Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Antitrust e pluralismo dell'informazione nel diritto UE: un'alternanza in favore della democrazia (di Oreste Pallotta, Associato di Diritto dell'Unione europea, Università di Palermo)


Il presente lavoro intende occuparsi del rapporto tra la libertà di concorrenza e la tutela del pluralismo dell’informazione, il quale, pur rappresentando un tema risalente, tende purtuttavia a riproporsi di continuo, peraltro in termini costantemente diversi e sempre più problematici.

Antitrust and Media Pluralism in Eu Law: an Alternation for Democracy’s Sake

This paper intends to address the relationship between freedom of competition and the protection of media pluralism, which, despite being a long-standing issue, tends to recur again and again, albeit in constantly different and increasingly problematic terms.

SOMMARIO:

I. Considerazioni preliminari - II. Il quadro giuridico europeo a tutela del pluralismo dell’informazione - III. Segue: la regolamentazione delle grandi piattaforme mediatiche e di comunicazione - IV. Informazione e servizi di interesse economico generale: una non semplice qualificazione - V. Diritto antitrust e disciplina settoriale in rapporto variabile - VI. Conclusioni a margine - NOTE


I. Considerazioni preliminari

La questione del rapporto intercorrente tra la libertà di concorrenza e la tutela del pluralismo dell’informazione, pur rappresentando un tema risalente, tende purtuttavia a riproporsi di continuo, peraltro in termini costantemente diversi e sempre più problematici. D’altro canto, per avere un immediato flavour della dimensione e pregnanza che tutt’oggi assume il tema, basterebbe solo citare il recente caso della commercializzazione di un’applica­zione di intelligenza artificiale che, ad appena cinque giorni dal suo lancio commerciale, ha registrato cento milioni di account connessi ed almeno altrettanti cittadini globali pronti a ricevere i contenuti che, attraverso quel medium, verranno veicolati [1]. Si tratta di numeri talmente impressionanti, peraltro verosimilmente destinati ad essere addirittura surclassati da prossimi nuovi lanci commerciali in concorrenza, che da soli svelano chiaramente la portata odierna del tema della tutela del pluralismo dell’informazione e la molteplicità delle questioni sottese; difatti, da un lato, si assiste ad una crescita esponenziale del novero dei beni giuridici primari tutelabili mediante la salvaguardia del pluralismo (non trattandosi più di difendere unicamente la corretta formazione della volontà politica del cittadino, la sua libertà di espressione, nonché il funzionamento dei cd. corpi intermedi, ma di proteggere un più ampio spettro di diritti individuali, inclusa la salute e l’integrità psico-fisica dei minori); dal­l’altro lato, si è in presenza oramai di un fenomeno di portata sempre più globale, tale da richiedere sempre maggiori interventi legislativi europei di armonizzazione. Nonostante la sua attualità e rilevanza, il rapporto tra diritto generale antitrust e disciplina settoriale a tutela del pluralismo continua nondimeno ad essere non univocamente risolvibile ed a presentare diversi aspetti di complessità [2]. Ciò deriva da almeno tre ordini di ragioni: i) il pluralismo dell’informa­zione trova diretta tutela attraverso vari framework normativi (di cui si dirà appresso) molto eterogenei tra loro, oltre che, naturalmente, nelle disposizioni primarie contenute nei Trattati e nelle Carte; ii) non è affatto chiaro in che misura i servizi di media audiovisivi e, più in generale, i contenuti informativi ricadano nella [continua ..]


II. Il quadro giuridico europeo a tutela del pluralismo dell’informazione

Tralasciando in questa sede i parametri “costituzionali” rinvenibili agli artt. 10 CEDU e 11 della Carta dei diritti fondamentali [15], come anche la disciplina de iure condendo innanzi citata, il primo corpus normativo europeo a venire in rilievo in tema di pluralismo dell’informazione è chiaramente la direttiva AVMS, che richiama – mutuando una terminologia derivata dalla giurisprudenza interna della Corte costituzionale – tanto la nozione di pluralismo interno, quanto quella di pluralismo esterno. Al cinquantaquattresimo cons. della direttiva AVMS si legge infatti che, «poiché uno degli scopi dei servizi di media audiovisivi è operare nell’inte­resse dei singoli e plasmare l’opinione pubblica, è essenziale che tali servizi possano informare i singoli e la società nel modo più completo possibile e con il più elevato livello di eterogeneità» (corsivo aggiunto). Tale eterogeneità, ovviamente, può raggiungersi sia garantendo il più ampio numero di voci interne, quindi con l’apertura del mezzo mediatico alle diverse opinioni, sia – ed a maggior ragione – ponendo le condizioni di mercato affinché vi sia e permanga il maggior numero di operatori della comunicazione e del­l’informazione, quindi con la salvaguardia del pluralismo esterno. Più specificamente rivolto all’accesso delle diverse formazioni politico-sociali ai canali d’informazione è, invece, il sessantaduesimo cons. della direttiva AVMS, a mente del quale «il diritto di accedere a programmi di informazione politica è essenziale per tutelare la libertà fondamentale di essere informati e per assicurare che gli interessi dei telespettatori nell’Unione siano pienamente e adeguatamente protetti» (corsivo aggiunto). Senza potersi qui diffondere in un’analisi dettagliata delle singole disposizioni della direttiva in questione, il pluralismo esterno è specialmente tutelato dalle regole sulle modalità di finanziamento, prime fra tutte le norme sulla pubblicità commerciale (principale fonte di ricavi) [16]; quello interno mediante gli obblighi sulle quote europee, i brevi estratti di cronaca, etc. Più in generale, in base all’art. 30, par. 2, della dir. AVMS «[g]li Stati membri assicurano che le autorità o gli organismi [continua ..]


