Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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I rinvii pregiudiziali italiani dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona al 31 dicembre 2022: uno studio sulla prassi e sulle prospettive del dialogo tra giudici italiani e giudici dell'Unione (di Jacopo Alberti, Associato di Diritto dell'Unione europea, Università di Ferrara)


Il presente articolo riporta uno studio effettuato catalogando tutti i rinvii pregiudiziali sollevati da giudici italiani dal 1.12.2009 al 31.12.2022 secondo i seguenti criteri: i) numero delle cause, pre e post riunione; ii) data di rinvio e chiusura del procedimento; iii) giudice rimettente; iv) atti nazionali ed UE oggetto del quesito; v) conclusioni dell’Avvocato generale; vi) Sezione della Corte di giustizia che ha deciso/sta decidendo la causa e vii) la procedura con cui ciò è avvenuto/sta avvenendo; viii) tipologia di atto con cui la Corte di giustizia si è pronunciata; ix) intervento in giudizio del governo italiano o di quello di altri Stati membri. Presentando ed incrociando tra loro tali dati, che riguardano un campione di 718 rinvii, lo studio offre dei dati innovativi e precisi sul dialogo tra giudice italiano e Corte di giustizia, anche alla luce delle sue prospettive future (come, ad esempio, l’entrata in vigore del nuovo art. 363 bis c.p.c. e il trasferimento di taluni rinvii al Tribunale).

Preliminary references made by Italian Judges from the entry into force of the Lisbon Treaty to December 31st 2022: practice and perspectives of the dialogue between Italian and EU Judges

This article presents a study conducted by classifying all preliminary references raised by Italian judges from December 1, 2009, to December 31, 2022, according to the following criteria: i) number of cases, pre and post-joinder; ii) referral date and closure of the proceedings; iii) referring judge; iv) national and EU acts mentioned in the question; v) Advocate General’s opinions; vi) chamber of the Court of Justice that decided/is deciding the case; vii) the procedure by which this has happened/is happening; viii) type of decision made by the Court of Justice; ix) intervention in the proceedings by the Italian government or other Member States’ governments. By presenting and cross-referencing these data (which pertain to a sample of 718 referrals), the study provides innovative and precise information on the dialogue between Italian judges and the Court of Justice. It also considers the future prospects of this dialogue, discussing the impact that may have thereon the entry into force of the new Article 363 bis of the Italian Code of Civil Procedure and the transfer of certain referrals to the General Court.

SOMMARIO:

I. Introduzione e note metodologiche - II. Preludio: i rinvii pregiudiziali italiani nel contesto europeo - III. L’origine del rinvio pregiudiziale - IV. Il rinvio pregiudiziale: è e sarà ancora un dialogo con i “piccoli giudici”? - V. Quale interlocutore per il giudice nazionale? - VI. Aspetti procedurali: le conclusioni dell’Avvocato generale - VII. Segue: la procedura decisionale usata dalla Corte di giustizia - VIII. Segue: gli interventi del governo italiano e degli altri Stati membri - IX. Le risposte della Corte di giustizia: una panoramica degli atti adottati - X. I temi e le fonti oggetto di dialogo pregiudiziale - XI. La durata del dialogo pregiudiziale - XII. Un (ulteriore) sguardo al futuro: l’applicazione della riforma del rinvio pregiudiziale al contesto italiano - NOTE


