Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Su alcuni casi di inadempimento alle sentenze di annullamento degli atti dell'Unione europea (di Giulia D'Agnone, Ricercatrice di Diritto dell'Unione europea, Università di Camerino)


Lo scritto analizza alcuni casi in cui le istituzioni europee non danno seguito alle sentenze emesse dalla Corte di giustizia in esito a un ricorso di annullamento, non adottando gli atti sostitutivi auspicati. Ciò si riscontra, in particolare, allorché la Corte mantiene in vigore gli effetti dell’atto annullato, così che questi ultimi continuano a regolare i rapporti sorti in base all'atto, pur essendone stata prevista la caducità. Lo scritto dimostra come in simili casi le due previsioni normative di cui agli artt. 264, comma 2, e 266, comma 1, TFUE finiscono con il sovrapporsi e illegittimamente confondersi, alterando l’equilibrio istituzionale.

On some Cases of Non-Compliance with Judgments Annulling Acts of the European Union

The article analyzes several cases in which European institutions fail to comply with judgments of the Court of Justice annulling acts of the EU by not adopting new acts aimed at replacing the ones declared void. This is found, in particular, when the Court states that some of the effects of the acts which it has declared void are definitive, so that they continue to regulate the relationships arisen on the basis of that acts. The article demonstrates how the two normative provisions of Articles 264(2) and 266(1) TFEU in such cases end up overlapping and illegitimately confusing each other, altering the institutional balance.

SOMMARIO:

I. Introduzione: quadro giuridico del ricorso di annullamento e definizione del campo di indagine - II. Categorie di sentenze di annullamento della Corte di giustizia - III. Inottemperanza relativa e assoluta - IV. Segue: e discrezionalità in caso di mancata specificazione della necessità di sostituzione dell’atto - V. Complessità della ricerca delle motivazioni che giustificano il mancato adempimento alle sentenze di annullamento che indicano la necessità di adottare atti sostitutivi - VI. Esigenza di tutela della certezza del diritto - VII. Proiezione interna dell’azione di annullamento e inottemperanza - VIII. Ruolo della Commissione - IX. Conseguenze dell’inottemperanza alle sentenze di annullamento della Corte di giustizia che indicano la necessità di sostituzione dell’atto annullato: ultrattività degli effetti dell’at­to… - X. Segue: e difficoltà a rimuovere dall’ordinamento gli effetti dell’atto annullato - XI. Considerazioni conclusive - NOTE


I. Introduzione: quadro giuridico del ricorso di annullamento e definizione del campo di indagine

Il ricorso di annullamento costituisce un procedimento centrale nel sistema di controllo giurisdizionale degli atti dell’Unione, anche perché attraverso di esso le istituzioni, gli Stati membri e le persone fisiche o giuridiche possono, nei limiti definiti dall’art. 263 TFUE, ricorrere direttamente alla Corte di giustizia dell’Unione europea [1], con l’effetto che, ogniqualvolta un atto risulti affetto da uno dei vizi indicati dai Trattati [2], dovrà essere dichiarato “nullo e non avvenuto” (art. 264 TFUE). L’atto, infatti, poiché geneticamente viziato, viene espunto dal sistema delle fonti per mezzo di una dichiarazione di invalidità con effetti ex tunc ed erga omnes, salva la possibilità di evitare un vuoto normativo e garantire la certezza del diritto attraverso una limitazione nel tempo degli effetti della sentenza (art. 264, comma 2, TFUE) [3]. I giudici europei possono dunque fare salvi gli effetti dell’atto, i quali non possono più discendere da quest’ultimo, poiché annullato [4]. Tale effetto costitutivo delle sentenze di annullamento della Corte di giustizia va letto in combinazione con l’obbligo, gravante sulla/e istituzione/i da cui emana l’atto dichiarato illegittimo, di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la piena osservanza della sentenza (art. 266, comma 1, TFUE). Le istituzioni godono, in principio, di piena discrezionalità quanto alla scelta delle modalità attraverso le quali ottemperare alla sentenza [5]: spetterà dunque loro individuare le misure più idonee a porre rimedio all’illegittimità contestata e a ricostituire la situazione preesistente al­l’emanazione dell’atto annullato, conformandosi al principio di diritto individuato dai giudici europei [6]. La libertà nella scelta degli strumenti non toglie che, in caso di mancata esecuzione da parte delle istituzioni, possa essere esperita un’azione in carenza unitamente a un’azione di responsabilità extracontrattuale. In alcuni casi la libertà di scelta degli strumenti è, invero, in larga parte ridotta. Si tratta di quegli episodi in cui la Corte di giustizia, oltre a disporre l’annullamento, indica anche la necessità che sia adottato un atto sostitutivo privo dei vizi che hanno condotto all’annullamento [continua ..]