III. Segue: la regolamentazione delle grandi piattaforme mediatiche e di comunicazione

Il tema del pluralismo dell’informazione in raffronto all’ordinario atteggiarsi delle regole di concorrenza trova nuova attualità con l’adozione del Digital Services Act e del Digital Markets Act, già citati [37]. Il primo dedica amplissimo spazio ai temi del pluralismo ricollegandoli al corretto funzionamento dei sistemi democratici; il secondo – pur non intervenendo in via diretta su questi temi – indubbiamente ne favorisce la salvaguardia rendendo più competitivi i mercati digitali. Pur non essendo questa la sede per una trattazione dettagliata dei due corpus normativi, interessando qui piuttosto cogliere, appunto, le interrelazioni tra diritto antitrust e tutela del pluralismo, appare comunque utile evidenziarne alcuni aspetti proprio per quanto qui di rilievo. Sotto questo profilo, gli aspetti maggiormente salienti appaiono essere nell’ordine: a) l’ambito dei beni tutelati; b) l’introduzione di nuove fattispecie definitorie e, soprattutto, il tipo di elementi sintomatici presi in considerazione per l’individua­zione di una posizione potenzialmente pregiudizievole per il pluralismo; c) l’utilizzo massiccio di presunzioni di lesività; d) la portata dei poteri della Commissione europea. Sotto il primo profilo, si è già anticipato come dalle due novelle in questione emerga un ampliamento dell’oggetto di tutela, che viene espressamente indicato nel mantenimento dell’assetto democratico nell’UE, rispetto al quale la salvaguardia del pluralismo dell’informazione diviene a sua volta una mera politica strumentale. A tale riguardo, il Digital Services Act individua ben quattro «rischi sistemici» derivanti dallo sviluppo delle piattaforme di grandi dimensione o dai motori di ricerca di dimensioni molto grandi: i) diffusione su larga scala di contenuti illegali; ii) pregiudizio all’esercizio dei diritti fondamentali previsti dalla Carta UE, «inclusi tra gli altri la dignità umana, la libertà di espressione e di informazione, compresi la libertà e il pluralismo dei media, il diritto alla vita privata, la protezione dei dati, il diritto alla non discriminazione, i diritti del minore e la tutela dei consumatori»; iii) potenziali effetti negativi «sui processi democratici, sul dibattito civico e sui processi elettorali, nonché sulla sicurezza pubblica»; iv) [continua ..]


IV. Informazione e servizi di interesse economico generale: una non semplice qualificazione

Come si accennava in premessa, un’analisi compiuta – nell’ottica dei confini dell’antitrust – dei rapporti tra diritto UE della concorrenza e disciplina settoriale a tutela del pluralismo dell’informazione non può prescindere dalla basilare domanda in ordine alla qualificazione giuridica da assegnare ai servizi di media audiovisivi e multimediali e, più in generale, ad ogni servizio che veicoli contenuti informativi. Se si tratti, cioè, di s.i.e.g. sussumibili nell’ambito di operatività dell’art. 106, par. 2, TFUE, o meno. Anche su questo aspetto è lo stesso quadro giuridico di riferimento ad essere del tutto incerto. Provando a risistemare organicamente le diverse ipotesi normative, è possibile rinvenire almeno tre differenti qualificazioni. In base ad una prima possibile ricostruzione solo le attività della concessionaria di servizio pubblico, finanziate dalle risorse statali, ricadono nella nozione di s.i.e.g. Questa nozione soggettiva affonda le radici nell’idea storica del servizio radiotelevisivo come monopolio naturale di competenza statale ed è comunque tutt’oggi rintracciabile in tutta la filiera di atti nazionali relativi alla concessione ed esercizio del servizio pubblico audiovisivo e multimediale. Difatti, nell’atto di affidamento citato in precedenza, si afferma espressamente all’art. 1 che «[l]a concessione ha per oggetto il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale da intendersi come servizio di interesse generale». A tale ricostruzione – ampiamente opinabile perché in aperto contrasto col principio comunitario di proporzionalità – se ne aggiunge un’altra senz’altro più coerente col quadro giuridico europeo di riferimento e, soprattutto, più aderente alla necessità di un corretto contemperamento tra diritto UE della concorrenza e tutela del pluralismo dell’informazione: nell’ambito dei servizi offerti dalla concessionaria di servizio pubblico, sono s.i.e.g. solo i servizi di media audiovisivi e multimediali espressamente indicati dal man­dato di servizio pubblico. Questa nozione soggettivo-funzionalistica, che come meglio si dirà appresso, si scontra drasticamente con la realtà dei fatti e col quadro giuridico italiano che regola la materia, è però quella che più risulta in [continua ..]