I. Introduzione e note metodologiche

Negli anni, il rinvio pregiudiziale si è lasciato studiare sotto molteplici aspetti [1]. Eppure, la «chiave di volta del sistema di tutela giurisdizionale del­l’Unione» [2] offre allo studioso e al professionista sempre nuovi spunti di ricerca e riflessione. Tra le prospettive meno esplorate, ma per questo non meno interessanti, il presente contributo ha scelto quella di analizzare questo istituto (nonché lo stato generale del processo di integrazione comunitaria: perché il rinvio pregiudiziale è, al tempo stesso, norma squisitamente processuale, ma anche teatro dell’incontro, o dello scontro, tra ordinamenti e fucina di creazione dei principi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea) attraverso lo studio della prassi dei rinvii pregiudiziali presentati dagli organi giurisdizionali italiani dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona fino al 31 dicembre 2022. Con i limiti (e le potenzialità) di ogni indagine a base empirica, questo approccio permette tanto di confermare, quantitativamente, impressioni già condivise e radicate, quanto di mettere in luce taluni elementi effettivamente nuovi e non ancora emersi nei principali dibattiti dottrinali. I dati raccolti si riferiscono ai rinvii pregiudiziali sollevati [3] da organi giurisdizionali italiani dal 1° dicembre 2009 al 31 dicembre 2022 e si basano su quanto rinvenibile nella banca dati della Corte di giustizia. L’idea di inquadrare la catalogazione prendendo in considerazione la data di esperimento del rinvio, e non già della sua decisione ad opera della Corte di giustizia, si deve alla volontà di monitorare il dialogo tra giudici sin dal suo inizio, senza dunque focalizzarsi unicamente sulla sentenza finale della Corte di giustizia, come tendenzialmente si è portati a fare. Ovviamente, la conseguenza di tale scelta è che la ricerca copre anche una serie di cause attualmente pendenti: e la definizione di quest’ultimo parametro, per sua natura in costante evoluzione, è data al 1° marzo 2023. Per quanto concerne il dies a quo della ricerca, esso è evidentemente “convenzionale”, essendo agganciato all’ultima modifica dell’art. 267 TFUE. Tale termine poteva certamente essere anteriore, dal momento che l’entrata in vigore del trattato di Lisbona non ha certamente portato novità di così [continua ..]


II. Preludio: i rinvii pregiudiziali italiani nel contesto europeo

Prima di addentrarci nell’analisi dei dati così raccolti, è utile ricordare come si colloca il nostro Paese rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea con riguardo all’esperimento di rinvii pregiudiziali; e il grafico 1, elaborato sulla base dei dati rinvenibili nell’ultima Relazione annuale sull’attività giudiziaria pubblicata dalla Corte di giustizia, [8] rende plasticamente l’idea. Nel periodo di tempo considerato dalla presente ricerca, l’Italia ha effettuato circa l’11% dei rinvii pregiudiziali pervenuti alla Corte di giustizia del­l’Unione europea – e il dato sarebbe financo di pochi punti percentuali più lusinghiero, se guardassimo la classifica all time, posto che il nostro Paese è tra i fondatori dell’Unione europea. Più rinvii vengono solo dalla Germania; merita attenzione – per motivi su cui più avanti ritorneremo – la posizione di Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Francia e Regno Unito, saldamente lontana da quella italiana. L’andamento dei pregiudiziali italiani, nel periodo di tempo qui considerato, è piuttosto regolare, e si attesta ad una media di 55 rinvii all’anno, come si evince dal grafico 2. Esso è in linea di continuità con le statistiche segnate dal nostro Paese a partire, all’incirca, dall’entrata in vigore del trattato di Maastricht in poi, quando il numero di pregiudiziali “italiani” si è assestato da qualche unità a diverse decine all’anno; [9] e ciò, naturalmente, ben può essere spiegato con la progressiva espansione delle competenze dell’Unione europea e, di riflesso, dei settori di diritto interno esposti all’influenza “comunitaria”.


