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La chiusura dello spazio aereo: il caso della misura restrittiva adottata dall'Unione europea nei confronti della Russia in occasione del conflitto ucraino

Mario Barbano

La chiusura dello spazio aereo dell'Unione a vettori e aeromobili russi costituisce una misura restrittiva avente un significativo impatto economico e valore simbolico. Il contributo ne fornisce un'analisi sotto il profilo del diritto internazionale e dell'Unione. Premessa una breve panoramica delle misure restrittive che interessano il settore aereospaziale russo e alcuni cenni alla disciplina delle sanzioni internazionali, è esaminato il rapporto tra misure restrittive e diritto aeronautico. Dopo un'analisi dell'art. 89 della Convenzione di Chicago del 1944 sono definite le condizioni alle quali tali misure possono essere ritenute compatibili con il diritto internazionale. Successivamente, l'analisi relativa al diritto dell'Unione europea si sofferma sulle problematiche connesse alla base giuridica alla luce della rilevante giurisprudenza dell'Unione. In conclusione, si evidenzia la “forza espansiva” dall'art. 215 TFUE, capace di incidere sulla politica estera dell’aviazione, settore caratterizzato da basi giuridiche ed equilibri istituzionali propri, nonché l'importanza di una gestione “federale” delle crisi di politica estera a livello europeo in uno scenario di crescenti tensioni globali.

Parole chiave: Spazio aereo – servizi aerei – Convenzione di Chicago – art. 215 TFUE – Russia – guerra in Ucraina.

Airspace closures: the case study of the EU restrictive measure adopted against Russia following the Ukraine invasion

The closure of EU airspace to Russian aircrafts and carriers is a restrictive measure of economic and symbolic relevance. The paper analyses this measure through the lens of both international and European Union law. After an overview of the restrictive measures impacting the Russian aerospace industry and a concise analysis of international countermeasures, the relation between restrictive measures and air law is further addressed, with a focus on Article 89 of 1944 Chicago Convention. At EU level, the assessment of the legal basis and of the relevant case-law from the Court of Justice of the European Union (CJEU) reveals the “expanding power” of Article 215 TFEU. The measure at stake, in fact, impacts on EU external aviation policy, which has its own legal basis and institutional balances. In a scenario characterized by growing global tensions, a “federal” approach to crisis seems crucial in the future evolution of EU external policy.

Keywords: Airspace – Air services – Chicago Convention – Art. 215 TFEU – Russia – Ukraine War.

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Sommario:

I. Introduzione - II. Lo scenario attuale: le misure adottate nei confronti della Russia nel settore aerospaziale - III. Le misure restrittive nel diritto internazionale generale (cenni) - IV. La chiusura dello spazio aereo nel diritto aeronautico: i principi desumibili dalla Convenzione di Chicago - V. Segue: fattispecie concreta - VI. Le misure restrittive nel diritto dell’Unione europea: il “doppio binario” dell’art. 215 TFUE - VII. Segue: oggetto della misura restrittiva e scelta della base giuridica - VIII. Conclusioni di sintesi: un delicato equilibrio tra pragmatismo politico e coerenza del sistema - NOTE


I. Introduzione

I drammatici eventi che si susseguono in Ucraina a partire dall’invasione russa del 24 febbraio 2022 rappresentano un momento particolarmente delicato della storia europea [1]. Il conflitto, che costituisce l’ulti­ma fase di scontri iniziati nel 2014, conta ad oggi molte decine di migliaia di vittime e ha sconvolto le vite di milioni di europei [2]. A fronte di questo scenario, l’Unione europea è stata chiamata a fornire una risposta coordinata al­la crisi, da una parte sotto forma di sostegno umanitario [3], militare [4] ed economico [5] all’Ucraina e, dall’altra parte, attraverso l’imposizione di misure restrittive [6] nei confronti della Russia e in particolare di alcuni soggetti e imprese. Tali misure integrano (e inaspriscono) quelle già adottate dall’Unione a partire dal 2014 [7], in conseguenza dell’annessione della Crimea e delle ingerenze nelle province ucraine del Donbass [8] e si affiancano ad analoghi provvedimenti dei partner strategici dell’Unione [9]. Le misure restrittive hanno interessato molteplici settori delle relazioni diplomatiche e commerciali con la Russia, oltre a colpire individui coinvolti nelle decisioni del suo esecutivo [10]. Il presente contributo si propone di analizzare la misura restrittiva della chiusura dello spazio aereo dell’Unione a vettori e aeromobili russi, provvedimento che ha suscitato notevole risonanza per l’impatto economico [11] e per il valore simbolico [12]. Premessa una breve panoramica delle misure restrittive che interessano il settore aereospaziale russo (par. II) e alcuni cenni alla disciplina delle sanzioni internazionali (par. III), sarà possibile approfondire il rapporto tra misure restrittive e diritto aeronautico (par. IV), al fine di chiarire le condizioni alle quali tali misure possono essere ritenute compatibili con il diritto internazionale (par. V). Successivamente, ci si soffermerà sul diritto dell’Unione europea (par. VI), analizzando le problematiche connesse alla scelta della base giuridica e verificando la compatibilità con la giurisprudenza dell’Unione in materia di misure restrittive (par. VII). In conclusione, saranno formulate alcune osservazioni di sintesi sull’evolu­zione della prassi applicativa dell’art. 215 TFUE (par. VIII).

