Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Protezione temporanea per la popolazione ucraina: una svolta per la politica di asilo dell'Unione europea? (di ANGELA CORRERA)


L’articolo analizza l'impatto della crisi ucraina sulle politiche di asilo e immigrazione dell'UE. Il compromesso "storico" raggiunto sull'attivazione della direttiva sulla protezione temporanea per i rifugiati ucraini dimostra che essa non è stata attuata prima, non perché il sistema in sé presentasse delle criticità, ma semplicemente per mancanza di una volontà politica specifica. L'autore sostiene che il caso ucraino dovrebbe diventare un precedente positivo, per riflettere sull'opportunità di un cambio di paradigma nelle politiche migratorie dell'UE, soprattutto alla luce delle criticità che nell'ultimo mese hanno interessato il doppio standard europeo di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati a seconda della loro provenienza. A questo proposito, il diverso trattamento riservato nelle ultime settimane alla frontiera polacca a ucraini e persone di altre nazionalità dovrebbe indurre l'UE a rifiutare forme di discriminazione istituzionalizzate, contrarie allo Stato di diritto e ai valori fondamentali dell'art. 2 TUE.

 

Temporary protection for the Ukrainian people: a turning point for the EU’s asylum policy?

The paper analyses the impact of the Ukrainian crisis on EU asylum and immigration policies. The 'historic' compromise reached on the activation of the Temporary Protection Directive for Ukrainian refugees demonstrates that it was not implemented earlier, not because the system presented criticalities, but simply due to a lack of specific political will. The author argues that the Ukrainian case should become a positive precedent for reflecting on the appropriateness of a paradigm shift in the EU's migration policies, especially in light of the critical issues that have affected the European double standard of protection of asylum seekers and refugees depending on their origin over the past month. In this regard, the different treatment of Ukrainians and people of other nationalities at the Polish border in recent weeks should lead the EU to reject institutionalised forms of discrimination that are contrary to the rule of law and the fundamental values of Art. 2 TEU.

Keywords: Common European Asylum System - Ukrainian refugee crisis - Temporary protection - Solidarity.

SOMMARIO:

I. La risposta dell’Unione europea alla crisi migratoria ucraina: l’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea - II. Brevi cenni sulla direttiva 2001/55/CE - III. Il compromesso politico alla base della risposta UE alla crisi ucraina - IV. Quale futuro per le politiche in materia di immigrazione e asilo europee? - V. La necessità di prevedere soluzioni a lungo termine e l’impiego della leva finanziaria per assicurare il rispetto dei valori assunti con l’adesione all’Unione europea - VI. Protezione temporanea versus Protezione immediata - VII. Conclusioni - NOTE


I. La risposta dell’Unione europea alla crisi migratoria ucraina: l’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea

L’aggressione della Russia all’Ucraina pone nuovamente l’Unione europea di fronte ad una sfida di portata globale; forse una delle sfide più importanti che abbia mai dovuto affrontare. L’orrore della guerra non si ferma ai campi di battaglia, alle città ed i porti costantemente bombardati; essa riguarda l’intero popolo ucraino: sia i soldati sia chi, non potendo combattere, cerca di scappare.  Infatti, sono numerosissimi gli sfollati che a causa del conflitto raggiungono, talvolta persino a piedi, i confini. Secondo i dati diffusi dall’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), oltre 6 milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina dall'inizio della guerra, il 24 febbraio scorso, e la maggior parte di queste ha trovato riparo nei Paesi più vicini al confine, come la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria[1]. La drammaticità di questa situazione ha imposto alla Commissione europea di proporre, per la prima volta, l’attivazione del sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati di cui alla direttiva 2001/55/CE[2]. Come ben noto, tale direttiva istituisce una procedura di carattere eccezionale per organizzare una tutela immediata e temporanea nell’eventualità di massicci afflussi, in atto o imminenti, di sfollati provenienti da Paesi terzi che non possono rientrare nel loro Paese d’origine, a causa di conflitti armati o di violazioni sistematiche e generalizzate dei diritti umani; afflussi che per la loro importanza non potrebbero essere affrontati con il comune sistema d’asilo e rischierebbero anzi di pregiudicarne il buon funzionamento[3]. L’Unione ha assunto, dunque, una decisione senza precedenti, dopo che per anni, in occasione delle crisi migratorie - dalla cosiddetta “primavera araba” dei primi anni del 2010[4] ai conflitti in Paesi come Afghanistan, Libano e Siria - la società civile aveva invocato invano l’attivazione della direttiva 2001/55/CE[5].  Per il vero, la direttiva sulla protezione temporanea non è mai stata attuata[6], non solo per il suo carattere di eccezionalità, ma anche e soprattutto per le perplessità che aveva suscitato da parte di vari Stati membri, convinti che l'attivazione del relativo meccanismo potesse costituire un “fattore di attrazione” per i migranti che cercano di entrare nel territorio [continua ..]