III. L’origine del rinvio pregiudiziale

Poste queste premesse di ordine generale, certamente già note agli osservatori abituali del contenzioso “comunitario” ma sempre utili per collocare la presente ricerca in un contesto più ampio, passiamo ora ad esaminare più nel dettaglio il dialogo tra i giudici italiani e la Corte di giustizia; e, a tal fine, non si può che muovere dall’identificazione degli organi giurisdizionali che maggiormente cercano e attivano il confronto pregiudiziale. Come si evince dal grafico 3, una parte importante dei quesiti pregiudiziali proviene dal Consiglio di Stato. Il dato non costituisce certamente una notizia in sé, essendo stato già messo in evidenza in tempi recenti da altri commentatori [10]; ma merita comunque di essere messo in evidenza, se si pensa che tale organismo ha effettuato il proprio primo rinvio unicamente nel 1991 [11], quindi piuttosto tardi sia in senso assoluto, sia guardando all’alt­ro giudice supremo, ovvero la Corte di cassazione, che pur avendo cominciato il proprio dialogo con la Corte di giustizia nel 1976 [12] si trova, ora, saldamente dietro i giudici di Palazzo Spada. Vengono, al secondo posto, i TAR (a ulteriore dimostrazione della centralità del diritto amministrativo nel dialogo tra Corti, come vedremo ulteriormente in seguito), seguiti da quelli che il Professor Tesauro amava chiamare i “piccoli giudici” [13], ovvero i Tribunali di primo grado, civili e penali, [14] a cui si accodano la già ricordata Corte di cassazione [15] e le Commissioni tributarie. Quantitativamente, e beninteso non qualitativamente, il conto potrebbe chiudersi qui: il resto degli organismi che dialogano con la Corte, come si evince dal grafico, marca numeri chiaramente minori. E se per alcuni soggetti tale circostanza è del tutto comprensibile, per tipologia e limitato ammontare di contenzioso (o in senso assoluto, o “a vocazione europea”: si pensi alla Corte dei Conti, al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, ai Giudici di pace o a quei soggetti qui, per semplicità, etichettati come “altri” [16]), per altri essa chiama ad un attento monitoraggio e più approfondite riflessioni. Il numero di rinvii delle Corti d’appello, [17] ad esempio, è clamorosamente inferiore a quello dei Tribunali; e questa differenza non pare del tutto spiegabile con le [continua ..]


IV. Il rinvio pregiudiziale: è e sarà ancora un dialogo con i “piccoli giudici”?

Di fronte a tali dati, pare interessante chiedersi se il dialogo con la Corte di giustizia sia ancora un affare dei, cosiddetti, “piccoli giudici”. Questa, d’altronde, è la narrazione storica del rinvio pregiudiziale [26] e, per certi versi, dello stesso sviluppo dell’ordinamento dell’Unione europea, che ha visto i propri architravi generarsi su impulso dei Giudici conciliatori di Milano e Firenze (si pensi al primato, con Costa/Enel [27], o all’assenza di effetti diretti delle direttive nei rapporti tra privati, con Faccini Dori [28]), dei Pretori di Bassano del Grappa e Vicenza, che con Francovich e Bonifaci [29] hanno permesso alla Corte di sancire la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione, e ancora, in tempi più recenti, del GUP di Cuneo che ha generato la saga Taricco [30]. Il tema non è certamente nuovo; in tempi recenti, parte della dottrina [31] aveva già evidenziato l’emersione di un dialogo che non coinvolgeva più solo questi soggetti. Il grafico 6 offre ora una dimensione quantitativa del fenomeno, nonché una sua progressione temporale, nel periodo considerato nella presente ricerca. A guardare l’intero periodo considerato dalla presente ricerca, i “piccoli giudici” (ovvero “gli organi giurisdizionali avverso le cui decisioni è esperibile un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, verrebbe da dire rievocando l’art. 267 TFUE) mantengono ancora la maggioranza dei rinvii esperiti, con un rilevante 58%. Eppure, pare ormai lecito chiedersi se questa tendenza possa essere destinata ad invertirsi, nei prossimi anni. Innanzitutto, perché gli ultimi anni hanno già registrato un sorpasso dei rinvii effettuati dalle giurisdizioni di ultima istanza che, certo, non si è ripetuto nell’ultimo anno preso in considerazione nella presente ricerca, ma che comunque dimostra una modifica negli assetti consolidati del dialogo tra giudici italiani e Corte di giustizia. Inoltre, vi sono almeno due tendenze future che necessitano di essere monitorate e che ben potranno portare a ulteriori modifiche. Secondo una prospettiva “dal basso”, è giocoforza evidenziare che il numero di “piccoli giudici” potrebbe aumentare allorquando la Corte dovesse ampliare le maglie della propria giurisprudenza sulla nozione di [continua ..]


