Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Le concessioni turistico-ricreative tra vincoli “comunitari” e normativa italiana: criticità e prospettive (di Camilla Burelli)


L’articolo delinea le tappe fondamentali delle due procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia con riferimento alla reiterata introduzione di proroghe proroga ex lege della durata delle concessioni turistico-ricreative. L’atteggiamento recidivo dello Stato italiano, infatti, ha determinato un quadro giuridico incerto, caratterizzato da imprevedibilità nell’applicazione del diritto e da conseguenze critiche che interessano molteplici settori dell’ordinamento nazionale. L’articolo, quindi, si propone, da un lato, di indagare le ragioni profonde di tale situazione, individuate non solo in una forte volontà politica, ma anche in una disomogenea applicazione del diritto da parte della giurisprudenza nazionale e della Pubblica amministrazione e, dall’altro lato, di delineare rimedi di natura sia “extra-parlamentare” che de jure condendo.

The article sketches the fundamental stages of the two infringement proceedings against Italy concerning the legislative automatic renewal of the tourist-recreational concessions. As a matter of fact, Italy’s recidivism caused an uncertain legal framework, characterized by unpredictability in the application of the law and by critical consequences affecting multiple sectors of the national system. Hence the article aims at tracking down the reasons behind this situation, identified not only in a strong political will, but also in an uneven application of the law by the national justice and the public administration, as well as outlining possible judicial and de jure condendo remedies.

Keywords

Directive 2006/123/EC – Infringement Procedure – Beach Concession – Automatic Renewals – Constitutional Court

SOMMARIO:

I. Premessa: oggetto e scopo dell’indagine - II. La procedura di infrazione n. 2008/4908: dal diritto di insistenza alla legge comunitaria del 2010 - III. Gli sviluppi successivi all’archi­viazione e la sentenza Promoimpresa - IV. (segue): eppur l’Italia proroga ancora: il quadro normativo dalla legge n. 160 del 2016 alla procedura di infrazione n. 2020/4118 - V. Obbli­go di disapplicazione della norma confliggente e assenza di certezza del diritto: la prassi giu­risprudenziale - VI. (segue): ... e quella amministrativa - VII. Quali i rimedi? Il ruolo della Corte Costituzionale - VIII. (segue): quali i rimedi de jure condendo? Il difficile punto di e­quilibrio tra esigenze di tutela degli operatori economici, divieti di automatismi a favore dei concessionari uscenti e discriminazioni indirette - NOTE


I. Premessa: oggetto e scopo dell’indagine

La materia delle concessioni demaniali marittime, fluviali e lacuali ad uso turistico-ricreativo [1] è stata, specialmente a partire dalla prima metà degli anni dieci di questo secolo, oggetto di vivaci e numerose attenzioni sia da parte della dottrina [2] sia da parte della giurisprudenza “comunitaria” e nazionale (su cui infra, rispettivamente, par. III e VI). La ragione è oramai nota ai più e deriva dalla reiterata introduzione da parte dello Stato italiano di disposizioni contrarie a norme di diritto dell’Unione europea tanto di natura primaria (ie l’art. 49 TFUE) quanto di natura secondaria (ie l’art. 12, direttiva 2006/123/CE [3], anche detta “direttiva Bolkestein” o “direttiva servizi”). Il panorama legislativo italiano ha visto infatti, nel corso di più di un decennio, lo stratificarsi di numerosi «interventi normativi generali, settoriali e transitori» [4] che hanno sistematicamente introdotto (direttamente o indiretta­mente) la proroga ex lege della durata delle concessioni balneari, violando in tal modo, come si vedrà, non solo fondamentali regole “tecniche” di funzionamento del mercato interno, ma anche i più basilari principi dettati in materia di libertà di stabilimento. L’atteggiamento recidivo dello Stato italiano ha determinato un quadro giuridico incerto, caratterizzato da imprevedibilità nell’applicazione del diritto e da conseguenze critiche che interessano molteplici settori dell’ordinamento nazionale. Infatti, l’illegittimo rinnovo automatico delle concessioni balneari esistenti, provocando un evidente contrasto con il diritto UE, comporta problemi pratici di natura strettamente concorrenziale [5], ma anche amministrativa [6] e finanche penale [7]. Lo scopo del presente lavoro, il cui tema può essere analizzato anche in chiave comparata [8], è quello di tracciare le tappe fondamentali del conflitto tra Unione europea e Stato italiano instauratosi nel­l’am­bito della procedura di infrazione ex art. 258 TFUE (attivata già due volte dalla Commissione [9]) delineandone, in particolare, i molteplici profili critici da un punto di vista “comunitario”. La scelta di circoscrivere l’in­da­gi­ne in questi termini risiede nella volontà di compiere [continua ..]


