Il presente articolo fa il punto sulla res judicata nelle procedure monitorie e sul suo difficile rapporto, attesa l’autonomia processuale, col primato del diritto dell’Unione.
Fermo il carattere di principio processuale riconosciuto anche da quest’ultimo ordinamento, l’excursus giurisprudenziale richiamato nell’articolo dà atto della ricerca di soluzioni alternative al superamento dell’indiscutibilità della res judicata, al punto che soltanto ove si determini una violazione delle attribuzioni dell’Unione, la Corte di Giustizia ha riconosciuto la possibilità di superare il giudicato.
L’autonomia processuale statale potendo modulare la portata e gli effetti del giudicato, dà la possibilità in alcuni ordinamenti, ove si sia in presenza di norme di ordine pubblico, di procedere ad un riesame della fattispecie quando l’effettività di queste norme non si sia potuta assicurare in altre fasi del processo e la loro violazione risulti dal quadro probatorio disegnato dalle parti che permetterebbe anche un controllo officioso nel rispetto del principio dispositivo. Il riconoscimento del carattere di ordine pubblico alla normativa sui consumatori apre la strada, in virtù del principio di equivalenza, alla possibilità di riesaminare la decisione passata in giudicato.
L’attenzione si è focalizzata quindi sull’effettività della garanzia processuale e quindi sulla struttura del processo nazionale riconoscendosi la possibilità di superare il giudicato anche con riguardo a quegli ordinamenti che, pur in presenza di violazione di norme di ordine pubblico, non ammettono il riesame.
È ciò che si verifica con l’ordinamento italiano sì che, a seguito della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, viene ora riconosciuta la possibilità di riesame del provvedimento monitorio, divenuto res judicata per assenza di opposizione. Le caratteristiche strutturali, infatti, impediscono da un lato alla parte di valutare l’opportunità di instaurare il contraddittorio e, dall’altra, di operare un pieno controllo officioso nel rispetto del principio dispositivo. Il rinvio della garanzia del primato alla fase dell’esecuzione appare l’unica soluzione possibile.
This study takes stock of the national res judicata in injunction procedures and its difficult relationship, according the procedural national autonomy, with the primacy of Union law.
Without prejudice to the character of procedural principle, also recognised by the Court of Justice as res judicata, the jurisprudential excursus, referred to in this study, acknowledges the search for alternative solutions to overcome the indisputable nature of res judicata. Only if an infringement of the Union’s powers is established, the Court of Justice has recognized the possibility of overcoming the “res judicata”.
Where there is an infringement of public policy rules, State procedural autonomy, by being able to modulate the scope and effects of the res judicata, gives the possibility in some national systems, to carry out a review of the case where the effectiveness of those rules, it could not have been ensured at other stages of the proceedings, while the judge also may note that infringement ex officio on the framework evidence designed by the parties.
The recognition of the public policy character of consumer law opens the way, in accordance with the principle of equivalence, the possibility of reviewing the final decision, including by means of an official check made possible on the basis of the arguments put forward by the parties.
The attention has therefore been focused on the effectiveness of the procedural guarantee and therefore on the structure of the national process recognizing the possibility of exceeding the res judicata also with regard to those procedural systems that, in the presence of violation of public policy rules, they won’t allow review.
It is what happens with the Italian legal system where, following the recent jurisprudence of the Court of Justice, the possibility of reviewing the injunctions, which have become res judicata due to the absence of opposition, is now recognized.
The structural characteristics prevent both the party from assessing the appropriateness of establishing a contradictory, and the other to operate full officious control in compliance with the parts availability principle.
Deferring the guarantee of primacy to the enforcement stage of the proceeding seems to be the only possible solution.