V. Quale interlocutore per il giudice nazionale?

Delineata l’origine, attuale e potenzialmente futura, del dialogo pregiudiziale, non si può che analizzare chi sia, ora, l’interlocutore dei giudici nazionali prima identificati. Come si evince dal grafico 7, nel 52% dei casi la Corte di giustizia si è pronunciata con la propria Sezione meno articolata, ovvero quella a 3 giudici; nel 43% dei casi con la Sezione a 5 giudici; solo nel 5% dei casi, e per la precisione in 26 cause, la Corte si è pronunciata in Grande Sezione. Non vi sono casi di Plenaria – d’altronde, nell’ambito dei rinvii pregiudiziali, essa è stata usata dalla Corte solamente in Pringle [39], Wightman [40] e nel caso, attualmente pendente, della European Superleague Company [41]. I dati relativi all’impiego delle Sezioni a 3 e 5 giudici risultano tendenzialmente in linea con le prassi generali della Corte di giustizia. Dall’ul­tima relazione annuale [42] emerge, infatti, che la prima viene utilizzata nel 50% dei casi, mentre la seconda nel 36% – con scostamenti, dunque, piuttosto contenuti rispetto a quanto rinvenuto con riguardo ai pregiudiziali italiani. Il grafico 8, invece, una valutazione comparata su quali Stati, nel periodo considerato dalla presente ricerca, [43] hanno visto i rinvii pregiudiziali provenienti dai propri organi giurisdizionali decisi in Grande Sezione, e per quante cause. Come è agevole evincersi, l’Italia – che, si ricorderà, nel medesimo lasso temporale è il secondo Paese membro per rinvii pregiudiziali sollevati – si trova, invece, al sesto posto per il numero di cause decise dalla Grande Sezione. E se le 79 cause “tedesche” non destano stupore, visto il numero ingente di pregiudiziali provenienti da quello Stato, maggiori riflessioni sono invece suscitate dai 31 rinvii pregiudiziali “belgi”, “francesi” e “olandesi” decisi in Grande Sezione, nonché dai 29 rinvii “britannici”. Come si ricorderà, infatti, il Regno Unito, nel periodo di tempo qui preso in considerazione, ha sollevato meno di un terzo dei rinvii italiani; Belgio, Paesi Bassi e Francia poco più della metà. Eppure, questi Stati membri marcano un numero di rinvii decisi in Grande Sezione maggiore di quelli italiani. Si potrebbe pensare – tornando ai temi già esposti in precedenza – che ciò sia [continua ..]


