Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il ruolo del Consiglio europeo nella Brexit * (di Massimo Starita, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Palermo)


Il Consiglio europeo ha svolto un ruolo di primo piano nella Brexit. L’articolo cerca di spiegare che questo ruolo è stato più ampio rispetto a quello espressamente conferito dall’art. 50 TUE per affrontare poi due problemi: nello svolgere questo ruolo il Consiglio europeo ha agito solo come istituzione dell’Unione europea o anche come vertice di capi Stato? E ha rispettato il principio dell’equilibrio istituzionale?

The European Council has been playing a leading role in Brexit procedure. This article aims at showing how this role does not simply reflect the powers explicitly assigned to the European Council under Article 50 TEU. Two more questions are addressed: In performing its role has the European Council acted as an institution of the European Union or also as a summit of Heads of State or Government? Has the European Council respected the principle of the institutional balance?

KEYWORDS

 Brexit – Withdraw from the European Union – European Council – Summits of heads of State or Government – Institutional balance.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. Il ruolo del Consiglio europeo nel testo dell'art. 50 TUE - III. L'am­pliamento delle competenze del Consiglio europeo nella prassi della Brexit - IV. Brexit, Consiglio europeo/istituzione e Consiglio europeo/vertice - V. Il principio dell'equilibrio istituzionale e i rapporti tra il Consiglio europeo e la Commissione - VI. Il principio dell'equilibrio istituzionale e i rapporti tra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo - NOTE


I. Introduzione

La procedura di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, non ancora conclusa al momento in cui si licenziano queste pagine, presenta molteplici profili d’interesse per l’indagine giuridica, su ognuno dei quali si è già sviluppato un dibattito molto ricco. Il tema qui prescelto è il ruolo svolto dal Consiglio europeo. Non è una scelta casuale: il Consiglio europeo ha subito assunto un ruolo di protagonista nella vicenda, sin dai giorni immediatamente successivi al referendum nel Regno Unito [1]. Il proposito di questo contributo è duplice: da un lato, “misurare” lo scarto tra il testo dell’art. 50 TUE e la sua prassi applicativa, mettendo in luce quanto più ampie e incisive le funzioni svolte dal Consiglio europeo siano state rispetto alle competenze ad esso espressamente assegnate; da un altro lato, qualificare quella prassi giuridicamente, verificando se l’interpretazione estensiva del ruolo del Consiglio europeo che si è avuta nella procedura relativa alla “Brexit” [2] rispetti il diritto primario e, segnatamente, il principio dell’equilibrio istituzionale. La premessa del ragionamento che mi appresto a svolgere, nonché la principale ragione dell’interesse che tale questione suscita (quantomeno in chi scrive) sta nel fatto che il Consiglio europeo è un’entità ibrida: istituzione dell’Unione, ma anche vertice di Stati. Nato proprio come vertice, espressione dell’esigenza avvertita dagli Stati membri di guidare il processo d’integrazione “dall’esterno” (vale a dire fuori del quadro istituzionale e delle regole procedurali indicate nei trattati comunitari), e d’imprimere al processo medesimo gli orientamenti politici di fondo, è stato oggetto poi di un processo di crescente istituzionalizzazione, che culmina nel Trattato di Lisbona, con il quale si completa – si è detto – la sua “parabola istituzionale” [3]. Tuttavia, la sua originaria natura non è del tutto scomparsa, ma si ripresenta, accanto a quella istituzionale, sotto più forme. In primo luogo, sotto il profilo degli strumenti giuridici impiegati: i Trattati abilitano il Consiglio europeo ad adottare atti formali, imputabili all’istituzione, e dunque all’U­nione europea (decisioni, orientamenti, orientamenti strategici), ma [continua ..]