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II. Lo scenario attuale: le misure adottate nei confronti della Russia nel settore aerospaziale

Le misure restrittive che interessano il settore aerospaziale sono riconducibili a due categorie, la chiusura dello spazio aereo (flight bans) e le restrizioni alle esportazioni (export control). In relazione alla prima categoria, con la decisione (PESC) 2022/335 e il reg. (UE) 2022/334, l’Unione ha chiuso il proprio spazio aereo ai vettori e agli aeromobili russi [13]. Questa misura non deve essere confusa con la chiusura dello spazio aereo ucraino ai vettori dell’UE, decisa all’insorgere del­l’escalation dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (European Air Safety Agency – EASA) [14] per scongiurare il ripetersi di incidenti simili a quelli del tragico volo MH17, abbattuto nel 2014 durante i combattimenti nella regione del Donbass [15]. In concreto, l’art. 3-quinquies del novellato reg. (UE) n. 833/2014 vieta il decollo, l’atterraggio e il sorvolo del territorio dell’Unione a qualunque aeromobile operato da vettori russi, nonché a velivoli immatricolati in Russia o comunque controllati da qualsiasi individuo o entità ricollegabile alla suddetta [16]. Sono fatte salve le ipotesi di atterraggio o sorvolo di emergenza ovvero di autorizzazione in deroga per voli con scopi umanitari [17]. L’attuazione della misura è stata affidata a Eurocontrol quale gestore di rete dei servizi di controllo del traffico aereo [18], mentre gli Stati membri sono tenuti a sanzionare qualunque condotta elusiva [19]. Per quanto concerne il secondo profilo, l’Unione ha vietato l’esportazione in Russia di prodotti a duplice uso (civile e militare) [20] e specifici beni e tecnologie adatti all’uso nell’aviazione e nell’industria spaziale [21]. Il divieto si estende anche alla prestazione di servizi connessi, quali riparazioni e assistenza tecnica, assicurazioni e finanziamenti [22]. Allo stesso tempo, sono state limitate le esportazioni verso la Russia di additivi per avio-carburanti [23], nonché di motori e di altri componenti necessari per la fabbricazione di aerei e di aeromobili senza pilota (c.d. droni) [24]. A tali sanzioni sono seguite “contro-misure” russe, tra tutte il divieto di sorvolo dello spazio aereo russo [25], la nazionalizzazione mediante immatricolazione degli aeromobili acquistati in leasing da imprese occidentali [26], la sospensione di numerosi [continua ..]

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III. Le misure restrittive nel diritto internazionale generale (cenni)