V. Diritto antitrust e disciplina settoriale in rapporto variabile

Alla luce di tutto quanto sin qui delineato, non risulta – come si diceva – nemmeno univocamente definibile il rapporto tra applicazione delle regole generali di concorrenza e tutela del pluralismo, essendo rintracciabili un rapporto di inclusione, uno di esclusione ed un altro – di ambito materiale molto più esteso – di complementarità. Il rapporto di inclusione sussiste ogni qualvolta la tutela del pluralismo beneficia dell’applicazione del diritto antitrust; in questo senso il libero gioco della concorrenza (che poi nient’altro è che – con diversa terminologia – il pluralismo esterno) assurge anche a politica strumentale per la realizzazione del pluralismo dell’informazione. Come difatti evidenziato dal cinquantatreesimo cons. della direttiva AVMS, «[l]e attività delle autorità o degli organismi nazionali di regolamentazione stabilite dalla direttiva 2010/13/UE dovrebbero assicurare il rispetto degli obiettivi di pluralismo dei mezzi di informazione, diversità culturale, tutela dei consumatori, buon funzionamento del mercato interno e promozione della concorrenza leale». Sussiste dunque un’innegabile identità di fini reciproci tra la politica UE di concorrenza e la salvaguardia del pluralismo esterno, tanto che l’art. 5, co. 1, lett. a), TUSMA pone la «promozione della concorrenza nel sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia e dei mezzi di comunicazione di massa e nel mercato della pubblicità» tra i principi generali del sistema audiovisivo. In altri ambiti di disciplina, invece, tra diritto antitrust e tutela del pluralismo intercorre un rapporto di esclusione. È il caso tipico del servizio pubblico audiovisivo e multimediale finanziato dal canone pubblico. A tale riguardo, la questione su cui vale la pena soffermarsi riguarda purtuttavia l’ambito materiale di sottrazione delle attività della concessionaria dalle regole generali di concorrenza applicabili agli Stati. Difatti, in un quadro normativo del tutto generico come quello innanzi descritto e che lascia alle autorità politiche nazionali una discrezionalità talmente ampia da apparire quasi arbitraria, l’unico flebile baluardo al mantenimento della disciplina sugli aiuti di Stato è in sostanza rinvenibile nel divieto (molto generico) di sussidi incrociati, vale a dire [continua ..]


VI. Conclusioni a margine

L’analisi che precede dimostra come il pluralismo dell’informazione sia considerato dall’ordinamento UE un principio generale di rango primario, la tutela del quale ammette in determinati casi forti limitazioni alla generale disciplina antitrust UE, le cui disposizioni pure sono costantemente considerate dai giudici di Lussemburgo come norme di ordine pubblico. Ma appunto, essendo il pluralismo dell’informazione uno dei pilastri del pluralismo democratico, che affonda le proprie radici storiche nella teoria dei corpi intermedi di Montesquieu, finanche una libertà fondamentale del TFUE – quale quella di concorrenza – può rivelarsi, a seconda dei casi, recessiva o servente o comunque insufficiente. In presenza di esigenze di tutela del pluralismo dell’informazione, e con esso di salvaguardia della democrazia in Europa, il diritto antitrust UE – anche laddove residui uno spazio di sua applicazione – muta da bene-fine a bene-strumento. Il principio del pluralismo dell’informazione, dunque, non marca solo un “confine” dell’antitrust, ma ne arriva talvolta a mutare la natura dell’elemento teleologico finale. In realtà, la sentenza Vivendi ha chiarito, in termini ancor più generali, come il pluralismo dell’informazione possa essere invocato dagli Stati a titolo di esigenza imperativa e quindi, nel rispetto del principio di proporzionalità, possa costituire una limitazione a tutte le norme dei Trattati relative al mercato interno, non solo in materia di concorrenza. Ma – al di là di questo – ciò che più vale la pena osservare è come il sempre crescente bisogno di una regolamentazione ad hoc a tutela del pluralismo dell’informazione (e con essa dei sistemi democratici europei), a fronte delle nuove sfide globali poste in campo dalle grandi piattaforme on-line e dai social media, abbia negli ultimi anni notevolmente mutato la relazione tra diritto antitrust e norme settoriali. Difatti, oltre all’emersione di nuovi istituti all’interno della disciplina specifica (come le nuove fattispecie della piattaforma di grandi dimensioni o del gatekeeper), l’innalzamento del livello di rischio rispetto all’obiettivo del mantenimento di un adeguato livello di pluralismo, a causa dei cc.dd. giganti del web, ha in poco tempo mutato in radice i binari sui quali si reggeva il rapporto [continua ..]


NOTE