I. Il giudicato garanzia di certezza - II. Autonomia processuale: tra primato e res judicata - III. I consumatori tra interesse privato e ordine pubblico - IV. Il consumatore fra effettività e principio dispositivo - V. … e tra imperatività e giudicato - VI. Il giudicato e l’effettività alla prova della tutela monitoria - VII. Il procedimento di ingiunzione italiano fra giudicato e tutela del consumatore - VIII. Conclusioni - NOTE
Il principio del giudicato è presente pressoché in tutti gli ordinamenti con diverse connotazioni, sia in quelli di civil law che in quelli di common law [1]. La sua intangibilità, nel suo profilo preclusivo sia di carattere processuale che sostanziale, ben sintetizzato nel noto brocardo fecit quadrata rotundis, può considerarsi un principio generale posto a presidio della certezza del diritto e della titolarità delle situazioni giuridiche anche nell’ordinamento dell’Unione, assurgendo al rango di principio processuale anche di questo ordinamento [2]. L’autonomia processuale statale [3] può attribuire al giudicato effetti di portata diversa perché il principio secondo cui il detto effetto riguarderebbe pure le premesse, costituenti il necessario antecedente e fondamento logico della pronuncia, ne estende la portata oltre la decisione di cui forma il presupposto logico giuridico [4]. È il problema che pone il c.d. “giudicato implicito” quanto a quelle questioni di diritto, connesse logicamente con i profili direttamente toccati dalla decisione e non disaminate, che non potrebbero essere più messe in discussione in un successivo giudizio proprio per la formazione del giudicato [5]. La res judicata s’è dovuta confrontare, sul piano applicativo, col primato del diritto dell’Unione [6] che, come noto, si traduce di fatto in un limite alla sovranità statale e va, perciò, a limitare i poteri statuali [7]. Né può prescindersi dal considerare il riparto di competenze fra Unione e Stati membri, derivante dalla partecipazione al Trattato, che impone di considerare le norme processuali nazionali come neutre rispetto al diritto dell’Unione [8], ferma restante la garanzia di effettività ed equivalenza fra situazioni giuridiche garantite dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione [9]. Gli Stati membri, in ossequio al principio di autonomia processuale, restano liberi di organizzare e strutturare il funzionamento del loro sistema procedurale [10], nel rispetto dei principi comuni rappresentati dalle competenze di attribuzione, dall’effetto utile dell’effetto diretto, dalla parità delle armi fra le parti, dal contraddittorio e dal termine ragionevole dei procedimenti, fermo il primato del diritto dell’Unione [11]. Questo [continua ..]
Il giudicato, inteso come principio di diritto processuale, viene considerato in tutti gli ordinamenti come connaturale caratteristica della tutela giurisdizionale e tale sua portata è stata ribadita anche al livello dell’Unione, trovando più volte conferma nelle pronunce della Corte di Lussemburgo. Si spiega così la difficoltà di salvaguardare da un lato l’autonomia processuale nazionale, di cui le norme sulla portata del giudicato costituiscono espressione, e dall’altro di garantire il primato ove si verifichi un contrasto. Il contemperamento di questi due principi ha condotto la Corte di Giustizia a ricercare soluzioni ispirate ai noti principi di effettività e di equivalenza operando sulla base di essi quel check and balances idoneo a ricercare la soluzione più idonea a salvaguardare la certezza del diritto connessa al giudicato, fin dove è possibile, conciliandola col primato. Si spiega così perché la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in luogo di prospettare sic et simpliciter una neutralizzazione del giudicato, in vista dell’obiettivo, s’è preoccupata di esplorare soluzioni alternative, quali la possibilità di sfumarne la portata. Le stesse pronunce che sono state a volte superficialmente interpretate come un passo in avanti nella direzione del superamento del giudicato vanno lette con estrema cautela [19]. Emblematica è la posizione assunta da Corte giust. 30 settembre 2003, C-224/01, Kobler [20], che rappresenta, per molti versi, una pietra miliare. Viene evidenziato, in primo luogo, che “… al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione” [21]. La soluzione alternativa alla possibilità di ridiscutere la res judicata, La individuata in questa pronuncia, è costituita dalla risarcibilità del pregiudizio derivante dalla violazione del diritto dell’Unione, determinatasi col giudicato [22] contrastante, piuttosto che la rimozione dei suoi effetti. In altri termini, pur non ridiscutendosi il decisum, l’accertamento in esso contenuto non [continua ..]