II. Il ruolo del Consiglio europeo nel testo dell'art. 50 TUE

 Da una lettura dell’art. 50 TUE, ci si accorge che il Consiglio europeo è chiamato a svolgere tre compiti nella procedura di recesso. È l’istituzione alla quale va notificata l’intenzione di recedere; che formula gli orientamenti alla luce dei quali l’Unione negozia e conclude con lo Stato membro interessato l’accordo di recesso; e che decide, d’intesa con lo Stato membro interessato, la proroga del termine di due anni per la conclusione dell’accordo di recesso. Si tratta di passaggi di notevole importanza: la notifica della volontà di recedere, una volta accettata dal Consiglio europeo [10], è presupposto per l’avvio formale della procedura e fa scattare la limitazione del diritto di partecipazione dello Stato recedente ai lavori del Consiglio e del Consiglio europeo [11]; la formulazione degli orientamenti consente al Consiglio europeo di realizzare in tale contesto il più generale ruolo di indirizzo politico previsto all’art. 15 e al contempo consente ai singoli Stati membri di esercitare una sorta di potere di veto sul processo di recesso, in ragione della regola del consensus [12]; e la competenza ad accordarsi con lo Stato recedente sulla proroga del termine viene incontro all’esigenza di far fronte alle notevoli difficoltà che il recesso da un’organizzazione come l’Unione europea inevitabil­mente pone, oltre a costituire uno strumento per orientare il processo stesso, mediante l’introduzione, ad esempio, di condizioni per la concessione della proroga [13]. Ciò detto, per quanto riguarda le fasi successive della procedura, e in particolare lo svolgimento dei negoziati e l’approvazione dell’accordo, l’art. 50 non coinvolge più il Consiglio europeo, o almeno non lo fa in modo espresso. Per i negoziati, l’art. 50, par. 2, contiene un rinvio all’art. 218, par. 3, TFUE, cioè alle regole “comuni” in materia di competenza a stipulare gli accordi internazionali dell’Unione. Queste regole prevedono, come noto, una distribuzione di competenze tra il Consiglio e la Commissione, affidando al primo poteri normativi, alla seconda poteri operativi. Il Consiglio adotta infatti la decisione con cui si autorizza l’avvio dei negoziati e designa il negoziatore. In base all’art. 218, par. 4, peraltro non espressamente richiamato [continua ..]


III. L'am­pliamento delle competenze del Consiglio europeo nella prassi della Brexit

Nella procedura seguita per la conclusione dell’accordo di recesso con il Regno Unito il ruolo del Consiglio europeo appare notevolmente rafforzato rispetto a quanto emerge da una semplice lettura dell’art. 50 TUE. Volendo offrire una rappresentazione schematica di tale potenziamento è possibile individuare almeno quattro aspetti. Il primo ha a che fare con il carattere pervasivo del ruolo di indirizzo politico svolto dal Consiglio europeo. Questo ruolo non si è manifestato solo nella fase iniziale della procedura (prima cioè dell’apertura formale dei negoziati), come espressamente previsto nell’art. 50 TUE. Gli orientamenti del Consiglio europeo sulle posizioni da assumere nei negoziati sono stati periodicamente aggiornati e integrati nel corso di tutto l’arco della procedura anche per tener conto dell’andamento delle trattative. Annunciata nella dichiarazione rilasciata il 15 dicembre 2016 al termine di una riunione informale dei ventisette capi di Stato o di governo, del Presidente del Consiglio europeo e del Presidente della Commissione [15], la penetrazione del potere di orientamento nell’intera procedura ha trovato riscontro nel cd. “approccio per fasi ai negoziati”, stabilito negli orientamenti adottati dal Consiglio europeo il 29 aprile 2017, in base al quale esso avrebbe “deciso” se e quando i progressi compiuti nei negoziati fossero stati sufficienti a permettere il passaggio da una fase all’altra [16]. Tale approccio è stato formalizzato nelle direttive adottate dal Consiglio alla Commissione [17], per poi trovare effettivo riscontro nella prassi [18]. Il secondo aspetto riguarda l’ampliamento delle materie oggetto dell’in­dirizzo politico. Gli orientamenti adottati dal Consiglio europeo non hanno riguardato solo il recesso, ma anche le relazioni successive tra l’Unione e il Regno Unito: il cd. “quadro delle future relazioni”. Tali questioni, oggetto, come noto, di una dichiarazione politica allegata all’accordo di recesso, sono state trattate dalla Commissione nella seconda fase dei negoziati, insieme alle questioni transitorie, sulla base di orientamenti specifici adottati dal Consiglio europeo [19]. Il terzo aspetto riguarda i poteri operativi, attinenti al treaty-making in senso stretto. Il riferimento è alla circostanza che [continua ..]


