Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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“You cannot beat something with nothing”: ossia la strategia della Corte di giustizia per tutelare l´indipendenza dei giudici nazionali (e lo Stato di diritto) nello spazio giuridico europeo (di Claudia Cinnirella, Dottoranda di ricerca in diritto dell’Unione europea, Università di Napoli “Parthenope”)


Nel corso dell’ultimo decennio, l’Ungheria e la Polonia hanno avviato un piano di riforme volte ad assoggettare il potere giudiziario al controllo politico dell’esecutivo. In un sistema giurisdizionale interdipendente quale quello europeo, l’indebolimento delle garanzie predisposte a tutela dei giudici in uno o più Stati membri genera un indebolimento nel funzionamento dell’intera struttura giurisdizionale dell’Unione. In questo contesto, il contributo esamina la strategia interpretativa adottata dalla Corte di Giustizia per tutelare l’indipendenza e l’imparzialità degli organi giurisdizionali nazionali. Sulla scorta delle più recenti pronunce della Corte, il lavoro esamina il nuovo rapporto tra l’art. 19, par. 1 TUE e l’art. 47 della Carta, letti alla luce dell’art. 2 TUE, evidenziando come gli obblighi incombenti sugli Stati membri in virtù dell’art. 19, par. 1, TUE siano stati delineati quale contropartita del diritto fondamentale già sancito dall’art. 47 della Carta. Tracciando un nuovo standard di tutela dell’indipendenza dei giudici nazionali, la Corte sembrerebbe aver esteso la sua giurisdizione ad un’area prima rimessa alle valutazioni dei singoli Stati membri. La giurisdizionalizzazione del conflitto politico sulla crisi dello Stato di diritto ha consentito l’individuazione di soluzioni più rapide ed effettive a livello europeo. Tuttavia, i più recenti avvenimenti evidenziano la necessità di una risposta politica forte al conflitto sui valori dell’Unione.

Over the last decade, Hungary and Poland are experiencing systemic crisis of Judicial Independence. Since national courts are also EU courts, threats to judicial independence in any one of the Member States weaken the functioning of the entire EU judicial structure. In this context, the paper discusses the strategy adopted by the Court of Justice of the European Union in order to set an EU standard of protection of judicial independence enforceable within Member States. It analyzes the new relationship between article 47(2) CFR, article 19(1) TEU and article 2 TEU, explaining how the duty to ensure effective judicial protection laying down on article 19(1) TUE has been outlined as the counterpart of the fundamental right to an independent court enshrined in article 47(2) CFR. The paper assumes a certain measure of competence creep through the Court’s case law. The EU judicialization of constitutional crisis is providing rapid and effective answers against the judicial capture at national level. Nevertheless, most recent developments underline the need of a true political answer.

SOMMARIO:

I. Considerazioni introduttive - II. Dalle riforme costituzionali ungheresi alla crisi dello Stato di diritto nell’UE - III. L’erosione dello Stato di diritto in Polonia e la reazione dell’Unione Europea - IV. L’inaugurazione della nuova “giurisprudenza sull’indipenden­za” - V. Le sentenze della Corte di giustizia sull’indipendenza della magistratura polacca. Considerazioni sugli art. 19, par. 1, TUE e 47 della Carta - VI. Brevi osservazioni sulla portata della nuova giurisprudenza sull’indipendenza - VII. Riflessioni conclusive. - NOTE