II. Brevi cenni sulla direttiva 2001/55/CE

Prima di esaminare l’incidenza che l’esodo dall’Ucraina ha avuto sull’attuale politica di immigrazione ed asilo dell’Unione e su come potrebbe orientarla nel prossimo futuro, sembra opportuno ricordare, sia pure in estrema sintesi, la disciplina dettata dalla direttiva sulla protezione temporanea. Ai sensi di essa, il Consiglio accerta, con decisione adottata a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione o di uno Stato membro[19], l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati, cioè “di un numero considerevole di sfollati, provenienti da un Paese determinato o da una zona geografica determinata, sia che il loro arrivo avvenga spontaneamente o sia agevolato, per esempio mediante un programma di evacuazione”[20]. Quello di “afflusso massiccio” costituisce, a ben vedere, un concetto chiave che segna la differenza tra l’applicabilità del sistema di asilo ordinario e quello di protezione temporanea, previsto dalla direttiva del 2001[21]. Infatti, l’articolo 33 del cd. regolamento di Dublino prevede l’attivazione di un “meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi”, attivato quando il sistema di Dublino è ostacolato da “un rischio comprovato di speciale pressione sul sistema di asilo di uno Stato membro e/o da problemi nel funzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro”[22]. La direttiva 2001/55/CE accorda, invece, alle categorie di sfollati, individuate nella decisione di esecuzione, la protezione temporanea in tutti gli Stati membri. Questi ultimi devono cooperare tra loro, nello spirito di solidarietà invocato dalla direttiva, ai fini del trasferimento di quelle persone da uno Stato membro all’altro. A tal riguardo, anche la Corte di giustizia, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. [23], ha ben evidenziato che la direttiva sulla protezione temporanea è espressione della solidarietà che dovrebbe legare gli Stati membri (art. 80 TFUE)[24]. E che trova conferma nel considerando 20 della medesima direttiva, ai sensi del quale la disciplina ivi stabilita è diretta a prevedere un sistema di solidarietà inteso a promuovere l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi in caso di afflusso massiccio. Da un’analisi generale del testo [continua ..]


III. Il compromesso politico alla base della risposta UE alla crisi ucraina

L’applicazione del regime di protezione temporanea appena descritto alla popolazione ucraina induce ad affermare che gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione stiano dando una significativa dimostrazione di solidarietà, mettendo in atto sforzi organizzativi importanti per favorirne l’accoglienza. Ma è altrettanto innegabile che dietro le scelte dell’Unione si nascondano anche e soprattutto valutazioni di opportunità politica. Infatti, se la Commissione avesse proposto, come nel 2015-2016, in occasione dell’incremento dei flussi migratori provenienti dalla Siria, una decisione di ricollocamento obbligatorio dei migranti[33], avrebbe sicuramente incontrato, oggi come allora, le resistenze di alcuni Stati membri, come l’Ungheria, la Romania, la Repubblica Ceca e la Slovacchia[34], veicolando sul panorama internazionale un pericoloso messaggio di disgregazione della forza politica dell’Unione. Il sistema di ricollocazione, proposto nel 2015, basato sull’art. 78, par. 3, TFUE[35], com’è noto, comportava una deroga temporanea e obbligatoria ai criteri di competenza dettati dal regolamento Dublino III, in particolare al suo art. 13, par. 1, introducendo un meccanismo di ripartizione dei richiedenti asilo, fondato su un sistema per quote vincolanti, a partire dall’Italia, dalla Grecia e dall’Ungheria verso gli altri Stati membri[36]. La decisione di allocazione delle competenze mirava, in tal modo, ad agevolare una più equa distribuzione delle responsabilità tra i diversi Paesi. In occasione della crisi di quegli anni, furono proprio gli Stati del cd. “gruppo di Visegrád” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) ad invocare l’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea, in alternativa alle misure adottate dal Consiglio. Tra gli argomenti che essi facevano valere a sostegno delle proprie posizioni vi era, in particolare, il rilievo che la direttiva menzionata e le misure da essa previste sarebbero meno restrittive per gli Stati membri e meno incidenti sul diritto “sovrano” di ciascun governo nazionale di decidere liberamente dell’ammissione nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi, nonché sul diritto degli Stati membri a che l’onere finanziario ed amministrativo fosse il meno elevato possibile[37]. Tali Stati affermavano che, sebbene la disciplina in esame miri in [continua ..]