VI. Aspetti procedurali: le conclusioni dell’Avvocato generale

Passando agli aspetti più propriamente procedurali del dialogo tra organi giurisdizionali italiani e Corte di giustizia, tre sono le questioni che meritano una particolare attenzione. La prima concerne la pronuncia, da parte dell’Avvocato generale, delle proprie conclusioni. Come noto, a mente dell’art. 20, comma 5, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea ciò avviene quando la causa presenta nuovi motivi di diritto; questo, dunque, è un classico parametro da tenere in considerazione per analizzare l’importanza del contenzioso. Applicato alla presente ricerca, questo parametro restituisce lo scenario illustrato dal grafico 11. Nella maggioranza dei casi (circa il 65%) i rinvii pregiudiziali sollevati dagli organi giurisdizionali italiani nel periodo preso a riferimento non vedono la pronuncia, da parte dell’Avvocato generale, delle proprie conclusioni. Tuttavia, una componente importante di tale quota, pari circa al 39% dei casi, è data da casi – piuttosto ricorrenti, come più avanti si dirà – in cui al quesito pregiudiziale viene fornita una risposta “semplificata” dalla Corte di giustizia, per i più vari profili di inammissibilità, irricevibilità, incompetenza, scarsa chiarezza del quesito o esistenza di una consolidata giurisprudenza che già fornisce le opportune indicazioni all’organo di rinvio su come risolvere il dubbio interpretativo. Si tratta, dunque, di casi tendenzialmente meno rilevanti – forse non sempre per il giudice del rinvio, ma certamente per la Corte di giustizia – ed è dunque del tutto comprensibile che, in tali circostanze, l’Avvocato generale non depositi le proprie conclusioni. Depurato da tale circostanza, il quadro relativo all’impegno degli Avvocati generali nel contenzioso pregiudiziale di origine italiana torna a bilanciarsi in termini più equi. Viceversa, il grafico 12 offre una panoramica della pronuncia di conclusioni rispetto all’organo remittente, con la medesima evidenziazione di cui sopra per quei casi in cui la mancata pronuncia delle conclusioni da parte dell’Avvocato generale si riferisce a casi poi risolti dalla Corte con ordinanza. Il dato cronologico, illustrato dal grafico 13, è molto consistente nel tempo, con un tasso di cause decise dalla Corte senza le conclusioni dell’Avvo­cato generale [continua ..]


VII. Segue: la procedura decisionale usata dalla Corte di giustizia

Un secondo aspetto procedurale di sicuro interesse riguarda la procedura utilizzata dalla Corte di giustizia per pronunciarsi nei rinvii pregiudiziali italiani. La ricerca ha restituito una maggioranza assolutamente schiacciante per la procedura ordinaria, che viene utilizzata nel 99,27% dei casi decisi nel periodo di tempo considerato (a 4 dei quali [46], si noti, il Presidente della Corte ha attribuito però un trattamento prioritario, ai sensi dell’art. 53, par. 3, RPCG). Segue uno 0,38% di casi decisi con la procedura accelerata (pari, per la precisione, a 2 cause) [47] e un 0,38% di casi decisi tramite PPU (relativi, per la precisione, ad altre 2 cause) [48] . Numeri così limitati per le procedure “straordinarie” non rendono agevole tracciare riflessioni di carattere sistemico. Eppure, la loro dimensione in termini percentuali evidenzia come l’utilizzo delle procedure accelerate e d’urgenza nei rinvii pregiudiziali “italiani” è decisamente inferiore alla media realizzata dalla Corte di giustizia con riguardo agli altri Stati membri (pari a circa lo 0,7% dei casi per la procedura accelerata e a circa il 1,5% per la procedura d’urgenza) [49]. È vero che si tratta di numeri così esigui che basterebbe un aumento di poche unità per tornare pienamente in media; ma rimane comunque degno di nota che in un arco temporale di oltre 13 anni i dati si siano assestati su un valore di procedure accelerate pari circa alla metà della media europea e di procedure d’urgenza pari a poco più di un quarto di quelle attivate con altri Stati membri. Non pare potersi ritenere che le ragioni di tali discrepanze siano da cercare nella mera conoscenza, da parte dei giudici del rinvio, dell’esistenza di siffatte procedure e, quindi, della possibilità di richiederle: costituisce, anzi, esercizio piuttosto tipico degli organi di giustizia amministrativa la richiesta di trattazione della causa con la procedura accelerata, soprattutto in quei casi relativi alla materia degli appalti e delle concessioni che, nel nostro ordinamento, godono effettivamente di un rito accelerato; richiesta che, come noto agli operatori del settore, viene sistematicamente rigettata dalla Corte di giustizia. Piuttosto, una possibile ratio potrebbe forse essere individuata negli argomenti invocati dai giudici italiani: se è vero che la natura accelerata [continua ..]