II. Categorie di sentenze di annullamento della Corte di giustizia

Per poter verificare in quali casi le istituzioni non danno (piena) esecuzione alle sentenze di annullamento della Corte di giustizia può rivelarsi utile, in via prioritaria, disaminare le diverse tipologie. Si tratta essenzialmente di tre tipologie di sentenze di annullamento. Appartengono alla prima categoria quelle decisioni della Corte che annullano l’atto impugnato, senza nulla aggiungere riguardo alla sorte degli (o anche solo di alcuni) effetti dello stesso, i quali dunque sono rimossi ex tunc dall’ordinamento. Il motivo in tal caso risiede, evidentemente, nel fatto che non si ravvisa la necessità di tenere in vita una parte degli effetti prodotti dall’atto dichiarato “nullo e non avvenuto”. Si differenziano da questa prima ipotesi quelle sentenze nelle quali la Corte di giustizia ritiene invece opportuno fare salvi gli effetti dell’atto annullato, principalmente per motivi di certezza del diritto. Nell’ambito di questa categoria di sentenze bisogna distinguere i casi nei quali la Corte manifesta la necessità che, pur essendo salvi gli effetti dell’atto annullato, sia comunque adottato un atto che sostituisca quello viziato, da quelli in cui essa tace riguardo tale necessità. Nel primo caso la formula generalmente utilizzata è quella secondo cui “gli effetti [dell’atto annullato] sono mantenuti in vigore sino a quando/ fintantoché/ fino all’entrata in vigore/ adozione/ non sia adottato [un nuovo atto]” [11]. Al riguardo, peraltro, talvolta la Corte fa un generico riferimento a un termine “ragionevole” entro il quale dovranno essere adottate le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza; altre volte, invece, indica con precisione un termine – più o meno lungo, a seconda delle circostanze – entro il quale l’atto sostitutivo dovrà essere adottato. Nonostante quella sopra descritta sia la formula generalmente utilizzata nel caso in cui sono fatti salvi gli effetti dell’atto annullato ai sensi dell’art. 264, comma 2, TFUE, si riscontrano – seppur con frequenza decisamente minore – anche decisioni nelle quali nulla viene detto riguardo alla necessità che sia adottato un nuovo atto. Anche in merito a tale tipologia di sentenze è opportuno effettuare una distinzione. Infatti, ci sembra che in alcuni casi l’assenza di una simile [continua ..]