Si aprono su queste basi prospettive interessanti con riferimento, ad esempio, alla direttiva 93/13 CE, del Consiglio del 5 aprile 1993 “concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori” [50] che ha come obiettivo il riequilibrio dell’assetto di interessi fra le parti – una più forte e l’altra più debole – e che risponde, per questa via, non solo e non tanto ad una salvaguardia di interessi privati, quanto, e ancor più, ad esigenze di carattere pubblicistico, non dissimili da quelle rilevate in Lucchini [51]. La protezione del consumatore quale contraente debole, pur nella diversa connotazione che ne viene data in sede di recepimento negli ordinamenti nazionali, assume un’efficacia particolare [52]. Alla luce dei considerando 8), 9) e 16) [53] della direttiva 93/13, si delinea la portata imperativa del quadro normativo contenuto nell’articolato e, in particolare, nell’art. 6, che pone specifici obblighi di risultato quanto all’inefficacia edittale di clausole abusive, eventualmente inserite in contratto [54]. Parimenti è a dirsi dell’art. 8, il cui tenore testuale espressamente conferma il carattere fondamentale della protezione del consumatore, rispetto all’intero sistema [55]. La portata imperativa di queste norme e del loro peso all’interno dell’ordinamento è stato oggetto di un lento riconoscimento operato dalla giurisprudenza. Si è infatti assistito ad un’evoluzione graduale dalla consapevolezza dello squilibrio, al rimedio, all’imperatività, all’interesse generale fino alla parificazione alle norme interne di ordine pubblico in un’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a conformare gli strumenti processuali e, per questa via, la stessa res judicata all’obiettivo di tutela perseguito. È un iter giurisprudenziale ricchissimo per il quale si richiameranno soltanto le pronunce più rilevanti ai fini del presente studio. La prima di esse è la sent. 27 giugno 2000, C-249/98 e C-244/98. Oceano Grupo Editorial [56] nella quale la Corte, rilevando la posizione di inferiorità del consumatore, individua la soluzione allo squilibrio contrattuale nella facoltà, riconosciuta al giudice nazionale, di rilevare l’abusività della clausola alla luce del bagaglio processuale, [continua ..]
Occorre a questo punto confrontarsi col principio dispositivo per verificare fin dove il controllo officioso possa inscriversi in un approccio conformativo dello stesso nell’ottica di tutela del consumatore e quale incidenza possa avere l’eventuale soluzione adottata sul giudicato, in particolare su quello implicito. Va rammentato che il principio dispositivo, proprio del processo civile, per la Corte è insuperabile [73], non potendo il sindacato officioso estendersi oltre l’oggetto del giudizio circoscritto dalle parti. Il riconoscimento del carattere imperativo e di ordine pubblico delle norme della direttiva 93/13 non può forzare la portata dell’autonomia processuale fino al punto di andare oltre gli “… elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine …” di cui si dispone per essere gli stessi acquisiti al processo. In altri termini è tutto quanto allegato dalle parti, benché non specificatamente dedotto, che viene considerato oggetto di acquisizione processuale e che può spingere il giudice ad esercitare il sindacato di ufficio. Ove le acquisizioni agli atti apparissero carenti, può aprirsi la strada dell’interpello delle parti e, per questa via, la rilevazione di ogni ulteriore elemento utile per decidere. Ciò sia nei procedimenti sommari che in quelli a contraddittorio pieno. In Lintner il principio dispositivo viene letto in un’ottica sostanzialistica e non formalistica nell’individuazione del petitum e della causa petendi [74], onde la disamina officiosa dell’abusività nasce dagli stessi obiettivi di interesse generale perseguiti dalla direttiva 93/13 [75]. La necessità di utilizzare la tecnica del marge d’appreciacion nell’ottica dell’effettività consente alla Corte di bilanciare la tutela del consumatore col principio dispositivo, che rappresenta il vero limite al controllo officioso [76]. Ove l’abusività, di contro, non venisse affatto dedotta il giudice non potrebbe andare oltre i limiti del contesto fattuale disegnato dalle parti [77], precludendosi il controllo ope judicis. Più chiare della Corte, quanto alla portata del sindacato officioso, sono le conclusioni dell’avvocato generale che estende la possibilità della disamina alle “…clausole contenute nei contratti stipulati con i consumatori, anche nel [continua ..]