II. La procedura di infrazione n. 2008/4908: dal diritto di insistenza alla legge comunitaria del 2010

Con lettera di messa in mora notificata in data 3 febbraio 2009, la Commissione apriva formalmente la procedura di infrazione n. 2008/4908, con la quale contestava la compatibilità dell’art. 37, comma 2, cod. nav., nonché dell’art. 9, comma 4, lett. g), della l. reg. Friuli Venezia Giulia n. 22/2006, con il diritto comunitario [10] e, in particolare, con l’allora art. 43 Trattato CE (attuale art. 49 TFUE) [11]. Il profilo problematico di tali norme, esplicitamente censurato dalla Commissione, era legato al fatto che l’at­tribuzione delle concessioni balneari fosse basata su un vero e proprio sistema di preferenza per il concessionario uscente, determinando un sostanziale rinnovo automatico delle concessioni in essere (il c.d. diritto di insistenza) [12]. Le criticità insite nel diritto di insistenza erano evidenti: configurando una restrizione alla libertà di stabilimento, esso comportava discriminazioni in base al luogo di stabilimento dell’operatore economico (favorendo gli operatori stabiliti in Italia) e rendeva «estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso di qualsiasi altro concorrente» alle concessioni in scadenza [13]. La Corte di giustizia aveva sul punto già rilevato l’incompatibilità di normative nazionali che avevano l’effetto di rendere più difficile l’accesso al mercato di operatori provenienti da altri Stati membri [14]. Peraltro, le norme sulla parità di trattamento vietano non solo le discriminazioni palesi a motivo della cittadinanza, o della sede nel caso delle società, ma anche «ogni forma dissimulata di discriminazione che, applicando altri criteri distintivi, porti in pratica allo stesso risultato» [15]. Anche a fronte di tali principi, enunciati dalla Corte tanto in sede di rinvio pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 TFUE quanto in sede di ricorso per inadempimento ex art. 258 TFUE, era difficile immaginare che la Commissione rimanesse inerte. A ciò si aggiunga che era parimenti difficile configurare, nel caso di specie, l’integrazione delle eccezioni previste dagli artt. 45 e 46, par. 1, TCE (attuali artt. 51 e 52 TFUE). È da escludersi radicalmente, infatti, che lo sfruttamento del demanio marittimo, lacuale o fluviale sia un’attività che «partecipa all’esercizio dei pubblici poteri» come, [continua ..]