III. Inottemperanza relativa e assoluta

Alla luce delle diverse tipologie di sentenze di annullamento che la Corte di giustizia può emettere, è possibile comprendere più agilmente in cosa possa consistere la mancata esecuzione delle stesse. Al riguardo, dall’indagine dei comportamenti delle istituzioni successivi alla pronuncia di annullamento emerge che la mancata ottemperanza si realizza, talvolta, attraverso un ritardo – spesso significativo – nell’adozione di un nuovo atto conforme al principio espresso dalla Corte; altre volte, consiste in un’inerzia totale, a carattere non meramente temporaneo ma che, al contrario, si protrae nel tempo. In entrambi i casi il presupposto è che la Corte, nell’annullare l’atto impugnato, ne abbia fatti salvi gli effetti (o solo alcuni) in conformità a quanto previsto dall’art. 264 TFUE, e che ne abbia altresì disposto la sostituzione. Infatti, nel caso in cui la Corte non abbia indicato come necessaria (neanche nelle motivazioni della sentenza) la sostituzione dell’atto annullato, si può ritenere che rientri nel margine di discrezionalità che l’art. 266 TFUE riconosce alle istituzioni la valutazione circa l’opportunità di adottare un nuovo atto. Anche la scelta di non procedere in tal senso potrebbe soddisfare perciò l’obbligo di “prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta”. Per quanto riguarda i casi che potremmo definire di “inottemperanza relativa”, ci si riferisce a quegli episodi in cui i giudici europei, nell’annullare un atto, indicano un termine entro il quale dovranno essere adottate le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza [17]. Rispetto a tale tipologia di decisioni, nonostante il carattere perentorio della formula generalmente impiegata [18], non di rado le istituzioni politiche adottano il nuovo atto senza rispettare la scadenza loro indicata dall’istituzione giudiziaria. Così, a titolo esemplificativo, si può citare il caso Parlamento e Commissione c. Consiglio deciso il 1° dicembre 2015 [19], nel quale la Corte di giustizia, accogliendo i motivi delle due istituzioni ricorrenti, ha annullato il regolamento (UE) n. 1243/2012 [20] poiché fondato su una base giuridica non appropriata (art. 43, par. 3, TFUE, invece del par. 2 del medesimo articolo) e ha stabilito che gli [continua ..]


IV. Segue: e discrezionalità in caso di mancata specificazione della necessità di sostituzione dell’atto

Nel quadro sinora descritto ci sembra che un’autonomia concettuale debba essere riconosciuta ai casi in cui i giudici europei annullano l’atto impugnato, facendone salvi gli effetti, senza specificare la necessità che sia adottato un atto sostitutivo. È già stato sottolineato come in una simile circostanza, in realtà, vadano tenute distinte due diverse ipotesi: quella in cui l’obbligo di adottare l’atto sostitutivo sia comunque desumibile dal corpo della sentenza; e quella in cui un simile obbligo non emerga, invece, né dalle motivazioni né dalla parte dispositiva della sentenza. Ebbene, mentre la prima categoria di sentenze parrebbe assimilabile a quella, in precedenza individuata, in cui la Corte di giustizia fa salvi gli effetti dell’atto annullato indicando che un atto sostitutivo deve essere adottato entro un termine ragionevole (quantificato o meno), più problematiche, ai nostri fini, sembrerebbero le sentenze riconducibili alla seconda delle ipotesi sopra delineata. In buona sostanza, ci si domanda se costituisca inadempimento anche il caso in cui la sentenza di annullamento non statuisca nulla circa l’adozione di un atto sostitutivo. Così, ad esempio, nel già citato caso relativo alla posizione da assumere in sede di Consiglio di cooperazione istituito nell’ambito dell’accordo rafforzato di partenariato e di cooperazione tra l’Unione europea e il Kazakhstan, è stato in precedenza osservato che tanto la parte dispositiva quanto le motivazioni della sentenza nulla dicono riguardo alla necessità che sia adottato un atto sostitutivo [32], nonostante, invero, un riferimento al riguardo venisse fatto nelle conclusioni dell’Avvocato generale [33]. Benché annullata, la decisione n. 2017/477 risulta ancora formalmente in vigore [34]. La mancata adozione di una nuova decisione del Consiglio può dunque considerarsi un inadempimento alla sentenza, nonostante quest’ultima nulla dica in merito alla necessità di adottare un nuovo atto sostitutivo? Ebbene, al riguardo si potrebbe obiettare che l’obbligo di adottare l’atto sostitutivo costituisca concretizzazione dell’obbligo, stabilito dai Trattati, di prendere i “provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza della Corte”. In realtà, la sostituzione dell’atto annullato è [continua ..]


