provenienti da atti della stessa Unione, sia che quella tutela fosse da assicurare contro limitazioni o lesioni poste, a livello nazionale, a diritti garantiti da norme europee. Per ambedue queste ipotesi i Trattati prevedono in realtà, com’è noto, delle possibilità specifiche di intervento della Corte di giustizia a tutela di quei diritti: il ricorso per annullamento di atti dell’Unione, di cui all’art. 263 TFUE, e il ricorso per inadempimento degli Stati ai loro obblighi europei, previsto dagli artt. 258 e 260 dello stesso Trattato. Ma in ambedue i casi, la possibilità di attivare la Corte da parte dei singoli interessati è o limitata o del tutto inesistente: la legittimazione attiva dei singoli a introdurre un ricorso per annullamento, infatti, è riconosciuta solo rispetto ad atti a loro indirizzati o che comunque li riguardino individualmente e/o direttamente; quella a ricorrere per inadempimento è semplicemente negata, essendo affidata interamente all’iniziativa discrezionale della Commissione [9]. Va da sé, pertanto, che il rinvio pregiudiziale, sulla spinta dell’impulso convergente degli interessi privati e dell’interesse istituzionale dei giudici nazionali, sia gradualmente venuto a giocare un ruolo di supplenza, a vantaggio dei singoli, rispetto a queste altre vie giurisdizionali.


A. nei confronti delle istituzioni dell’Unione attraverso la pregiudiziale di validità

Nei confronti delle istituzioni dell’Unione attraverso la pregiudiziale di validità. Rispetto alla tutela giudiziaria dei privati nei confronti delle istituzioni dell’Unione questa supplenza è stata evidentemente assicurata da quella specifica variante del rinvio pregiudiziale, che è la pregiudiziale di validità; la possibilità cioè, contemplata dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 267 TFUE, che la Corte di giustizia sia chiamata “a pronunciarsi, in via pregiudiziale … sulla validità … degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione”, quando la soluzione della controversia pendente dinanzi a un giudice nazionale implichi l’applicazione di un atto dell’Unione sulla cui validità vi siano dubbi. Com’è noto, si tratta di una possibilità che lo stesso TFUE configura come un’alternativa caratterizzata da un’efficacia potenzialmente “minore” rispetto al ricorso diretto di legittimità disciplinato dall’art. 263 dello stesso Trattato. Da un lato, la decisione ultima sul rinvio o meno alla Corte di giustizia della questione di invalidità di un atto dell’Unione spetta comunque al giudice nazionale. Dall’altro, il coinvolgimento della Corte può portare sì a una sua pronuncia di invalidità di quell’atto, e ciò per gli stessi motivi, com’è ovvio, elencati nell’art. 263 [10]; ma formalmente questa eventuale pronuncia non determinerà una rimozione contestuale di quell’atto dall’ordina­mento dell’Unione, ma avrà valore immediato solo per il giudice a quo, che dovrà tenerne conto nella soluzione della controversia che ha originato il rinvio pregiudiziale. La stessa Corte di giustizia ha avuto però l’occasione di interpretare questi ed altri aspetti della sua competenza, finendo per arricchirne la portata come strumento di tutela dei diritti, al punto di giustificare appieno la sua ripetuta considerazione, che “il controllo della legittimità degli atti del­l’Unione” posto in essere dai Trattati “riposa, secondo giurisprudenza costante, su due procedimenti giurisdizionali complementari”, quelli disciplinati dall’art. 263 e dall’art. 267, che danno corpo a “un sistema completo di [continua ..]