In senso stretto, per sanzioni internazionali si intendono le misure coercitive adottate da uno Stato, in esecuzione di una decisione di un soggetto internazionale competente in risposta a una violazione del diritto internazionale da parte di un altro Stato [30]. A tale definizione sono riconducibili le sanzioni irrogate dal Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), in base al Capitolo VII della Carta [31], definite anche multilaterali proprio perché presuppongono l’esistenza di un organo sovraordinato, la cui competenza in tal senso è riconosciuta dalla comunità internazionale. La prassi, tuttavia, evidenzia un insieme di misure che gli Stati adottano unilateralmente per reagire al presunto illecito internazionale dello Stato destinatario. In quanto strumento di autotutela, tali sanzioni – c.d. autonome – devono trovare giustificazione nel diritto internazionale generale, pena il rischio di essere qualificate anch’esse quale illecito internazionale (circostanza che potrebbe verificarsi, ad es., quando la misura incide sul rispetto di ob­blighi derivanti da un trattato). Occorre, pertanto, far riferimento alla nozione di contromisure [32], ossia quelle misure adottate «nei confronti di uno Stato che sia responsabile di un atto internazionalmente illecito soltanto al fine di indurre quello Stato a conformarsi ai propri obblighi» [33]. In tal caso, l’illiceità (astratta) della sanzione è esclusa se sono soddisfatti alcuni requisiti, tra i quali vi sono la proporzionalità e la temporaneità della stessa [34]. Le contromisure possono essere anche collettive, ossia adottate da Stati diversi da quello leso per assicurare la cessazione dell’illecito [35]. Infatti, la violazione grave di una norma di jus cogens internazionale, per la sua efficacia erga omnes [36], può far insorgere in capo agli Stati l’obbligo di cooperare per porvi fine con «mezzi leciti» [37]. L’uso della forza da parte della Federazione Russia è avvenuto in violazione del divieto di cui all’art. 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite [38], come dichiarato dall’Assemblea ONU [39]. Non sembra pertanto dubbio che, nella fattispecie, sussistano i presupposti per l’adozione di contromisure quali quelle di cui trattasi. Ciò premesso in termini [continua ..]

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IV. La chiusura dello spazio aereo nel diritto aeronautico: i principi desumibili dalla Convenzione di Chicago

L’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile (International Civil Aviation Organization – ICAO) è stata tra le prime agenzie del­l’ONU a condannare le azioni della Federazione Russa [40]. A fronte della suc­cessiva chiusura dello spazio aereo da parte dell’Unione, taluni hanno tuttavia sollevato la questione della compatibilità della misura con il diritto internazionale aeronautico [41]. Al riguardo, in assenza di un regime specifico in materia di sanzioni economiche nel settore del trasporto aereo, deve farsi riferimento ai principi contenuti nella Convenzione di Chicago del 1944 («Convenzione» o «CC») [42]. Come è noto, quest’ultima è rilevante anche sotto il profilo del diritto dell’Unione: poiché tutti gli Stati membri ne sono parti contraenti [43], la CC può, pur non vincolando l’Unione [44], incidere sul­l’interpretazione di disposizioni di diritto derivato che, come quelle in esame, rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione stessa [45]. Innanzitutto, è opportuno ricordare che la Convenzione riconosce la sovranità «piena ed esclusiva» di ciascuno Stato contraente sullo spazio aereo che sovrasta il proprio territorio (art. 1 CC) [46]. La ratio di tale principio – già affermato dalla previgente Convenzione di Parigi [47] e riconosciuto dal diritto internazionale consuetudinario [48] – si fonda sulla volontà degli Stati di salvaguardare le proprie prerogative militari (tutela da minacce esterne) [49] e commerciali (approccio protezionistico) [50]. Di conseguenza, al di là delle c.d. libertà tecniche [51], la Convenzione annovera numerose disposizioni che subordinano espressamente il sorvolo all’autorizzazione dello Stato interessato, come previsto peri aeromobili di Stato (art. 3, lett. c) CC) e aerei civili adibiti a servizi di linea (art. 6 CC) [52]. Inoltre, gli Stati conservano il potere di limitare o vietare il sorvolo di una parte o dell’intero territorio nazionale per ragioni di carattere militare o di sicurezza pubblica (art. 9 CC) [53]. La Convenzione ammette quest’ultima restrizione solo se applicata senza distinzione di nazionalità pertanto, una misura restrittiva come quella in commento, discriminatoria per sua stessa [continua ..]