V. Complessità della ricerca delle motivazioni che giustificano il mancato adempimento alle sentenze di annullamento che indicano la necessità di adottare atti sostitutivi

Decifrare i presupposti e le ragioni dell’inottemperanza delle istituzioni alle sentenze di annullamento che indicano la necessità di adottare atti sostitutivi si rivela un’operazione indubbiamente più complessa allorché si guardi alla categoria di casi che abbiamo definito di inottemperanza a carattere assoluto. Infatti, allorché non venga rispettato il termine indicato dalla Corte di giustizia per l’adozione di un atto sostitutivo di quello annullato o, più in generale, l’inadempimento si protragga nel tempo, ma pur sempre per un periodo comunque determinato, si potrebbe in qualche modo ipotizzare che il ritardo sia da ascrivere a una più strutturale e generalizzata lentezza nel­l’adozione degli atti a livello europeo [37], piuttosto che a una precisa intenzione della o delle istituzioni di sottrarsi agli obblighi su di essa/e incombenti a fronte di un pronunciamento della Corte. In realtà, un simile ritardo è difficilmente giustificabile se si tiene in debita considerazione che, in simili casi, non si tratta di concordare ex novo il contenuto di un atto, bensì, il più delle volte, di riproporre lo stesso contenuto sul quale è già stato raccolto in precedenza il consenso delle istituzioni coinvolte nel processo decisionale, adeguandolo al principio espresso dalla Corte di giustizia, che richiede per lo più modifiche piuttosto puntuali, o di adottarlo con un iter procedurale diverso. Occorre peraltro evidenziare che non è sempre agevole distinguere gli episodi di semplice ritardo da quelli in cui si realizza una inottemperanza a carattere assoluto, in quanto animati da una chiara intenzione delle istituzioni di non adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. È comunque presumibile che il decorso di un significativo lasso di tempo dalla scadenza del termine indicato dalla Corte di giustizia per l’adozione di un atto sostitutivo di quello annullato (da valutare al netto della fisiologica o comunque accettabile lentezza del processo legislativo), sia rivelatore del­l’intenzione delle istituzioni di sottrarsi in maniera definitiva all’obbligo di adottare le misure di esecuzione della sentenza stabilito nei Trattati all’art. 266, comma 1, TFUE.


VI. Esigenza di tutela della certezza del diritto

Nei casi in cui la Corte di giustizia indica la necessità che siano adottati atti sostitutivi di quelli annullati facendo salvi gli effetti di questi ultimi, proprio la tutela della certezza del diritto, che rappresenta il fondamento della statuizione in favore del mantenimento degli effetti ex art. 264, comma 2, TFUE, potrebbe paradossalmente rappresentare una delle motivazioni a fondamento dell’inadempienza. L’esigenza di dare attuazione a tale principio emerge con particolare evidenza nel caso in cui l’atto invalido riguardi l’azione esterna dell’Unione, in quanto le relazioni con altri soggetti di diritto internazionale potrebbero essere compromesse da un improvviso vuoto normativo [38]. Eppure, per tale motivo, proprio nei casi in cui i giudici europei abbiano reso definitivi gli effetti di un atto annullato, le istituzioni politiche potrebbero ritenere non necessario – e addirittura inopportuno – adottare un nuovo atto sostitutivo di quello annullato: ossia per evitare che la successione di atti diversi generi incertezze. Si potrebbe così ipotizzare che, paradossalmente, sia proprio l’esigenza di certezza giuridica a fungere da giustificazione al­l’inottemperanza delle istituzioni alle sentenze di annullamento che fanno salvi gli effetti degli atti annullati. Una simile ricostruzione, tuttavia, non è condivisibile. Come è stato già in precedenza ricordato, infatti, nell’ambito del processo volto a eliminare dall’ordinamento europeo un atto viziato, l’esigenza di garantire la certezza del diritto è soddisfatta dalla Corte, ove ritenuto opportuno, mediante il mantenimento in vigore degli effetti dell’atto annullato, ex art. 264, comma 2, TFUE. Cosa diversa è, invece, l’esigenza che l’atto annullato venga sostituito. Come più sopra accennato, infatti, la Corte di giustizia potrebbe anche ritenere non (più) necessaria la sostituzione dell’atto annullato, perché si è già prodotta tutta una serie di effetti giuridici. In tal caso, ci sembra che ricada nella discrezionalità riconosciuta alle istituzioni politiche la scelta di provvedere o meno alla sostituzione dell’atto. Al contrario, ove i giudici europei reputino invece opportuna l’adozione di un nuovo atto sostitutivo, come nella maggior parte dei casi avviene, il margine di [continua ..]