I. Considerazioni introduttive

L’emergenza Covid-19 ha avuto un impatto notevole sulla politica di controllo delle frontiere, dell’immigrazione e dell’asilo dell’Unione europea [1]. Le operazioni di sbarco e di identificazione delle persone giunte via mare sono state complicate ulteriormente dalla necessità di sottoporre gli stranieri a periodi di quarantena. L’accoglienza ha dovuto fare i conti con il maggior rischio di contagio collegato alla permanenza di un elevato numero di persone in uno stesso luogo. I trasferimenti di richiedenti protezione internazionale da uno Stato membro all’altro – secondo i criteri e le procedure previste dal regolamento Dublino [2] – sono diventati di fatto impossibili [3]. L’esame delle domande di asilo è stato rallentato dalla difficoltà di svolgere i colloqui con i richiedenti. Anche i rimpatri sono stati di fatto sospesi. La chiusura delle frontiere da parte dei Paesi terzi, di origine o di transito dei migranti, ha bloccato gli allontanamenti. L’impossibilità di perfezionare i rimpatri ha prodotto (o avrebbe dovuto produrre), a cascata, conseguenze sui trattenimenti finalizzati all’espulsione. Quest’ultimi dovrebbero infatti cessare, visto che la direttiva rimpatri [4] non consente di detenere gli stranieri in assenza di una reale prospettiva di allontanamento [5]. Non da ultimo, gli arrivi regolari da Paesi terzi sul territorio dell’Unione sono stati fortemente limitati, se non del tutto sospesi. Nel complesso, la politica di controllo delle frontiere, dell’immigrazione e dell’asilo è stata travolta dall’emergenza. Ciononostante, nella prima fase della pandemia questa politica non è stata al vertice delle priorità delle istituzioni dell’Unione europea. Quest’ultime si stanno concentrando maggiormente sulle misure di sostegno economico in favore degli Stati membri colpiti dalla pandemia [6] e sul coordinamento (o tentativo di coordinamento) dei provvedimenti statali diretti alla tutela della salute pubblica [7]. Le priorità sono state, in maniera piuttosto evidente, riviste [8]. Tuttavia, è facile prevedere che la gestione dei flussi migratori continuerà ad essere, per molto tempo ancora, una delle principali questioni che gli Stati e, in misura vieppiù crescente l’Unione saranno chiamati ad [continua ..]


II. Dalle riforme costituzionali ungheresi alla crisi dello Stato di diritto nell’UE

La garanzia di indipendenza del potere giudiziario non può essere considerata in termini astratti nella misura in cui appare legata a peculiarità ed equilibri propri di ogni singolo ordinamento nazionale, che sono spesso il frutto di una specifica tradizione costituzionale [13]. Talune soluzioni organizzative che, considerate isolatamente, parrebbero idonee a pregiudicare l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici nazionali, una volta calate all’in­terno di un preciso contesto politico e istituzionale potrebbero di fatto non condurre ad alcuna compromissione. A partire dalle tradizioni costituzionali comuni, la Corte di Giustizia ha progressivamente costruito una nozione elastica [14] di indipendenza del potere giudiziario, prima intorno all’art. 267 TFUE e poi quale diritto fondamentale del singolo di cui all’art. 47, par. 2 della Carta, al fine di non pregiudicare le singole identità nazionali e consentire la coesistenza, all’interno di un ordinamento giuridico autonomo, di soluzioni costituzionali talvolta molto diverse tra loro. Questo approccio ha mostrato i suoi limiti nel momento in cui l’Unione è stata chiamata a confrontarsi con talune riforme adottate a livello nazionale, prima in Ungheria e poi in Polonia, volte ad alterare il principio di separazione dei poteri ed a comprimere l’indipendenza del potere giudiziario. In diverse occasioni, i governi promotori hanno rivendicato la legittimità delle nuove riforme sostenendo che, isolatamente considerate, le misure adottate avessero già trovato cittadinanza in altri ordinamenti nazionali [15]. In che misura la Commissione europea poteva contestare l’accentramento in capo al nuovo Presidente dell’Ufficio Giudiziario Nazionale Ungherese del potere di nominare, licenziare, promuovere e sanzionare tutti i giudici, senza alcun potere di controllo sostanziale da parte di altre istituzioni [16], quando anche i giudici federali tedeschi sono eletti da un organo formato solamente da delegati del potere politico e senza alcun rappresentante del potere giudiziario [17]? Nello spazio giuridico europeo si avvertiva la necessità di consolidare uno standard di indipendenza del potere giudiziario che fungesse da parametro per valutare la compatibilità delle riforme relative al sistema giudiziario nazionale con il diritto dell’Unione. La vicenda ungherese [continua ..]