IV. Brexit, Consiglio europeo/istituzione e Consiglio europeo/vertice

Il fenomeno che abbiamo sinteticamente descritto, il fatto cioè che il ruolo effettivamente svolto dal Consiglio europeo nella Brexit sia più ampio e più incisivo rispetto a quanto ci si potrebbe attendere a seguito di una prima lettura dell’art. 50 TUE, può essere valutato da più punti di vista. Su di un piano politico, può essere messo in rapporto ad esigenze diverse, ma convergenti. Da un lato, la tendenza indicata esprime interessi degli Stati membri singolarmente considerati, cioè a dire la volontà di questi ultimi di non lasciare alle istituzioni sovranazionali la gestione dei negoziati di recesso. Il Consiglio europeo diventa, da questo punto di vista, lo strumento istituzionale attraverso il quale gli Stati membri, rappresentati al più alto livello, entrano nella procedura e, come ricordato più sopra, grazie alla regola del consensus, possono esercitare una sorta di veto sulle condizioni di recesso [24]. Da un altro lato, il fenomeno descritto sembra anche funzionale alla tutela di interessi comuni a tutti i ventisette: per un verso, riaffermare la loro unità politica (esigenza che trova riscontro anche nel ruolo, prima ricordato, assunto dalla Presidenza del Consiglio europeo) e, per altro verso, rafforzare il peso dell’Unione nel corso dei negoziati [25], compensando in tal modo la posizione di forza che, secondo una parte della dottrina, lo Stato recedente ricaverebbe dalla struttura stessa dell’art. 50 TUE [26]. Come valutare, però, le novità segnalate sotto il profilo giuridico? I problemi principali sono due. Il primo risiede nel rapporto tra Consiglio europeo/istituzione e Consiglio europeo/vertice: questa duplicità si presenta anche nella procedura di recesso? La risposta è sì. È vero che l’art. 50 TUE si riferisce all’istituzione, di cui regola la composizione, precisando che lo Stato che intende recedere non partecipa alle deliberazioni, e le modalità di voto, stabilendo la regola dell’unanimità per la decisione di proroga del termine. Epperò, già dal testo dell’art. 50 emerge la natura ibrida cui si accennava all’inizio di questo lavoro, con riguardo agli orientamenti che il Consiglio europeo è chiamato a formulare per l’avvio dei negoziati. Da un lato, infatti, si tratta di atti che [continua ..]