VII. Proiezione interna dell’azione di annullamento e inottemperanza

Ci pare rappresentare un elemento rilevante ai fini della comprensione della condotta (rectius omissione) delle istituzioni politiche a seguito delle pronunce di annullamento della Corte di giustizia il fatto che i casi osservati hanno riguardato essenzialmente episodi di atti viziati per errore nella scelta della base giuridica [40]. È stato in effetti evidenziato dalla stessa Corte che “in considerazione di motivi di certezza del diritto, gli effetti [dell’atto annullato] possono essere mantenuti in particolare qualora gli effetti immediati del suo annullamento comporterebbero conseguenze negative per le persone interessate e la legittimità dell’atto impugnato sia contestata non a causa della sua finalità o del suo contenuto, ma per motivi attinenti all’in­competenza del suo autore o alla violazione di forme sostanziali. Tali motivi comprendono, in particolare, l’errore commesso in ordine alla base giuridica dell’atto impugnato” [41]. Gli effetti giuridici degli atti annullati sono dunque fatti salvi principalmente nei casi in cui il vaglio di legittimità operato dalla Corte è volto a garantire l’equilibrio di poteri tra le istituzioni, risultando privo di proiezione esterna. La dimensione puramente interna di alcuni ricorsi di annullamento implica che le istituzioni li promuovano essenzialmente per riaffermare le proprie competenze (come nel caso più comune, ossia quello di ricorsi da parte del Parlamento europeo) o, comunque, a salvaguardia dell’equilibrio istituzionale (ruolo, questo, affidato alla Commissione) [42]. Di conseguenza, in questi casi la sentenza di annullamento parrebbe essere considerata un rimedio in re ipsa pienamente satisfattivo per la parte ricorrente, che non sembra tanto nutrire interesse nell’effettiva rimozione dell’atto dall’ordinamento europeo e nell’adozione di un nuovo atto legittimo, quanto nel riconoscimento stesso, all’interno della pronuncia, di una violazione delle proprie prerogative o, più in generale, dell’equilibrio sancito dai Trattati. È perciò il carattere dichiarativo della sentenza a rappresentare, di per sé stesso, una forma di soddisfazione per l’istituzione ricorrente, mentre la parte costitutiva della pronuncia, che è tesa a rimuovere l’atto viziato dall’ordinamento, sarebbe, se non irrilevante, [continua ..]