IV. Quale futuro per le politiche in materia di immigrazione e asilo europee?

Per arginare il rischio che talune pratiche statali possano discostarsi dallo “spirito” della direttiva sulla protezione temporanea, all’indomani dell’adozione della decisione di esecuzione del Consiglio, la Commissione ha adottato linee guida[46], che offrono agli Stati membri strumenti operativi e meccanismi di coordinamento efficaci, e suscettibili di ridurre l'attrattiva di una “solidarietà diseguale”[47]. Specificando ulteriormente quanto già previsto nella strategia di attuazione delineata nella sua comunicazione sulla solidarietà europea[48], la Commissione ha, infatti, individuato tre strumenti per agevolare l’accoglienza degli sfollati sotto il regime della protezione temporanea. In primo luogo, lo sviluppo di una Piattaforma di Solidarietà, che concretizza i compiti di cooperazione amministrativa di cui all'art. 27 della direttiva più volte richiamata, attraverso un'infrastruttura armonizzata per la condivisione delle informazioni sui numeri e sulle capacità di accoglienza. La piattaforma integra il funzionamento del programma dell'Unione per la preparazione alla crisi e la preparazione alla migrazione[49], previsto dal Nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo[50], e completa la risposta politica alla crisi contenuta nella decisione del Consiglio, consentendo agli Stati membri di chiedere e ricevere rapidamente sostegno tecnico, operativo e finanziario. In tale contesto, la Commissione, assistita dalle agenzie dell'Unione, sarà incaricata di coordinare il previsto meccanismo di solidarietà e di mantenere i contatti con tutte le parti interessate, anche fornendo assistenza agli Stati membri per semplificare il processo di registrazione ai punti di controllo. In secondo luogo, la Commissione ha proposto un approccio innovativo alla condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri "catalizzando una risposta collettiva della società..."[51], attraverso il coinvolgimento della società civile, delle ONG per i diritti umani, delle associazioni di categoria e delle diaspore. Sin dalle prime settimane del conflitto russo-ucraino, questi attori hanno svolto una incessante attività di sostegno per alleviare le sofferenze degli sfollati, mobilitando insieme con le autorità pubbliche risorse ed energie. La strategia di attuazione della Commissione va nella direzione di liberare questo potenziale, attraverso un [continua ..]


V. La necessità di prevedere soluzioni a lungo termine e l’impiego della leva finanziaria per assicurare il rispetto dei valori assunti con l’adesione all’Unione europea

L’imprevedibile durata del conflitto in corso e le criticità delle soluzioni adottate nelle precedenti emergenze migratorie[57] devono indurre l’Unione a ripensare alle proprie politiche in materia di immigrazione e asilo attraverso soluzioni a lungo termine che consentano una gestione realmente solidale delle crisi ed una effettiva ripartizione degli oneri tra gli Stati membri. Come anticipato, lo status di protezione temporanea non sostituisce né esclude il diritto dei beneficiari di chiedere asilo o di essere regolarizzati nell’Unione europea. Pertanto, è necessario che l’Unione sviluppi un piano a medio e lungo termine per offrire ai cittadini - ucraini e non - in fuga dalla guerra soluzioni di protezione temporanea durature, oltre all’accesso alla determinazione dello status di rifugiato, laddove la guerra non dovesse finire nel prossimo futuro. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di modificare la direttiva sui soggiornanti di lungo periodo[58], in particolare gli articoli 3, par. 2 e 4 della direttiva, per includere i precedenti beneficiari di protezione temporanea nel suo campo di applicazione e considerare il tempo trascorso in regime di protezione temporanea nel computo della “durata del soggiorno” richiesto dalla direttiva[59]. Un’altra opzione potrebbe essere quella di concedere prima facie lo status di rifugiato a coloro che sono stati precedentemente protetti come beneficiari di protezione temporanea, oltre agli emendamenti alla direttiva sui lungo-soggiornanti. L’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea dimostra anche che il tradizionale principio caratterizzante la politica comune d’asilo, in forza del quale, ai richiedenti asilo e ai rifugiati, è precluso il diritto di circolare liberamente nell’area Schengen, dovrebbe essere riconsiderato. La recente decisione del Consiglio sulla direttiva 2001/55/CE, come si è visto, consente espressamente ai potenziali richiedenti di scegliere il Paese di destinazione per raggiungere le loro famiglie o amici in determinati Stati membri, in cui beneficeranno del regime della protezione temporanea. In questa prospettiva, un ruolo decisivo, nell’attento monitoraggio e nel riesame della situazione, dovrebbe giocare una costante cooperazione tra la Commissione e le agenzie dell’Unione, segnatamente l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera [continua ..]