a) Ampiezza …

Una prima e sicura complementarità che la pregiudiziale di validità offre al sistema di controllo sui comportamenti delle istituzioni è quella riguardante i soggetti da cui può partire l’iniziativa processuale. In effetti, com’è noto, ai sensi del comma 4 dell’art. 263 i privati possono proporre un ricorso di annullamento per vizi di legittimità solo contro gli atti adottati nei loro confronti o che li riguardano direttamente e individualmente, e contro gli “atti regolamentari che li riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione”. Ebbene, analoghe limitazioni non si prospettano invece in sede di rinvio pregiudiziale. In applicazione dell’art. 267, i privati possono cioè portare all’attenzione della Corte, sia pure per il tramite dei giudici nazionali, eventuali dubbi di legittimità che si pongano anche rispetto ad atti dell’Unione, quali quelli legislativi o comunque a portata generale, che essi non avrebbero potuto impugnare direttamente via l’art. 263 [13]. E possono farlo, evidentemente, al di fuori di qualsiasi termine processuale, visto che l’art. 267 non subordina la ricevibilità di un rinvio pregiudiziale al rispetto di un termine entro la scadenza del quale deve essere avviata dinanzi al competente giudice nazionale la causa che mette in discussione la validità dell’atto dell’Unione in questione [14]. Ciò arricchisce senza dubbio oltre che le prospettive di tutela dei loro diritti, anche la posizione dei singoli all’interno del sistema generale posto in essere dai Trattati per il controllo della legittimità dell’azione delle istituzioni e degli organi e organismi dell’Unione. Certo, come si è appena osservato la decisione ultima sul rinvio o meno alla Corte di giustizia della questione di invalidità di un atto di questi spetta comunque al giudice nazionale, il quale, laddove fosse convinto della infondatezza della illegittimità dell’atto sostenuta dal singolo, potrebbe, se giudice non di ultima istanza, dichiararla direttamente senza bisogno di averne conferma in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia. Ma è anche vero che se avesse invece dubbi al riguardo, quello stesso giudice sarebbe obbligato, anche se non di ultima istanza, a rinviare la questione immediatamente alla Corte, perché [continua ..]


b) … e limiti della esperibilità da parte degli individui dello strumento della pregiudiziale di validità

Va anche detto, però, che questo arricchimento della posizione del singolo nel sistema di controllo della legittimità degli atti dell’Unione trova un parziale limite nell’alternatività che la Corte di giustizia ha comunque posto tra i due procedimenti giurisdizionali di controllo sulla legittimità degli atti dell’Unione. Nel pronunciarsi su taluni rinvii pregiudiziali di validità, infatti, la Corte ne ha dichiarato l’irricevibilità per il fatto che la presentazione degli stessi era stata sollecitata al giudice a quo da chi avrebbe potuto introdurre contro quel determinato atto un ricorso per annullamento ex art. 263, ma aveva lasciato passare invano il termine di presentazione dello stesso fissato dal comma 6 di tale articolo [17]. Secondo questa giurisprudenza, cioè, chi può impugnare direttamente un determinato atto dell’Unione dinanzi al giudice europeo e non lo fa, lasciando scadere il termine perentorio, previsto dall’art. 263, di due mesi dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua notificazione ovvero, in mancanza, dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza, deve essere considerato non più legittimato a contestarne la validità dinanzi al giudice nazionale ai fini dell’intro­duzione in Corte di un rinvio pregiudiziale di validità. A ben vedere, la ragione di questa giurisprudenza non sta in realtà in un’alternatività aprioristica tra i due strumenti di controllo della legittimità del comportamento delle istituzioni dell’Unione. Essa è stata, infatti, motivata dalla Corte di giustizia essenzialmente con l’esigenza di non ledere il principio della certezza del diritto. Ammettere che l’interessato che, pur potendo, non ha contestato la validità di un atto con un ricorso tempestivo diretto, possa invece farlo successivamente dinanzi al giudice nazionale, sollecitandolo a investire della questione la Corte di giustizia, equivarrebbe, ha detto quest’ultima, a riconoscere a quel privato la possibilità di eludere il carattere definitivo acquisito da quell’atto dopo la scadenza vana dei termini di ricorso [18]. E in effetti la stessa Corte ha ammesso invece la possibilità che una questione di legittimità di un atto dell’Unione venga posta contemporaneamente alla sua attenzione, tanto sulla base di un ricorso diretto di [continua ..]