VIII. Ruolo della Commissione

È curioso osservare come sia proprio sull’istituzione chiamata a svolgere il ruolo di “custode dei trattati” a gravare la responsabilità primaria dell’inottemperanza alle sentenze di annullamento pronunciate dalla Corte di giustizia. Infatti, all’attenzione della Commissione nel promuovere ricorsi di annullamento in caso di violazione del principio dell’equilibrio istituzionale, non fa seguito una altrettanto viva attività volta ad assicurare l’adozione di nuovi atti privi dei vizi che hanno affetto gli atti espunti dall’ordinamento mediante l’annullamento pronunciato dai giudici europei. Spetta infatti proprio alla Commissione presentare quanto prima nuove proposte di atti sostitutivi, proposte che invece, frequentemente, non risultano adottate. Dunque, la causa principale del ritardo o dell’inottemperanza assoluta non è tanto da attribuire – come ci si potrebbe aspettare – all’inerzia dei co-legislatori e, in particolare, del Consiglio dei ministri (il cui comportamento è il più delle volte censurato dalla Corte di giustizia in casi di scelta erronea di base giuridica, e che potrebbe perciò essere più restio alla sostituzione degli atti), quanto all’inerzia della Commissione, ossia proprio l’istitu­zione votata a garantire la corretta osservanza del diritto europeo e che, nella maggior parte dei casi, promuove i ricorsi di annullamento. Pare quasi che, nei casi in cui l’azione di annullamento sia priva di proiezione esterna, la Commissione consideri esaurito il suo ruolo nella proposizione del ricorso di annullamento, al fine di ottenere indicazioni circa possibili lesioni dell’equilibrio istituzionale, più che all’individuazione e al­l’esp­unzione degli atti viziati dall’ordinamento europeo, con il conseguente ripristino (ove possibile) della situazione antecedente.


IX. Conseguenze dell’inottemperanza alle sentenze di annullamento della Corte di giustizia che indicano la necessità di sostituzione dell’atto annullato: ultrattività degli effetti dell’at­to…

Mentre nei casi in cui la Corte di giustizia dispone il mantenimento degli effetti dell’atto senza la sua sostituzione non parrebbero sorgere particolari problemi, qualora siano fatti salvi gli effetti dell’atto annullato e disposto che quest’ultimo debba essere sostituito, la questione della vigenza degli effetti dell’atto annullato, allorché le istituzioni non ottemperino a tale obbligo, si fa più complessa. Infatti, gli effetti dell’atto annullato sono resi definitivi dai giudici europei immaginando che lo siano per un tempo determinato, nell’attesa, e nella consapevolezza, di un prossimo intervento sostitutivo da parte del legislatore europeo. In caso di inadempimento, invece, tali effetti rimangono in vigore ben oltre il tempo preventivato dalla Corte: fino al momento dell’effettiva esecuzione della sentenza (in caso di inottemperanza relativa) o, addirittura, in modo permanente (inottemperanza assoluta). È dunque complesso stabilire le conseguenze derivanti dall’inottemperan­za alle sentenze di annullamento. Occorre al riguardo tenere distinti, quantomeno nell’analisi, i casi in cui la Corte di giustizia indica con precisione un termine – più o meno lungo – entro il quale deve essere adottato l’atto sostitutivo, da quelli in cui le sentenze facciano meramente riferimento alla necessità di adempiere nei tempi ritenuti più opportuni o, addirittura, nulla dicano al riguardo. Quanto alla prima ipotesi, è evidente che i giudici europei intendono garantire la vigenza degli effetti dell’atto annullato per un periodo di tempo ben determinato, addirittura talvolta molto stringente, di pochi mesi. Così che, allo spirare di tale termine, si potrebbe ipotizzare che l’efficacia di tali effetti debba cessare. Con la conseguenza che, ove si assista a una contemporanea inottemperanza da parte delle istituzioni, si verrebbe a creare un vuoto normativo. In questo modo la limitazione nel tempo degli effetti del­l’atto annullato ad opera della sentenza non sarebbe perciò in grado di raggiungere il proprio scopo, ossia quello di garantire la certezza del diritto. Tuttavia, da una più attenta analisi della giurisprudenza della Corte si deduce che il termine da quest’ultima indicato non riguarda direttamente la vigenza dell’atto, bensì quantifica la ragionevolezza del termine entro [continua ..]