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V. Segue: fattispecie concreta

La chiusura dello spazio aereo dell’Unione, in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sembra quindi trovare fondamento nel­l’interpretazione del principio di sovranità sullo spazio aereo alla luce del­l’art. 89 CC e del diritto internazionale generale. Circa lo stato di guerra di cui all’art. 89 CC, oltre a quanto già detto sulla violazione dell’art. 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite [77], si evidenzia che la Corte di giustizia, nel pronunciarsi su una clausola di salvaguardia simile, contenuta nell’Accordo di partenariato UE-Russia, ha ritenuto sussistente tale stato ancor prima dell’escalation del conflitto [78]. Per quanto concerne la libertà di azione, la misura restrittiva incide sui collegamenti aerei tra Unione e Russia, con rilevanti ricadute economiche, ma non incide direttamente sulla sicurezza della navigazione aerea, dal momento che le disposizioni del regolamento (UE) 2022/334 prevedono apposite eccezioni in caso di voli umanitari o emergenze in volo [79]. La posizione dell’Unione nel conflitto non incide su tale valutazione, in quanto la suddetta libertà di azione è riconosciuta sia ai Paesi belligeranti che a quelli neutrali. Infine, per quanto riguarda il requisito di proporzionalità [80], la circostanza che la contromisura interessi obblighi internazionali inerenti ad un ambito differente da quello in cui si collocano le contestazioni allo Stato destinatario (i.e., sviluppo dell’aviazione civile vs rispetto dell’integrità territoriale) non appare idonea a qualificare la stessa come sproporzionata. Del resto, la prassi conferma che, in una controversia tra Stati, rilevano non solo considerazioni di carattere economico, ma anche l’importanza delle questioni di principio che derivano dalla presunta violazione [81]. Anzi, sussistono fondati argomenti per qualificare la misura in commento come mezzo lecito e proporzionato di contromisura collettiva in virtù del diritto internazionale generale e aeronautico [82]. Occorre ora concentrare l’ana­lisi sul diritto dell’Unione europea, a partire dall’esame della base giuridica.

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VI. Le misure restrittive nel diritto dell’Unione europea: il “doppio binario” dell’art. 215 TFUE

Le misure restrittive sono uno strumento con cui l’Unione promuove il rispetto dei propri valori fondamentali [83] e del diritto internazionale [84], nel­l’ambito della propria azione esterna, in esecuzione di sanzioni internazionali disposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ovvero, in via autonoma, a titolo di contromisura. I Trattati istitutivi non prevedevano un’espressa competenza dell’Unione in materia di sanzioni internazionali, limitandosi a imporre, al riguardo, un obbligo di consultazione tra Stati membri [85]. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, alcune restrizioni alle importazioni trovarono fondamento nella politica commerciale comune [86]. Successivamente, il Trattato di Maastricht ha inserito un’espressa base giuridica in materia, l’art. 301 TCE, applicabile ai soli provvedimenti nei confronti di Stati terzi [87]. La disciplina vigente, introdotta dal Trattato di Lisbona, è contenuta nell’art. 215 TFUE [88] e nelle disposizioni del Capo 1, Titolo V del TUE relative alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) [89]. L’art. 215 TFUE svolge una delicata funzione di coordinamento tra la PESC, trasversale per sua natura [90], e le politiche materiali dell’Unione disciplinate nel TFUE, delineando una procedura definita come “doppio livello” o “binario decisionale” [91]. Innanzitutto, il Consiglio, con decisione PESC adottata ex art. 29 TUE [92] definisce il contenuto e gli obiettivi della sanzione, ossia, per quanto di nostro interesse, «l’interruzione o la riduzione, totale o parziale, delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi» [93]. Successivamente, se l’oggetto della misura rientra nell’ambito di applicazione del TFUE, il Consiglio, adotta un altro atto legislativo contenente «le misure necessarie» [94]. Nel silenzio della norma, questo secondo atto – di attuazione della decisione PESC – è un regolamento, come attestato da una prassi che riflette le esigenze di immediata e uniforme applicazione della sanzione nel territorio dell’Unione [95]. Pur provenendo entrambi dal Consiglio, i due atti in esame sono adottati con quorum differenti: le decisioni PESC sono deliberate al­l’unanimità [96], mentre il successivo regolamento è adottato a [continua ..]