VIII. Segue: gli interventi del governo italiano e degli altri Stati membri

Il terzo elemento procedurale che merita di essere analizzato nel dettaglio concerne l’intervento del governo italiano e degli altri Stati membri nei pregiudiziali sollevati dai giudici italiani. Infatti, l’intervento governativo è notoriamente cruciale per portare all’attenzione della Corte di giustizia la posizione dello Stato membro con riguardo a una determinata legislazione nazionale; non a caso, la Commissione interviene sostanzialmente nella totalità dei rinvii pregiudiziali, per fornire il proprio punto di vista sulla fonte “comunitaria” oggetto del rinvio. Il governo italiano interviene circa nel 60% dei pregiudiziali introdotti da organi giurisdizionali italiani. Analogamente a quanto già osservato con riguardo alla pronuncia delle conclusioni da parte dell’Avvocato generale, la quota di cause in cui non si ravvisa intervento governativo merita di essere “depurata” da quei casi (per la precisione, pari circa al 9%) tendenzialmente poco rilevanti; e se per le conclusioni dell’Avvocato generale si aveva fatto riferimento a tutti i casi decisi dalla Corte tramite ordinanza, in questo caso il novero va ulteriormente ristretto a solo quei casi in cui il rinvio pregiudiziale viene ritirato poco dopo la sua proposizione senza, quindi, fornire il tempo tecnico alle varie articolazioni amministrative che valutano l’opportu­nità di un intervento di pronunciarsi in proposito. Viceversa, tutte le altre circostanze di “dialogo limitato”, che fra poco esamineremo nel dettaglio, quali ad esempio i rinvii che terminano con un’ordinanza della Corte che illustra al giudice del rinvio la giurisprudenza che già risolve il dubbio interpretativo dallo stesso sollevato, ben potrebbero meritare un intervento governativo per modificare quella giurisprudenza; e, d’altronde, in diverse cause ciò effettivamente avviene, come si tornerà ad osservare più avanti [52]. Lo spaccato relativo ai giudici rispetto ai cui rinvii il governo italiano interviene, offerto dal grafico 14, dimostra che Palazzo Chigi (di concerto, è bene ricordarlo, con i Ministeri di volta in volta competenti per materia e comunque coinvolgendo l’Avvocatura dello Stato) [53] tendenzialmente interviene più assiduamente nei rinvii sollevati dai giudici di ultima istanza e da giudici, quali i TAR e le Commissioni tributarie, che [continua ..]


IX. Le risposte della Corte di giustizia: una panoramica degli atti adottati

Esaurita l’analisi dei profili procedurali, è opportuno volgere lo sguardo all’altra parte del dialogo: ovvero, agli atti adottati dalla Corte di giustizia in risposta ai quesiti sollevati dai giudici italiani. Questi atti possono dividersi, a grandi linee, in due macro-categorie, illustrate dal grafico 17. Il 56% circa degli atti adottati dalla Corte di giustizia in risposta a rinvii pregiudiziali italiani è costituito da sentenze di merito, che si pronunciano sull’interpretazione di fonti “comunitarie” (o, in rarissimi casi, sulla validità, o su entrambe) [58]. Viceversa, il 40% circa delle pronunce è costituito da una serie di ordinanze che prendono atto del ritiro del quesito pregiudiziale; che ne sanciscono, sostanzialmente, la sua scarsa rilevanza; o che affermano l’incompetenza della Corte e/o l’inammissibilità o irricevibilità del rinvio (notoriamente, la Corte utilizza queste categorie senza ricondurre alle medesime conseguenze e discipline giuridiche realmente distinte). Il restante 4% circa, per dovere di completezza, è dato da un ristrettissimo numero di sentenze “ibride”, che sanciscono sia l’inammissibilità di talune questioni, sia l’interpretazione da dare a determinate fonti dell’Unione europea in risposta a talaltri, ammissibili, quesiti; oppure ancora che ne sanciscono l’incompe­tenza, inammissibilità, irricevibilità per motivi del tutto analoghi a quelli che, nella maggioranza dei casi, portano all’adozione delle ordinanze appena ricordate [59]. La voce di gran lunga più interessante di questo elenco è data, evidentemente, da quel 40% circa di rinvii che – salvo pochi casi, su cui subito torneremo – creano, si potrebbe dire, un “dialogo limitato” tra il giudice nazionale e la Corte di giustizia. La tabella 1 permette una comprensione più accurata del fenomeno: nella colonna “numero” si riporta il numero in termini assoluti, in quella successiva la percentuale di quel tipo di ordinanza rispetto alla totalità dei rinvii decisi dalla Corte nel periodo di tempo considerato. A grandi linee, queste ordinanze possono dividersi in cinque categorie principali: i) le ordinanze applicative della giurisprudenza CILFIT [60], ai sensi degli artt. 99 e 100 RPCG; ii) le ordinanze di manifesta [continua ..]