Se la parificazione della normativa sui consumatori a quelle a presidio di un interesse pubblico può considerarsi un dato acquisito, un problema che si è posto con riguardo al principio dispositivo è quello dei profili riflessi del giudicato, discendenti per intima connessione logica con quando oggetto di accertamento giudiziale. È la situazione che può verificarsi quando il giudice abbia avuto cognizione solo di alcune clausole contrattuali non estendendo l’accertamento di abusività all’intero contratto. La Corte ha avuto modo di occuparsi dei profili riflessi del giudicato nella sent. 26 gennaio 2017, C-421/14, Banco Primus [81].In essa si è avuto riguardo a clausole che non erano state investite dal controllo giurisdizionale, essendosi focalizzata l’attenzione del giudicante sui profili del contratto direttamente dedotti in giudizio e ritenuti contrastanti con la normativa sui consumatori. Ad avviso della Corte l’indiscutibilità del giudicato doveva limitarsi [82] a ciò che era stato oggetto di diretta cognizione e pronuncia da parte del giudice, escludendosi, di contro, ogni rilievo con riguardo a clausole non disaminate e a profili meramente riflessi [83]. È interessante la tecnica utilizzata per giungere a tale conclusione: se la tutela del consumatore non può sempre spingersi fino al punto di ridiscutere un giudicato già formatosi, tuttavia la res judicata viene riconnessa solo a ciò che è stato dedotto e che, per questa via, è stato nella diretta cognizione del giudicante. Ogni altro profilo, in quanto non dedotto, ben può essere oggetto di un successivo giudizio, non potendosi considerare coperto dal giudicato [84]. L’efficacia così circoscritta è sintomatica di una tendenza, che si sta gradualmente affermando, volta a limitare gli effetti riflessi del giudicato, come confermato da Corte giust. 17 ottobre 2018, C-167/17, Klohn [85]. In essa la Corte delinea una nozione comunitaria di giudicato, limitandolo esclusivamente alle pretese sulle quali il giudice ha statuito [86], aprendo alla possibilità di pronunciare successivamente su questioni non affrontate direttamente nel provvedimento divenuto res judicata [87]. Questa interpretazione è ribadita in altre pronunce della Corte di giustizia, richiamate nella più recente sent. 4 giugno [continua ..]
I problemi che si sono esaminati con riguardo ai procedimenti contenziosi si aggravano nei procedimenti a contraddittorio eventuale. In tali ipotesi ci si chiede se possano ritenersi soddisfacenti le soluzioni alternative prospettate nella giurisprudenza Kobler o, piuttosto, se non sia il caso di valutare se e in che misura possa ridiscutersi il giudicato, in presenza di norme processuali nazionali che prevedano un contraddittorio meramente eventuale e differito. Nei procedimenti a contraddittorio eventuale, infatti, la possibilità che, in assenza di una evidenza processuale dell’abusività delle clausole, si possa giungere ad un provvedimento conclusivo dotato di stabilità ed assunto in violazione della normativa contenuta nella direttiva 93/13 è tutt’altro che remota. Si è già esaminata la sentenza C-40/08, Asturcom in cui la Corte di giustizia, evidenziata l’imperatività delle norme sui consumatori, ha sottolineato che per il loro enforcement non ci si può spingere fino al punto di rottura dell’intangibilità del giudicato, almeno nelle linee generali. Tuttavia, partendo dai principi di effettività ed equivalenza, essa giunge alla conclusione della sindacabilità in sede di processo di esecuzione del lodo arbitrale quando quest’ultimo produca effetti analoghi alla res judicata, cristallizzando l’applicazione di una clausola abusiva [93]. Questa pronuncia è significativa di un trend venutosi a sviluppare quasi coevamente con riguardo ai procedimenti monitori, e che ha inizialmente aperto ai poteri istruttori officiosi da esercitarsi sempre nel rispetto del principio dispositivo, attestandosi via via su posizioni più incisive. Nella sent. 9 novembre 2010, C-137/08, Penzugyi Lizing [94], l’attenzione della Corte si polarizza sul riconoscimento di poteri istruttori officiosi in capo al giudice dell’ingiunzione. Ribandendosi l’obbligo del controllo officioso in caso di abusività, la Corte ne fa discendere l’obbligo di adottare misure istruttorie di ufficio, come nel precedente Pannon cui si richiama, al fine di permettere un controllo più completo e per questa via effettivo dell’abusività delle clausole. Nella successiva sent. 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Español de Credito [95], il sindacato della Corte si concentra sulla procedura nazionale che nella [continua ..]