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VII. Segue: oggetto della misura restrittiva e scelta della base giuridica

La complessità del meccanismo decisionale sopra esaminato riflette la circostanza che i Trattati non riconducono espressamente le misure restrittive a una categoria di competenze dell’Unione [114]. Nondimeno, in virtù del richiamo all’art. 29 TUE e della prassi applicativa, è possibile trarre alcune considerazioni di carattere sistematico. Occorre ricordare che il presupposto giuridico delle misure è costituito da una decisione PESC, settore in cui le competenze dell’Unione sono individuate non tanto ratione materiae, quanto per la loro finalità. Infatti, i Trattati attribuiscono all’Unione il potere di definire e attuare la PESC senza definirne i contenuti [115], e di distinguere la PESC dalle altre politiche dell’Unio­ne [116]. Di recente, proprio in relazione al menzionato principio di separazione tra competenze PESC e competenze TFUE, il Tribunale ha escluso che la competenza, ai sensi dell’art. 29 TUE, possa essere messa in discussione dal fatto che l’Unione abbia specifiche competenze interne nel settore interessato dalla misura PESC. Tali competenze, difatti, si completano a vicenda [117]. Il requisito della previa decisione PESC, contenuto nell’art. 215 TFUE, implica, così, un ampio margine di flessibilità in termini di contenuti sostanziali della misura restrittiva [118]. Quanto sopra trova riscontro nella prassi applicativa, da cui risulta che l’art. 215 TFUE offre una base giuridica per qualunque misura rientrante nell’ambito di applicazione del Trattato (e in particolare della PESC), anche in relazione ad un settore regolato non direttamente dall’Unione, bensì dagli Stati membri [119]. Tale impostazione, pur riflettendo una lettura evolutiva del principio di attribuzione [120], pone alcuni problemi sotto il profilo sistematico. Innanzitutto, l’espansione dell’ambito di applicazione dell’art. 215 TFUE incide anche sul complessivo equilibrio istituzionale, precludendo l’inter­vento del Parlamento in materie per cui specifiche basi giuridiche lo prevedono espressamente [121]. In secondo luogo, l’interpretazione di cui sopra potrebbe contrastare con il principio della prevalenza di una competenza specifica su quella generale [122]. In base a tale principio quando l’intervento sanzionatorio incide su una competenza esterna attribuita [continua ..]

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VIII. Conclusioni di sintesi: un delicato equilibrio tra pragmatismo politico e coerenza del sistema

L’analisi svolta ha evidenziato come la misura restrittiva di chiusura dello spazio aereo fonda la propria legittimità, sotto il profilo del diritto internazionale generale, sulla nozione di contromisura, nonché, per quanto concerne il diritto aeronautico, sul principio di sovranità come declinato, in caso di guerra, ai sensi dell’art. 89 della Convenzione di Chicago. In relazione al diritto dell’Unione europea, la base giuridica dell’art. 215 TFUE conferma, quale “cerniera” tra la PESC e le materie disciplinate nel TFUE, una propria forza espansiva capace di incidere su settori, come quello della politica estera dell’aviazione, caratterizzati da basi giuridiche ed equilibri istituzionali propri. Questa tendenza appare in linea con la giurisprudenza dell’Unione più recente, benché non si possa nascondere, almeno a rigore, il rischio di intaccare il principio di separazione tra PESC e altre politiche del­l’Unione sancito all’art. 40 TUE. Tale rischio appare, però, limitato dall’art. 275.2 TFUE, e dalle competenze che esso attribuisce alla Corte di giustizia, la quale potrebbe, ove del caso, sindacare eventuali eccessi di discrezionalità politica rispetto alla coerenza dell’azione esterna [146]. Ciò premesso, è innegabile, specie alla luce del conflitto ucraino, che l’attuale scenario di tensioni esterne richieda sempre più una gestione “federale” delle crisi a livello europeo, e potrebbe forse valere la pena – ma certa­mente non può essere questa la sede – cominciare a interrogarsi più in generale se la dotazione normativa dei Trattati, e l’intera costruzione della PESC rispetto alle altre competenze dell’Unione, non sia meritevole di un aggiornamento. A latere, non può tacersi che la combinazione tra la chiusura dello spazio aereo e le restrizioni alle esportazioni, funzionale a colpire l’aviazione civile russa [147], ha avuto significative ricadute sull’industria e sui vettori aerei del­l’Unione [148], già colpiti dalle conseguenze della pandemia [149]. In tal senso, se questo scenario dovesse protrarsi a lungo [150], la risposta dell’Unione dovrà coniugare la dimensione interna ed esterna del proprio mercato dell’avia­zione civile. A conferma di un evidente [continua ..]

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NOTE

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