III. Gli sviluppi successivi all’archi­viazione e la sentenza Promoimpresa

La delega di cui all’art. 11, Legge Comunitaria 2010 non venne mai attuata. In compenso, l’art. 34-duodecies del d.l. n. 179/2012 [27] (inserito in sede di conversione in legge) estendeva la durata delle concessioni in scadenza al 31 dicembre 2015 sino al 31 dicembre 2020. La modifica intervenuta in sede parlamentare fu oggetto di più di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. In particolare, rilevano quelli effettuati dal TAR Lombardia con ord. n. 2401/2015 e dal TAR Sardegna con ord. n. 224/2015 [28], le cui cause sono state riunite dalla Corte di giustizia che si è pronunciata nella celebre sentenza Promoimpresa [29]. I casi da cui originavano i due rinvii sono in fatto assai diversi, e meritano entrambi di essere accennati perché forniscono “la misura” (e l’ampiezza) delle problematiche di carattere pratico che la vicenda solleva. La Promoimpresa S.r.l. era titolare di una concessione per lo sfruttamento di un’area demaniale sul Lago di Garda da giugno 2006 e in scadenza a dicembre 2010. Nell’aprile del 2010, la Promoimpresa presentava un’istanza di rinnovo della concessione, respinta dal comune competente. Il diniego era basato, com’è evidente, sul fatto che il rinnovo poteva essere ottenuto solo al­l’esito di una procedura ad evidenza pubblica, non ammettendosi alcun tipo di rinnovo automatico. La Promoimpresa impugnava la decisione davanti al TAR Lombardia, il quale sollecitava la Corte affinché stabilisse se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli artt. 49, 56, e 106 TFUE ostassero alla reiterata proroga delle concessioni demaniali. Melis e altri, invece, erano titolari di talune concessioni nella spiaggia di un comune sardo dal 2004 al 2010, successivamente prorogate per la durata di un anno. Nel 2012, il sig. Melis e altri presentavano al comune un’istanza di rinnovo delle concessioni, istanza davanti alla quale il comune rimaneva silente. A fronte del silenzio, i concessionari continuavano la loro attività. Nello stesso anno, l’amministrazione metteva a gara delle aree per l’ag­giudicazione di nuove concessioni, aree tra cui rientravano anche quelle gestite da Melis e altri ricorrenti. Quest’ultimi adivano il TAR Sardegna per ottenere l’annullamento delle decisioni comunali. Impugnavano altresì i [continua ..]


IV. (segue): eppur l’Italia proroga ancora: il quadro normativo dalla legge n. 160 del 2016 alla procedura di infrazione n. 2020/4118

È particolarmente significativo, ed esplicativo dell’atteggiamento italiano, il fatto che a solo un mese dalla pubblicazione della sentenza Promoimpresa sia stata concessa un’ulteriore proroga, questa volta addirittura sine die. Giustificata da esigenze di revisione e riordino della materia «in conformità ai principi di derivazione europea» e per garantire «certezza alle situazioni giuridiche in atto», l’art. 24, comma 3-septies, l. 7 agosto 2016, n. 160 [31] prevedeva che avrebbero «conservato validità» i rapporti già instaurati e pendenti. Com’è evidente, la paradossale disposizione non stabiliva alcun limite temporale preciso, ma prorogava a tempo indeterminato le concessioni esistenti statuendo solamente che avrebbero “conservato validità”. Il 15 febbraio 2017, quindi, il Governo presentava al Parlamento un disegno di legge delega per l’ennesimo tentativo di revisione della normativa. La delega prendeva atto della sentenza Promoimpresa e, infatti, mirava «[…] al superamento delle censure esposte» [32], anche valutando le linee prevalenti della regolamentazione sul medesimo oggetto da parte di altri Stati membri dell’Unione europea [33]. La revisione e il riordino della normativa avrebbe dovuto fare riferimento, inter alia, ai criteri e alle modalità di affidamento, ai limiti minimi e massimi di durata, alla revisione dei canoni concessori con l’applicazione di valori tabellari, al coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni legislative vigenti in materia. L’intervento ambiva ad agire nel rispetto dei principi di concorrenza, di qualità paesaggistica e di sostenibilità ambientale, garantendo procedure di selezione imparziali e trasparenti. Tuttavia, il disegno di legge è decaduto nel 2018 con la conclusione della XVII Legislatura. In compenso, la Legge di bilancio per il 2019 ha introdotto un’ulteriore proroga [34]. L’art. 1, commi 682-683, infatti, disciplina un’estensione quindicennale delle concessioni demaniali marittime a partire dall’entrata in vigore della stessa legge e, quindi, fino al 1 gennaio 2034. Il comma 675 prevede nel contempo l’adozione entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore di un d.p.c.m. (non è chiaro se avente natura regolamentare) che – ferme le proroghe quindicennali [continua ..]