Le criticità che sono venute in rilievo con riguardo alla struttura dei procedimenti monitori di altri ordinamenti vengono ad enfatizzarsi con riguardo al procedimento ex art. 633 c.p.c. Nella recente sentenza 17 maggio 2022, C-693/19 e C-831/19 SPV Project s.r.l. Do Bank s.p.a. e Banco di Desio [109], la Corte ha dovuto affrontare il tema del giudicato derivante dalla mancata opposizione del decreto ingiuntivo e la conseguente sua insindacabilità da parte del giudice dell’esecuzione, ove dinanzi a questi venisse in rilievo la clausola abusiva di un contratto da cui origina il credito azionato. È interessante notare che la Corte opera il consueto test di effettività ed equivalenza con riguardo alla normativa degli artt. 633 e ss. e 615 c.p.c. evidenziando che essa: “… non dispone di alcun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità della normativa nazionale di cui al procedimento principale a tale principio” [110]. A tale conclusione si perviene considerando che al giudice dell’esecuzione nell’ordinamento italiano è precluso un riesame del provvedimento esecutivo anche in presenza della violazione di norme di ordine pubblico. Il parametro di effettività, di contro, conduce la Corte a valutare da un lato l’obbligo di esame ex officio dell’abusività, disamina che non può considerarsi avvenuta, con conseguente giudicato sul punto, “… anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo …”, con l’effetto “…di privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali ...” [111]. Illuminanti sono le conclusioni dell’Avvocato generale Tanchev [112] che evidenzia la necessità di esplicitare in motivazione l’esercizio del controllo di abusività mettendo sull’avviso il consumatore che, diversamente, “… non sarà in grado di comprendere o analizzare i motivi di tale decisione o, se del caso, di proporre opposizione all’esecuzione in modo effettivo” [113]. Evidenziando inoltre che “… se il giudice nazionale non ha controllato il carattere abusivo delle specifiche clausole contrattuali in questione, sia [continua ..]
La soluzione prospettata dalla Corte nelle recenti sentenze sulla res judicata, in particolare in SPV, va correttamente inquadrata anche se ad un’analisi superficiale potrebbe indurre a ritenere che si vada verso un superamento di questo principio quando si sia in presenza di una violazione delle norme sui consumatori nel procedimento monitorio. La certezza e stabilità dell’accertamento giurisdizionale che si connette al giudicato viene tenuta ferma dalla Corte ma, con l’ampio utilizzo del marge d’appreciation, vede sfumata la sua portata quando si sia in presenza delle allegazioni del solo ricorrente, applicandosi comunque il principio dispositivo. Quando non sia possibile per il giudice della cognizione ricostruire neppure ex officio l’eventuale abusività delle clausole e non vi sia traccia dell’esame officioso nello stesso provvedimento, è lo stesso dedotto ad essere assente e ciò impedisce sul nascere il formarsi della res judicata [126]. La Corte assume come prius logico delle sue pronunce sempre l’autonomia processuale degli Stati membri e, quanto al procedimento di ingiunzione italiano, il mancato esercizio dei poteri officiosi ex art. 640 c.p.c. e il silenzio del giudicante nella motivazione, che evidenzia tale omissione, con conseguente esulare del controllo di abusività dall’oggetto del giudizio. Che l’evoluzione giurisprudenziale vada letta in un’ottica conformativa degli istituti processuali nazionali rispetto all’effettività della tutela delle situazioni sostanziali garantite risulta evidente alla luce del richiamo in SPV all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea [127]. Il diritto al ricorso dinanzi ad un giudice e quindi di adeguamento dello strumento alla situazione sostanziale dei titolari comporta un’espansione della garanzia dello strumento processuale nazionale in un’ottica di tipo conformativo. Se si legge con adeguata attenzione quanto la Corte espone, ci si avvede che nell’escludere il giudicato laddove la motivazione è silente, più che attentare all’intangibilità di quest’ultimo, si opera una conformazione della norma processuale alla tutela della situazione sostanziale [128], tra l’altro parificata a quelle di ordine pubblico ma, nella specie, dotata di primato rispetto alla norma interna. Essa si [continua ..]