VI. Protezione temporanea versus Protezione immediata

Un’ultima considerazione merita la menzionata proposta della Commissione, contenuta nel Nuovo Patto[69], di abrogare la “bella addormentata"[70] direttiva del 2001 sulla protezione temporanea e di introdurre un regime di protezione immediata. Com’è noto, quest’ultimo è stato congegnato in modo da superare le “presunte” criticità della protezione temporanea, ritenute alla base del suo insuccesso, e soprattutto, la macchinosità della relativa procedura di attivazione, che richiederebbe maggioranze complesse nonché un faticoso iter politico per raggiungere un compromesso tra gli Stati membri in seno al Consiglio e l’eccessiva vaghezza del presupposto applicativo dell’“afflusso massiccio” di sfollati[71]. Sotto il primo profilo, il nuovo testo rimette la decisione di concedere lo status di protezione immediata alla completa discrezionalità della Commissione (e non più del Consiglio), sentiti i comitati dei rappresentanti degli Stati membri con la procedura di cui al regolamento (UE) n. 182/2011[72]. Con la possibilità però che quest’ultima previsione venga addirittura aggirata, ove sussistano imperativi motivi di urgenza debitamente giustificati[73]. Ciò significa che, se la situazione di crisi è così grave da rendere assolutamente urgente e necessaria la concessione dello status di protezione immediata, la Commissione adotterà un atto di esecuzione, che non dovrà essere preventivamente sottoposto al comitato ed entrerà quindi immediatamente in vigore. Le persone cui viene concessa la protezione immediata godono dell'insieme di diritti economici e sociali applicabili ai beneficiari della protezione sussidiaria, come stabilito nel cd. regolamento qualifiche[74]. Più specificamente, le persone con status di protezione immediata ricevono protezione contro il respingimento, ma pure tutta una serie di diritti, quali diritto al ricongiungimento familiare, diritto al rilascio di un permesso di soggiorno, libera circolazione all'interno dello Stato membro, accesso al lavoro , accesso all'istruzione, accesso alle procedure di riconoscimento dei titoli e convalida delle competenze, sicurezza sociale e assistenza sociale, assistenza sanitaria, diritti relativi ai minori non accompagnati, accesso all'alloggio, accesso alle misure di integrazione e assistenza al rimpatrio. [continua ..]


VII. Conclusioni

Se, dunque, la crisi in Ucraina richiede attenzione, sforzi diplomatici e finanziamenti umanitari, l’Unione non dovrebbe però  dimenticare le altre situazioni emergenziali in atto: la situazione in Afghanistan, dopo la presa del potere dei talebani nel mese di agosto del 2021; la devastante siccità nel Corno d'Africa (forse anche direttamente esacerbata dall'impennata dei prezzi del grano, considerato che l'Ucraina è il più grande esportatore di grano d'Europa), dove ormai milioni di persone sono costrette a spostarsi in cerca di sopravvivenza; ancora, i conflitti armati in corso in Yemen, Sud Sudan, Myanmar; la crisi del Sahel o della Repubblica Centrafricana. È probabile che un calo dell'attenzione e dei finanziamenti per una qualsiasi di queste crisi contribuisca a un'ulteriore instabilità e a sfollamenti ancora più forzati a partire da queste aree verso il territorio UE. Proprio per far fronte anche a queste emergenze, una volta che la guerra sarà finita (si spera presto), una riflessione approfondita su ciò che dovrebbe farsi dopo sarà inevitabile. E qualsiasi ragionamento non potrà prescindere dall'impatto dello sfollamento di massa degli ucraini sulle politiche dell’Unione in materia di migrazione e asilo. In particolare, due considerazioni dovranno essere valutate con attenzione. La prima nasce dall’analisi delle ragioni alla base della mancata attivazione del regime di protezione temporanea nelle crisi migratorie del passato.  La vicenda ucraina e, in particolare, il largo consenso con cui la direttiva 2001/55/CE è stata attivata dagli Stati membri dimostra, come osservato, che dietro la sua mancata utilizzazione nelle precedenti crisi migratorie non c’erano criticità del meccanismo in sé, quanto l’assenza di volontà politica in seno al Consiglio: quando quest’ultima invece si è avuta, gli Stati hanno preso in tempi strettissimi una decisione senza precedenti[78]. Gli stessi Stati del gruppo di Visegrád (o almeno alcuni di essi) che, in passato, avevano contestato l'applicazione dei principi di solidarietà e condivisione delle responsabilità ai sensi delle decisioni di ricollocazione, proponendo pratiche di respingimento sistematico e modificando i loro sistemi di asilo per limitare gli ingressi nei propri confini, stanno ora [continua ..]


NOTE