c) Gli atti che ne possono essere oggetto

Dove invece la giurisprudenza della Corte di giustizia ha certamente arricchito il contributo del rinvio pregiudiziale di validità alla tutela dei diritti dei privati nei confronti degli atti delle istituzioni, è stato con riguardo al novero degli atti che ne possono essere oggetto. La Corte ha in effetti affermato fin dall’inizio che la propria competenza ad esercitare, in sede di rinvio pregiudiziale, un controllo di validità degli atti dell’Unione, va considerata indipendente dalla tipologia degli atti che l’art. 263 considera impugnabili in punto di legittimità. Il fatto che la lett. b) del comma 1 dell’art. 267, parli testualmente, e genericamente, di “validità … degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi del­l’Unione”, ha cioè permesso alla Corte di ricavarne che, a differenza del­l’art. 263 per quel che riguarda il ricorso di annullamento, l’art. 267 le “attribuisce … la competenza a statuire, in via pregiudiziale, sulla validità … degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza alcuna eccezione” [32]. La giurisprudenza della Corte su questa specifica competenza ha così aperto all’utilizzo del rinvio pregiudiziale di validità anche nei confronti di atti che i singoli non potrebbero attaccare direttamente, neppure se la loro legittimazione attiva fosse la stessa di quella assicurata dall’art. 263 ai ricorrenti privilegiati. Mi riferisco prima di tutto, evidentemente, alle raccomandazioni e ai pareri, la cui impugnazione è esclusa esplicitamente da quest’ultimo articolo, ma anche, più genericamente, agli atti non vincolanti, anch’essi sottratti al­l’ambito di applicazione oggettiva del ricorso per annullamento [33]. In passato, per la verità, la Corte di giustizia aveva mantenuto al riguardo una posizione più conservativa. Ad esempio essa aveva avuto modo di affermare che delle Conclusioni del Comitato del Codice doganale previsto dal Regolamento che ha istituito il Codice doganale dell’Unione [34], “non possono costituire oggetto di un esame di validità nell’ambito dell’art. 234 CE” [35] (l’attuale art 267 TFUE), proprio perché, pur costituendo le stesse, per loro espressa ammissione, “strumenti importanti per [continua ..]


d) Gli effetti della sentenza di invalidità

Si deve infine sempre alla giurisprudenza della Corte di giustizia il chiarimento di un ultimo punto riguardante gli effetti del rinvio pregiudiziale di validità. E anch’esso è peraltro andato nel senso di rafforzarne l’effettiva complementarietà rispetto allo strumento del ricorso diretto di annullamento previsto dall’art. 263 TFUE. Come si è prima ricordato, per sua natura intrinseca una sentenza pregiudiziale della Corte che dichiari l’invalidità di un atto dell’Unione vincola il giudice del rinvio [42]. Egli dovrà in altri termini tenerne conto in sede di soluzione della controversia di cui è stato investito e che ha dato l’origine al rinvio pregiudiziale, ad esempio non applicando l’atto dichiarato invalido. A differenza però di quanto avviene nel caso di una sentenza che ne abbia dichiarato l’illegittimità a seguito di un ricorso ai sensi dell’art. 263, l’atto non è eliminato dall’ordinamento giuridico dell’Unione fintantoché non vi provvedano formalmente le istituzioni o l’istituzione che l’hanno adottato [43]. In linea di principio ciò non pone problemi rilevanti se l’atto dichiarato invalido è un atto individuale o comunque un atto che esaurisce la sua funzione nel quadro della controversia portata all’attenzione del giudice a quo. Altra cosa è invece quando l’atto in questione abbia portata generale. Esso può infatti continuare ad esplicare i suoi effetti rispetto ad altre evenienze ed in altri contesti, pur essendo un atto la cui invalidità è stata accertata da una sentenza della Corte di giustizia. Proprio per questo la Corte di giustizia ha con chiarezza affermato che, pur avendo come diretto destinatario solo il giudice che si è rivolto alla Corte, la sentenza pregiudiziale della Corte che abbia accertato l’invalidità di un atto di un’istituzione, “in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, … costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch’esso debba emettere” [44]. Ciò perché, in un caso come questo alle esigenze relative al­l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione si aggiungono esigenze particolarmente imperiose di [continua ..]