III. L’erosione dello Stato di diritto in Polonia e la reazione dell’Unione Europea

Nel settembre del 2013, l’allora commissario europeo Viviane Reding, nel solco dell’indirizzo inaugurato dal Parlamento europeo, aprì il dibattito sull’esistenza di una crisi dello Stato di diritto all’interno dell’Unione europea, evidenziando, tra le varie criticità, la necessità che la giustizia venisse amministrata da giudici indipendenti ed imparziali [34]. Poco dopo, l’Unione iniziava a dotarsi di un complesso quadro normativo volto a favorire il monitoraggio, il dialogo ed il ripristino dello Stato di diritto nell’Unione europea [35]. Nel medesimo periodo, la Polonia iniziava ad adottare una sequenza di leggi riguardanti il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), il Sąd Najwyższy (Corte suprema), il Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura), i giudici ordinari, la scuola nazionale della magistratura e gli uffici del pubblico ministero, il cui effetto combinato è apparso quello di favorire la riconfigurazione dell’intero apparato giudiziario con un conseguente – e forte – pregiudizio per l’indipendenza dei giudici nazionali [36]. Sulla scia della vicina Ungheria, il Parlamento polacco varava – tra le altre – due diverse riforme volte a ridurre l’età di pensionamento dei giudici nazionali [37]. La prima riduceva l’età di pensionamento dei giudici della Corte Suprema da 70 a 65 anni e condizionava il rilascio di una eventuale proroga per l’esercizio attivo delle funzioni giudiziarie all’approvazione del Presidente della Repubblica, limitandola ad un massimo di due volte e svincolandola da qualunque forma di controllo giurisdizionale. Questa riforma interessava oltre un terzo dei giudici della Suprema Corte, ossia 27 su 72, compreso il suo presidente, di cui 15 venivano collocati a riposo, e 5 tra i 12 giudici che avevano richiesto una proroga triennale la ottenevano. Contemporaneamente, il Presidente della Repubblica di Polonia disponeva il parallelo aumento del numero di giudici della Corte suprema, portandolo da 93 a 120, la pubblicazione di oltre 44 nuovi posti vacanti, tra cui quello occupato dal primo presidente, nonché la nomina di almeno i 27 nuovi giudici. La seconda riforma riduceva progressivamente l’età di pensionamento dei giudici ordinari e dei magistrati del pubblico ministero, da 67 a 65 anni per gli [continua ..]


IV. L’inaugurazione della nuova “giurisprudenza sull’indipenden­za”

Le censure mosse dalla Commissione nelle prime due procedure di infrazione sono apparse inedite nel panorama giurisprudenziale europeo, al tempo della loro presentazione. Come sopra anticipato, l’articolo 19, par. 1, TUE, fino a quel momento, aveva trovato scarsa applicazione nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Tale circostanza, insieme al numero crescente di rinvii pregiudiziali sul tema, ha rafforzato la necessita di costruire un percorso argomentativo volto a delineare, intorno al requisito di indipendenza del giudice nazionale, confini più marcati e, insieme, ad individuare nuovi e più effettivi meccanismi per favorirne la giustiziabilità. Il tentativo di un gruppo di giudici portoghesi di difendere il loro salario dalle misure nazionali di austerity ha offerto alla Corte l’occasione di inaugurare un nuovo filone giurisprudenziale relativo alla protezione delle garanzie del potere giudiziario ed alla definizione di uno standard di tutela nello spazio giuridico europeo. In Associação Sindical dos Juízes Portugueses la Corte ha intenzionalmente ricondotto le misure che concernono lo statuto dei giudici nazionali sotto la sua giurisdizione, collegando la garanzia di indipendenza all’obbligo incombente sui singoli Stati membri di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, di cui all’art. 19, par. 1, TUE [46]. Il mero fatto che un giudice nazionale sia competente a decidere sulla interpretazione o sulla applicazione del diritto dell’Unione diventa un elemento sufficiente per ricondurre le garanzie che ne presidiano l’esercizio delle funzioni sotto la sfera di giudizio della Corte. Si tratta di una interpretazione volta ad estendere la giurisdizione della Corte a «tutti i settori disciplinati dal diritto dell’Unione» superando le difficoltà legate al ristretto ambito di applicazione materiale della Carta dei diritti fondamentali, che sarebbero sorte in ragione dell’art. 51, par. 1, della Carta qualora si fosse lasciato, quale mero referente normativo, l’art. 47 della stessa [47]. Inoltre, nel chiarire che «ogni Stato membro deve garantire che gli organi rientranti, in quanto ‘giurisdizione’ nel senso definito dal diritto dell’Unione, nel suo sistema di rimedi giurisdizionali […] soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva», la Corte ha lanciato un monito agli Stati [continua ..]