V. Il principio dell'equilibrio istituzionale e i rapporti tra il Consiglio europeo e la Commissione

Arriviamo così al secondo problema, che consiste nel capire se le novità introdotte nella procedura relativa alla Brexit, complessivamente considerate, rispettano il principio dell’equilibrio istituzionale. Il rafforzamento del ruolo del Consiglio europeo nella procedura di recesso è rimasto entro il perimetro di un’interpretazione estensiva dei poteri espressi o ha inciso sulle competenze delle altre istituzioni in una misura tale da alterare l’equilibrio risultante dall’art. 50 TUE? Il problema non riguarda tanto i rapporti tra Consiglio europeo e Consiglio, in ragione della comune matrice intergovernativa delle due istituzioni, ma essenzialmente i rapporti con la Commissione e, anche se in misura minore, con il Parlamento europeo. Rispetto alla Commissione, si tratta di capire se la sua autonomia negoziale non sia stata eccessivamente compressa; rispetto al Parlamento europeo si tratta di capire se sia compatibile con l’art. 50 il fatto che quest’ultimo si trovi ad approvare l’accordo non per primo, come letteralmente risulta dalla disposizione, ma per secondo, su un testo che ha già ottenuto una fortissima copertura politica per effetto dell’endor­sement del Consiglio europeo. Entrambi i problemi non sono di facile soluzione. L’equilibrio istituzionale non è infatti un concetto statico, unitario, fissato una volta per tutte nei Trattati, ma, al contrario, elastico, mutevole nel tempo (perché segue le revisioni dei trattati), e a seconda dei contesti (perché dipende dal modo in cui i poteri sono distribuiti tra le istituzioni nei processi decisionali nelle diverse materie di competenza dell’Unione) [29]. In certi casi, poi, questo concetto si fa sfuggente: i confini tra i poteri delle istituzioni non sono fissati sempre con precisione nelle varie norme dei Trattati, ma si presentano sfumati, con la conseguenza di aprirsi ad aggiustamenti pratici e/o ad accordi inter-istituzionali (espressamente riconosciuti dall’art. 295 TFUE). Tanto premesso, proviamo ad esaminare l’equilibrio istituzionale anzitutto dal punto di vista dei rapporti tra Consiglio europeo e Commissione. A tale riguardo, sembrano prospettabili almeno due interpretazioni al­ternative: una che concepisce l’art. 50 TUE come una norma che delinea un equilibrio istituzionale preciso, dai contorni ben definiti, applicabili in astratto a [continua ..]


VI. Il principio dell'equilibrio istituzionale e i rapporti tra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo

La considerazione da ultimo svolta, circa il consenso del Parlamento europeo alle modalità pratiche di distribuzione delle competenze individuate nell’ambito della procedura di recesso del Regno Unito permette di affrontare infine il secondo aspetto della questione dell’equilibrio istituzionale. Può dirsi che tali modalità hanno determinato una compressione dei poteri che l’art. 50 TUE assegna a questa istituzione? Si deve riconoscere che sotto il profilo formale il problema non avrebbe ragione di porsi: la prassi riguardante la Brexit non ha prodotto una modificazione della procedura, se non altro perché l’approvazione del testo dell’accordo di recesso, da parte del Consiglio europeo, ha avuto valore politico e non giuridico-formale. Resta, però, un aspetto sostanziale da affrontare, ricollegabile proprio alla copertura politica conferita all’accordo di recesso dall’intervento del Consiglio europeo prima che lo stesso giunga all’esame del Parlamento. Il problema è quindi il seguente: una simile copertura derivante dall’approvazione del Consiglio europeo è così forte da rendere politicamente meno “libera” la scelta del Parlamento e alterare in tal modo l’equilibrio istituzionale? È superfluo aggiungere che la questione è di primaria importanza, dato che il Parlamento è l’istituzione che incarna il principio della democrazia rappresentativa nell’equilibrio istituzionale. Proprio perché la questione non si pone in termini formali, ma sostanziali, assume rilievo la circostanza che il rafforzamento del ruolo del Consiglio europeo nei confronti delle prerogative del Parlamento è stato oggetto di interessanti “compensazioni”. Rilevano a tale riguardo soprattutto due elementi, rispettivamente costituiti dall’obbligo imposto al negoziatore di informare “regolarmente e con precisione” il Parlamento per tutta la durata dei negoziati, e dall’invito rivolto al Presidente del Parlamento «per essere ascoltato all’inizio delle riunioni del Consiglio europeo». Tali meccanismi assicurano evidentemente al Parlamento un ruolo nella fase dei negoziati che l’art. 50 non prevede e che, in termini più generali, i parlamenti normalmente non hanno nelle esperienze costituzionali [36]. A tali meccanismi di [continua ..]


NOTE