B. nei confronti degli Stati membri attraverso la pregiudiziale di interpretazione.

Nei confronti degli Stati membri attraverso la pregiudiziale di interpretazione. È giunto ora il momento, però, di soffermarci sull’altro versante della tutela giudiziaria dei diritti individuali assicurata dal rinvio pregiudiziale: la tutela nei confronti dei singoli Stati membri, e anzitutto nei confronti del proprio, contro limitazioni o lesioni poste, a livello nazionale, a diritti garantiti da norme europee. Tale tutela rientra a pieno titolo sotto l’altra variante del rinvio pregiudiziale, che è la pregiudiziale di interpretazione. Ferma restando, infatti, la finalità centrale di garantire l’uniformità di interpretazione del diritto del­l’Unione, che ha motivato all’origine l’attribuzione di questa competenza alla Corte di giustizia, non c’è dubbio che tale competenza sia strettamente funzionale all’esigenza di assicurare che all’uniforme interpretazione delle norme dell’Unione da parte della Corte, consegua una altrettanto uniforme e corretta applicazione di queste norme all’interno degli Stati membri [48]. E non a caso, le richieste di interpretazione di norme europee poste dai giudici nazionali alla Corte attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, prendono di regola le mosse da dubbi riguardanti l’effettiva corrispondenza di comportamenti dell’autorità pubblica o di normative interne con quanto previsto da quelle norme. Questa funzione ulteriore del rinvio pregiudiziale d’interpretazione è stata del resto avallata fin da subito dalla Corte di giustizia. Proprio nella storica sentenza sul caso van Gend & Loos, essa respinse le obiezioni sollevate da alcuni Stati membri rispetto all’utilizzabilità in questa chiave del rinvio pregiudiziale di interpretazione a fronte della competenza di controllo in materia di inadempimenti degli Stati attribuita alla Commissione dal Trattato. E lo fece proprio osservando che ove le garanzie contro violazioni di norme europee da parte degli Stati membri fossero limitate a quelle offerte dallo strumento della procedura d’infrazione, “i diritti individuali degli amministrati rimarrebbero privi di tutela giurisdizionale diretta” [49]. In quella stessa sentenza veniva perciò espressamente specificato che “la vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce … un efficace [continua ..]


a) L’uso alternativo alla procedura d’infrazione

Con questa notazione, la Corte sottolineava, anticipandola, una realtà che si sarebbe andata evidenziando con sempre maggior consistenza nei decenni successivi: la difficoltà crescente della Commissione di assicurare attraverso quegli articoli un controllo effettivo e diffuso sulle violazioni del diritto europeo perpetrate in 27 Stati membri e da molteplici livelli di autorità pubblica [51]; e il ruolo di “supplenza” che in ragione di ciò è venuto gradatamente a giocare, anche in questo caso, il rinvio pregiudiziale, questa volta di interpretazione. La stessa Commissione ha del resto accompagnato, se non stimolato, negli ultimi anni questo processo, teorizzando l’opportunità di un ricorso selettivo, da parte sua, allo strumento della procedura d’infrazione. In particolare, attraverso una Comunicazione del 2016 essa ha reso nota la sua scelta strategica di concentrare quello strumento sugli inadempimenti che riflettono una pratica trasgressiva generale o un’incapacità sistemica di uno Stato di conformarsi a un determinato obbligo europeo, lasciando invece gli altri, in linea di principio, all’attenzione degli Stati membri e dei meccanismi operanti al loro interno, tra cui proprio i giudici interni [52]. Fatto sta che, come effetto combinato di questi diversi fattori, la Corte di giustizia si trova ormai a dover affrontare questioni di conformità di legislazioni nazionali alle norme dell’Unione in circa metà delle sentenze emesse a norma dell’art. 267 del TFUE, riscontrando peraltro in numerosi casi una non conformità. È ormai prassi comune, infatti, quella di rinvii pregiudiziali che attraverso una richiesta formalmente di interpretazione di norme europee mettono in discussione la compatibilità con le stesse di norme o pratiche nazionali. Così come è prassi tutt’altro che isolata che il quesito posto a Lussemburgo sia addirittura costruito direttamente, sul piano testuale, come quesito su quella compatibilità [53]; costringendo così la Corte, per non dichiararne l’irricevibi­lità, a riformulare d’ufficio lo stesso secondo uno schema coerente con la funzione interpretativa del diritto dell’Unione riservata al rinvio pregiudiziale [54]. D’altronde, la piena cittadinanza riconosciuta al rinvio pregiudiziale d’in­terpretazione [continua ..]