X. I temi e le fonti oggetto di dialogo pregiudiziale

I settori e gli atti maggiormente esposti al dialogo per il tramite del rinvio pregiudiziale sono tra i temi più difficili da mappare. Definire i settori in cui si esplica il dialogo pregiudiziale, in particolare, è un esercizio con una rilevanza scientifica fortemente ambigua, perché il risultato che tale analisi può produrre è strettamente connesso alla definizione, a monte, di cosa debba ascriversi a quale settore. E definire tale parametro è, salvo pochissimi settori ancora (relativamente) facili da delimitare, attività altamente discrezionale. Ad esempio, una serie di rinvii pregiudiziali sollevati in relazione a un’occupazione abusiva di suolo pubblico da parte di operatori economici la cui concessione demaniale era da considerarsi, secondo l’ac­cusa, incompatibile con il diritto dell’Unione europea, possono afferire tanto al settore del diritto penale, quanto a quello del diritto amministrativo, a seconda della prospettiva e dei temi di ricerca che si intende mettere in evidenza [69]. Per offrire un quadro più “neutro” possibile, la presente ricerca propone una catalogazione degli specifici atti dell’Unione europea invocati dal giudice del rinvio per delineare il perimetro giuridico del quesito – analoga classificazione per le fonti nazionali oggetto di rinvio è, purtroppo, ancora scientificamente poco rilevante, perché l’assenza nella banca dati della Corte di giustizia di moltissime ordinanze di rinvio rende sovente difficile inquadrare con precisione la normativa nazionale rilevante. Eppure, anche così definito, l’obiettivo di ricerca risulta particolarmente complesso da perseguire, perché – e forse ciò è proprio quello che rende il tema così affascinante per tante, diverse, branche giuridiche – il contenzioso pregiudiziale è estremamente variegato e conosce solo in circa un terzo dei casi un novero di atti che potremmo definire come “ricorrenti” [70]. Tra essi, la posizione di gran lunga principale è ricoperta – come plasticamente illustrato dal grafico 18 – dalle Direttive in materia di appalti e concessioni, tanto nei settori ordinari che speciali; e la centralità – assai nota, a cui questo studio aggiunge solo una dimensione quantitativa – della disciplina appaltistica nel dialogo pregiudiziale [continua ..]