X. Segue: e difficoltà a rimuovere dall’ordinamento gli effetti dell’atto annullato

Tale vigenza oltre il periodo previsto (e prevedibile) dalla Corte di giustizia degli effetti sopravvissuti all’annullamento dell’atto può creare peraltro un problema di carattere pratico, che riguarda la rimozione di tali effetti dall’ordinamento. Infatti, la circostanza che il controllo di legittimità che ha condotto al­l’annullamento dell’atto sia originato da una questione meramente interistituzionale in principio non esclude che la vigenza oltremodo prolungata degli effetti di quello stesso atto possa presentare ulteriori problemi di legittimità. Si pensi al caso in cui si riscontri l’opportunità di sollevare un rinvio pregiudiziale di validità rispetto agli effetti ultrattivi dell’atto annullato. O, ancora, all’eventualità di un ricorso per inadempimento a carico di uno Stato membro che si presuppone aver violato gli effetti (fatti salvi dalla sentenza) di un regolamento annullato. Ebbene, in simili casi si pongono evidenti problemi quanto alla possibilità di impugnare l’atto originario, in quanto annullato e dunque (idealmente) non più esistente nell’ordinamento europeo. Né chiaramente sarà la sentenza della Corte di giustizia a poter essere sottoposta a vaglio di legittimità anche perché, evidentemente, non è la pronuncia dei giudici europei ad essere illegittima, bensì la susseguente condotta (rectius omissione) delle istituzioni. Di conseguenza, gli effetti dell’atto annullato continueranno ad avere vigenza in forza della pronuncia della Corte che li ha resi definitivi e per l’inottemperanza (relativa o assoluta) alla stessa, senza che sia possibile altrimenti eliminarli dall’ordinamento. Avverso tale anomalia giuridica potrà essere promosso solo un ricorso in carenza per violazione dell’obbligo previsto dall’art. 266, comma 1, TFUE, al fine di indurre le istituzioni ad adempiere e a sanare l’irregolare situazione giuridica creatasi. Ricorso che, peraltro, non ci risulta essere mai stato presentato.


XI. Considerazioni conclusive

Quello dell’equilibrio istituzionale costituisce un “principio normativo strutturale” [45], che implica che le istituzioni devono rispettare le prerogative attribuite loro dai Trattati [46]. Come è stato infatti più compiutamente illustrato, “[l]’equilibrio istituzionale all’interno della Comunità non si fonda sul principio della divisione dei poteri proprio dello Stato di diritto, quanto piuttosto su un principio di divisione delle funzioni in virtù del quale le funzioni della Comunità devono essere esercitate da quelle istituzioni che sono state al meglio predisposte dai Trattati a tale scopo. A differenza del principio della divisione dei poteri […] il principio della divisione delle funzioni è rivolto ad un effettivo raggiungimento delle finalità della Comunità” [47]. È proprio a tale logica che risponde la norma di cui all’art. 266, comma 1, TFUE, che fa sì che spetta all’istituzione che ha adottato l’atto annullato identificare e adottare le misure più idonee a dare esecuzione alle sentenze [48]. Tuttavia, nel caso in cui siano annullati degli atti a portata generale, la discrezionalità lasciata alla/e istituzione/i da cui è originato l’atto annullato è spesso piuttosto limitata: come è emerso dalla giurisprudenza citata, infatti, sono piuttosto infrequenti, anche se non rari, casi in cui le istituzioni sono libere di scegliere se adottare o meno un atto sostitutivo di quello annullato. Al contrario, nella maggior parte dei casi è la Corte stessa a indicare la sostituzione dell’atto quale misura più idonea. In tali circostanze, è evidente come l’esercizio della funzione legislativa ai sensi dell’art. 266 TFUE risulti piuttosto vincolato, dato che le istituzioni sono tenute al rispetto del principio definito dalla Corte, e altro non potrebbero fare che legiferare in conformità allo stesso. Il legislatore, in tal caso, risulta un mero “agente” – per utilizzare un’espressione già adoperata in dottrina – della Corte di giustizia [49]. Nonostante ciò risponde proprio al principio della divisione delle funzioni l’esigenza che, nonostante la Corte possa fare salvi gli effetti di un atto annullato, siano proprio le istituzioni politiche ad intervenire adottando [continua ..]


NOTE