b) Il passaggio da un giudizio di interpretazione a uno di compatibilità

Nella realtà questo adempimento è stato declinato dalla Corte di giustizia in modi diversi. Solo raramente, infatti, la risposta che essa ha dato a questo tipo di rinvio pregiudiziale è rimasta nei confini formali appena indicati, limitandosi effettivamente a fornire al giudice nazionale l’interpretazio­ne pura e semplice della norma o delle norme europee menzionate dal rinvio. Il più delle volte, invece, quella risposta si è tradotta in sentenze costruite in maniera anche letterale sulle questioni di conformità che avevano spinto i giudici nazionali a interpellare la Corte. Ciò è evidente già dalla loro motivazione: l’interpretazione da dare alle regole europee richiamate vi viene sviluppata in un continuo confronto e rapporto con le norme o le prassi interne della cui compatibilità “comunitaria” il giudice del rinvio “sospetta”. Quanto poi al loro dispositivo esso è, se possibile, ancora più esplicito. Vi si dà conto sì dell’interpretazione da dare a quelle regole europee, ma quasi sempre attraverso la descrizione della normativa o della fattispecie interna in questione: la formulazione ormai quasi costante è, cioè, che la norma o le norme dell’Unione evocate “devono essere interpretate nel senso che esse ostano [o non ostano]” a una normativa o a una prassi nazionale che preveda o risulti atteggiata, guarda caso, esattamente come quella messa in gioco nel giudizio a quo [57]; in alcuni casi, anzi, la “nazionalità” di questa vi viene anche esplicitamente nominata (“Gli artt. 6 e 8 del Trattato … ostano a che il beneficio di una prestazione sociale di un regime non contributivo, come il minimo dei mezzi di sussistenza, previsto all’art. 1 della legge belga 7 agosto 1974, sia subordinato …” [58]). Non mancano infine esempi, seppur rari, di sentenze della Corte che, estremizzando l’uso della pregiudiziale di interpretazione in chiave surrogatoria rispetto al ricorso per inadempimento, fanno ricorso a dispositivi formulati in modo tale da essere addirittura difficilmente distinguibili da quelli delle sentenze emanate ai sensi dell’art. 258 TFUE [59]. Se è vero che nelle sue ultime due varianti questa prassi potrebbe apparire per certi versi discutibile da un punto di vista strettamente formale, va [continua ..]