V. Obbli­go di disapplicazione della norma confliggente e assenza di certezza del diritto: la prassi giu­risprudenziale

La descrizione dell’evoluzione normativa che ha interessato la materia delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo si è resa necessaria per poter almeno intuire le molteplici criticità derivanti dalla vicenda [42]. La recidività dello Stato italiano nell’introdurre proroghe ex lege generalizzate e indiscriminate pregiudica invero in modo grave la certezza del diritto, ledendo in primis gli interessi degli stessi concessionari. Com’era prevedibile, la prima e diretta conseguenza dell’illiceità del sistema è stata l’emergere di un copioso contenzioso di natura amministrativa che, lungi dall’aver dato vita a una prassi giurisprudenziale univoca, ha viceversa acuito l’assenza di certezza del diritto. L’obbligo di disapplicazione della normativa confliggente con il diritto dell’Unione, infatti, se è vero che è stato riconosciuto da una parte della giustizia amministrativa (in specie quella di ultimo grado, certo non senza alcune eccezioni) è altresì vero che è stato variamente disatteso da altra parte della medesima giurisdizione, specialmente quella di primo grado. Per quanto riguarda le pronunce del Consiglio di Stato, si registrano (soprattutto recentemente) taluni arresti che hanno ribadito con forza quanto già affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa. In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato, in generale, la necessità «dell’esperimento della selezione pubblica nel rilascio delle concessioni de­maniali marittime», data l’esigenza di applicare le norme «conformemente ai principi comunitari». Questo perché «la sottoposizione ai principi di evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di un’area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione» [43]. Di notevole interesse è la sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019 [44], con la quale i giudici hanno chiarito, «in ossequio alla pronuncia Promoimpresa», che «la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento», disapplicando l’art. [continua ..]


VI. (segue): ... e quella amministrativa

L’atteggiamento della Pubblica amministrazione, tanto locale quanto regionale e centrale, risente delle medesime problematiche riscontrate nella giurisprudenza amministrativa. Infatti, a fronte di comuni “virtuosi” che, disapplicando la disciplina nazionale, mettono a gara le concessioni in scadenza, ve ne sono molti altri che, invece, provvedono all’estensione delle stesse. A livello regionale e, paradossalmente, anche a livello centrale non si riscontra maggiore univocità. Muovendo da tale ultimo fronte, basti pensare che in data 19 dicembre 2019, il direttore generale del MIT (all’epoca amministrazione capofila nella redazione del “fantomatico” d.p.c.m. ora sostituita dal MIBACT) ha inviato a tutte le Autorità portuali italiane una circolare ove segnalava la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 7874/2019, ricordando ai funzionari locali che «la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto dell’Unione europea costituisce un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articola­zio­ni» [65]. Poco tempo dopo, l’Ufficio Legislativo dello stesso Ministero inviava una nota con cui, de facto, intendeva revocare gli effetti della circolare della direzione generale statuendo che «non [fosse] possibile ritenere il complessi­vo quadro giuridico di riferimento come pienamente definitivo» [66]. E la stessa Ministra Paola De Micheli dichiarava che «si trattava di un carteggio interno nel quale il dirigente esprimeva delle opinioni personali. Purtroppo questa lettera è diventata di dominio pubblico, provocando l’allarme degli operatori balneari e delle amministrazioni comunali. Ci tengo invece a chiarire che quella nota non rappresenta la posizione ufficiale del mio ministero» [67]. Anche a livello regionale, come anticipato, si riscontra un quadro del tutto disomogeneo. Non è questa la sede per elencare ogni singolo caso, ma taluni esempi (senza pretesa di esaustività) si rendono necessari per meglio comprendere il contesto. In particolare, si pensi alla Regione Basilicata che dapprima, con delibera 25 febbraio 2019 n. 155 [68], prendeva atto di quanto disposto dalla Legge di bilancio per il 2019 e invitava i Comuni lucani ad accordare la nuova scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2033 e, successivamente, con l. reg. 22 dicembre 2020 [69], n. 41, disponeva una c.d. [continua ..]