XI. La durata del dialogo pregiudiziale

Prima di chiudere con uno sguardo rivolto al futuro, pare interessante svolgere una breve disamina di un parametro fondamentale di monitoraggio di ogni attività giudiziaria, che non a caso ha sempre costituito un criterio fondamentale nel dettare e indirizzare le modifiche sinora occorse all’ordi­namento giudiziario dell’Unione: [80] la durata del procedimento. Occorre premettere un’annotazione di tipo metodologico: il dies a quo è stato identificato esattamente nel giorno in cui il giudice del rinvio ha pronunciato l’ordinanza di rinvio, e non già in quello in cui la medesima è stata depositata presso la Cancelleria della Corte di giustizia. Il dies ad quem è, invece, quello in cui la Corte ha pubblicato la propria pronuncia. La ratio di questa scelta risiede nella volontà della presente ricerca di calcolare il tempo effettivo del dialogo, e non già l’efficienza decisionale della Corte di giustizia; e quindi mappare il tempo che effettivamente l’incidente “comunitario” prende alle parti del processo nazionale. La discrepanza, va detto, è tendenzialmente minima, perché il tempo di notifica dell’ordinanza si aggira tra la settimana e il mese (benché, è doveroso ricordarlo, in taluni e sparuti casi sia arrivato a diversi mesi [81]). Poste queste premesse, la tabella 3 delinea la durata media in mesi dei rinvii pregiudiziali mappati dalla presente ricerca, divisi per procedura decisionale. Sono stati riportati tutti i dati disponibili, a partire dunque dal 2010; tuttavia, per le scelte metodologiche di base (analizzare tutti i pregiudiziali italiani sollevati a partire dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona), i dati relativi al 2010 e 2011 sono poco indicativi sul fronte della durata, perché ovviamente molto parziali: è del tutto evidente che la gran parte dei rinvii decisi in quegli anni è stata sollevata in un lasso temporale antecedente a quello preso in considerazione dalla presente ricerca e che, quindi, è sfuggito dalla catalogazione operata con la medesima. Per la procedura accelerata e la PPU sono stati forniti anche i dati generali relativi ai pregiudiziali di tutti gli Stati membri (quando presenti nelle Statistiche della Corte di giustizia). Si noti, infine, che la media complessiva è stata calcolata dalla totalità dei rinvii analizzati, e non [continua ..]


XII. Un (ulteriore) sguardo al futuro: l’applicazione della riforma del rinvio pregiudiziale al contesto italiano

Dopo aver discusso su come potrebbe cambiare la fisionomia (e i toni?) del dialogo pregiudiziale con l’entrata in vigore dell’art. 363 bis c.p.c., pare interessante analizzare che impatto potrebbe avere la proposta di trasferimento di taluni rinvii pregiudiziali dalla Corte di giustizia al Tribunale sul contenzioso italiano – già minuziosamente analizzata in dottrina [86] – osservando quanti e quali rinvii sarebbero stati decisi da quest’ultimo organo, ove la riforma fosse già stata in vigore a partire dal 1° dicembre 2009 (data, si ricorderà, da cui partono i rinvii analizzati dalla presente ricerca). L’esercizio, è doveroso premetterlo, ha importanti limiti di coerenza metodologica. In primis, la riforma è ancora oggetto di negoziato e, dunque, ben potrebbe cambiare (o non entrare mai in vigore). In secondo luogo, allo stato attuale dei negoziati pare che comunque la Corte di giustizia deciderà caso per caso se un determinato rinvio, rientrando esclusivamente in uno dei settori che verranno devoluti alla competenza del Tribunale, debba essere deciso da quest’ultimo, oppure necessiti di essere trattato dalla Corte medesima. In terzo luogo, al di là di questa primauté della Corte di giustizia, che si giocherà dunque sul concetto di “esclusiva” appartenenza a uno dei settori oggetto di devoluzione, non è comunque chiaro quali sia il perimetro giuridico di questi settori, ovvero quali atti giuridici debbano essere stati menzionati dal giudice del rinvio (nell’ordinanza di rinvio, in generale? Oppure solo nel quesito?) al fine di rientrare in uno dei settori oggetto di trasferimento. Infine, ogni simulazione retroattiva sconta il limite di applicare a ieri ciò che invece è stato pensato per il domani. Da tutto ciò deriva che sia estremamente difficile simulare, sulla base dei dati raccolti, cosa sarebbe successo se la riforma fosse stata in vigore nel periodo preso in considerazione per la presente ricerca e che, dunque, ogni conclusione sull’impatto della riforma del pregiudiziale nel contenzioso “italiano” non potrebbe che limitarsi a valutazioni di carattere sistemico e generale. Eppure, è parimenti vero che, paradossalmente, i limiti di tale simulazione non arrivano a sconfessare – e, anzi, mettono in piena evidenza – proprio la necessità di [continua ..]


NOTE