c) Gli effetti della sentenza

Ciò detto, quali sono gli effetti formali di una sentenza pregiudiziale di interpretazione dalla quale si ricavi l’incompatibilità di una legge o di una prassi nazionale con il diritto dell’Unione? Com’è ovvio, dal punto di vista formale anche questo tipo di sentenza pregiudiziale produrrà, al pari di quanto abbiamo visto per le sentenze di invalidità, effetti obbligatori prima di tutto per il giudice del rinvio: egli è vincolato a tenerne conto nella soluzione della causa pendente di fronte a lui, se del caso anche disapplicando la norma nazionale contrastante [61]. Ma sostanzialmente il principio di diritto affermato dalla Corte ha valore erga omnes: esso s’imporrà così anche agli altri giudici, tanto che ne può derivare l’appli­cabilità dell’eccezione che esclude l’obbligo dei giudici di ultima istanza di rivolgersi alla Corte quando una questione interpretativa sorta dinanzi a loro sia identica o analoga ad altra da essa già decisa [62]; e quel principio s’impor­rà anche alle amministrazioni degli Stati membri, le quali saranno tenute ad applicarlo nel quadro della propria attività, anch’esse eventualmente disapplicando la norma interna contrastante. Ma soprattutto, quando una sentenza pregiudiziale d’interpretazione evidenzi la situazione appena menzionata – il contrasto cioè di una o più norme nazionali con il diritto dell’Unione –, si deve ritenere che ne derivi nell’im­mediato, accanto all’obbligo del giudice del rinvio di tenerne conto nella soluzione del caso che ha originato il rinvio, anche l’obbligo per lo Stato membro interessato di porre rimedio su un piano generale all’inadempi­mento evidenziato da quella sentenza. Quest’obbligo deriverà non tanto dalla sentenza in quanto tale, anche se il principio di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3, comma 2, TUE vincola gli Stati membri ad adottare ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi loro derivanti dal diritto dell’Unione. Ma discenderà direttamente dalla norma europea di cui l’inter­pretazione pregiudiziale ha evidenziato il mancato rispetto da parte della legislazione dello Stato [63]. Nel caso in cui lo Stato non ponga rimedio a quella violazione, la Commissione potrà [continua ..]


d) Una proposta conclusiva

A questo proposito, un’ultima considerazione. Nel corso dell’esame del rinvio pregiudiziale d’interpretazione come strumento per la tutela dei diritti soggettivi e per il controllo degli inadempimenti statali, sono emersi due aspetti di carattere generale. Il primo è che l’utilizzo a questi fini del rinvio pregiudiziale è stato interpretato nella giurisprudenza di Lussemburgo come una soluzione complementare rispetto alla procedura d’infrazione e al ricorso per inadempimento. Come abbiamo visto, la stessa Corte di giustizia ha sottolineato fin dalla sentenza van Gend & Loos, che “la vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce … un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli gli articoli 169 e 170 [gli attuali artt. 258-260 TFUE] affidano alla diligenza della Commissione” [64]. Il secondo aspetto è la progressiva scelta strategica della Commissione di concentrare il suo potere di vigilanza principalmente sugli inadempimenti di carattere sistemico, delegando agli strumenti interni agli Stati, e in particolare ai giudici nazionali, e quindi alla vigilanza dei singoli, l’azione di contrasto alle violazioni “minori”. Ebbene, dato l’indirizzo che abbiamo visto essere stato fatto proprio dalla Corte nell’utilizzo della pregiudiziale d’interpretazione in materia di presunti inadempimenti degli Stati, è lecito chiedersi se i due aspetti appena citati non possano trovare una sintesi volta a dare effettivamente maggior efficacia alla vigilanza dei singoli. E c’è ugualmente da chiedersi se questa sintesi non possa venire da un’iniziativa della Commissione che crei un ponte tra i due strumenti di vigilanza sugli inadempimenti degli Stati. Esso sarebbe possibile a diritto invariato: basterebbe infatti che, come ha fatto in passato su tanti altri aspetti delle sue attività istituzionali, la Commissione istituisca con una sua Comunicazione un proprio sistema di sorveglianza automatica sul seguito dato dagli Stati alle sentenze pregiudiziali della Corte che abbiano evidenziato loro situazioni di inadempimento al diritto europeo. Una soluzione del genere rappresenterebbe uno stimolo in più per gli Stati membri a mettersi in regola; rafforzerebbe la ricaduta positiva delle pronunce della Corte sui diritti dei singoli; eviterebbe in molti casi la necessità [continua ..]


NOTE