VII. Quali i rimedi? Il ruolo della Corte Costituzionale

A fronte di tali e tante criticità, è inevitabile domandarsi quali possano essere i rimedi giuridici per porre fine a questa “tribolata” vicenda. Il primo è, inevitabilmente, di natura “extra legislativa”. D’altro canto, è difficile aspettarsi interventi correttivi da parte del legislatore, perlomeno nel breve e medio termine. Quanto sopra indagato, infatti, ha posto chiaramente in evidenza come manchi del tutto la volontà politica di uniformare il settore delle concessioni demaniali marittime al diritto dell’Unione europea e, in particolare, agli artt. 49 TFUE e 12 della direttiva servizi. E l’assenza di volontà politica potrebbe essere in qualche modo ricondotta, da un lato, alla preoccupazione delle conseguenze di ordine sociale che produrrebbe la perdita della concessione per le molte imprese balneari a conduzione familiare o parafamiliare, che hanno nella concessione l’unica fonte di reddito e, dal­l’altro lato, in via più generale, a una sorta di “compiacenza” nei confronti del (grande) bacino elettorale formato dai concessionari balneari: nel 2018 erano 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 27.335 per uso turistico-ricreativo. E tra queste, il numero esatto degli stabilimenti balneari ammontava a 7.531 [79]. Le imprese del settore, inoltre, sono ben organizzate in sindacati e associazioni a cui non possono negarsi delle buone capacità lobbistiche a tutela, evidentemente, dei soggetti che rappresentano [80]. Il primo rimedio, quindi, non può che cercarsi al di fuori delle aule parlamentari. In tal senso, decisiva potrebbe essere una pronuncia della Corte costituzionale che dichiari, ai sensi dell’art. 136 Cost., l’incostituzionalità delle norme che concedono proroghe automatiche [81]. In una recente ordinanza [82], che merita di essere menzionata, i Giudici costituzionali (certo in una materia differente) hanno avuto modo di esprimersi nei seguenti termini: «l’ampiezza del contenzioso pendente attesta un grave stato di incertezza sul significato da attribuire al diritto dell’Unione. L’orientamento diffuso nella giurisprudenza di merito, che attribuisce efficacia diretta alle previsioni dell’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, non è seguìto dall’amministrazione competente a erogare le provvidenze, mentre la Corte di [continua ..]


VIII. (segue): quali i rimedi de jure condendo? Il difficile punto di e­quilibrio tra esigenze di tutela degli operatori economici, divieti di automatismi a favore dei concessionari uscenti e discriminazioni indirette

Pur ritenendo che l’unico rimedio realmente decisivo possa essere di natura “extra parlamentare”, non può in ogni caso essere trascurata una riflessione sui rimedi de jure condendo. Ciò a maggior ragione se si considera che è probabile (auspicabile?) che siano ancora in corso le discussioni sulla redazione del d.p.c.m. di cui all’art. 1, comma 675, della Legge di bilancio per il 2019, che dovrebbe stabilire le condizioni e le modalità per procedere alla revisione e al riordino della materia. Tanto premesso e posto che, come detto, un’eventuale riforma – contrariamente a quella disegnata dalla Legge di bilancio per il 2019 – dovrebbe assurgere ad una fonte primaria e non a meri atti di natura regolamentare quali i d.p.c.m., si ritiene – senza alcuna pretesa di fornire risposte e proposte definitive – che gli interventi dovrebbero fondarsi su tre “pilastri” fondamentali: (i) durata delle concessioni, (ii) modalità di affidamento delle concessioni, identificando criteri di valutazione dell’offerta, nonché i criteri di selezione degli operatori, accettabili per la Commissione e (iii) misura dell’indennizzo a favore del concessionario uscente a carico del concessionario subentrante. Questi si analizzeranno cercando di individuare un (difficile) punto di equilibrio tra le esigenze di tutela degli operatori economici – di cui si percepisce il forte peso politico – e il divieto di automatismi a favore dei concessionari uscenti, nonché l’obbligo di evitare discriminazioni indirette a favore degli operatori stabiliti in Italia. Per quanto riguarda il primo “pilatro”, prevedere una durata massima (e­ventualmente anche particolarmente ampia, purché non “eccessiva”) è a tutti gli effetti necessario. La Commissione evidentemente, con dovuti i temperamenti, potrebbe essere disposta ad accettare durate di affidamenti anche piuttosto lunghe. Fondamentale, tuttavia, sarebbe accompagnare una siffatta previsione a taluni fattori imprescindibili come, ad esempio, l’ammontare dell’investimento, il suo ammortamento, le opere che verranno realizzate [91]. La durata dell’autorizzazione, in ogni caso, «dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento [continua ..]


NOTE