V. Le sentenze della Corte di giustizia sull’indipendenza della magistratura polacca. Considerazioni sugli art. 19, par. 1, TUE e 47 della Carta

Sulla scia interpretativa appena descritta, in Commissione c Polonia (1) e (2) la Corte ha dichiarato che la Polonia, adottando le riforme sul pensionamento anticipato dei giudici nazionali, è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in virtù dell’art. 19, par. 1 TUE [55]. Nelle citate sentenze, la Corte ha ritenuto che la cessazione anticipata delle funzioni dei giudici della Corte Suprema e delle Corti ordinarie, causata dall’improvviso abbassamento dell’età per il pensionamento obbligatorio, avrebbe fatto sorgere legittimi dubbi quanto al fatto che l’obiettivo delle riforme sia stato quello di rimuovere un certo numero di giudici dagli organi giurisdizionali di appartenenza, in violazione del principio di inamovibilità. Inoltre, la combinazione tra le misure di pensionamento anticipato e l’attri­buzione di poteri di proroga del mandato giudiziale, rispettivamente al Presidente della Repubblica (Commissione c Polonia 1) ed al Ministro della Giustizia (Commissione c Polonia 2), avrebbe fatto sorgere nei singoli legittimi dubbi in merito all’impermeabilità dei giudici interessati rispetto ad elementi esterni ed alla loro neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Ciò in quanto la discrezionalità insita nell’esercizio di tali poteri non sarebbe stata vincolata al rispetto di alcun criterio oggettivo e verificabile, né ad alcun obbligo di motivazione né sarebbe stata sindacabile in giudizio, esponendo i giudici interessati dalle misure di pensionamento anticipato a potenziali influenze esterne, tali da orientarne il contenuto delle decisioni [56]. Lo standard di indipendenza ed imparzialità utilizzato dalla Corte nelle sue valutazioni, sotto l’egida dell’art. 19, par. 1, TUE, non risulta né nuovo né autonomo. Quest’ultimo è stato mutuato dalla consolidata giurisprudenza sulla nozione di “organo giurisdizionale” di cui all’art. 267 TFUE, tra i cui caratteri figura l’imparzialità e l’indipendenza dell’organo remittente, nonché dalla giurisprudenza –altrettanto consolidata– sul diritto di accesso ad un giudice terzo ed imparziale di cui all’art. 47, par. 2 della Carta. Il contenuto normativo di questa garanzia abbraccia le regole sostanziali e procedurali relative alla composizione degli organi [continua ..]


VI. Brevi osservazioni sulla portata della nuova giurisprudenza sull’indipendenza

Nelle pronunce in esame, la Corte ha chiarito che «sebbene, come ricordato dalla Repubblica di Polonia e dall’Ungheria, l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri nella competenza di questi ultimi, ciò non toglie che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri siano tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione» [66]. Nonostante in premessa la Corte abbia chiarito di non volersi arrogare l’esercizio di tale competenza [67], le scelte interpretative di cui si è già discusso hanno consentito ai giudici di Lussemburgo di ridurre l’autonomia procedurale dello Stato membro e corrispettivamente di espandere il loro sindacato nei confronti di tutte le riforme nazionali che coinvolgono profili connessi all’indi­pendenza ed imparzialità del potere giudiziario. Tramite il ricorso ad un modulo argomentativo assai noto nella sua giurisprudenza [68], la Corte ha rifiutato di riconoscere l’esistenza di un “nucleo di sovranità” che gli Stati membri possono invocare per schermare dal suo sindacato tutte quelle misure nazionali in contrasto con il principio di tutela giurisdizionale effettiva – e più in generale con le garanzie dello Stato di diritto-, riaffermando la priorità del processo di integrazione e l’autorità del diritto dell’Unione [69]. Ciò che la giurisprudenza sull’indipendenza della magistratura polacca rimarca è che se gli Stati membri potessero liberamente esercitare i poteri ricadenti nell’ambito delle loro competenze esclusive senza curarsi degli effetti prodotti nella sfera giuridica dell’Unione il progetto di integrazione europeo potrebbe risultarne fortemente compromesso, sia da un punto di vista materiale che geografico [70]. In altre parole, l’effettività del diritto dell’Uni­one ed il perseguimento dei suoi obiettivi verrebbero seriamente compromessi qualora l’Unione non potesse agire al di fuori delle materie strettamente assegnate alla sua sfera di competenza. Seguendo questo percorso argomentativo, la Corte ha esteso la sua giurisdizione ad un’area prima rimessa alle valutazioni dei singoli Stati membri non privandoli della possibilità di regolamentare il sistema giurisdizionale nazionale quanto imponendo loro di rimanere all’interno di [continua ..]


VII. Riflessioni conclusive.

La vicenda ungherese e quella polacca hanno prodotto una importante riflessione sulla capacità dell’Unione di colmare quel gap che è emerso tra la partecipazione al processo di integrazione europea, da un lato, e lo scostamento di alcuni Stati membri dai valori, principi e meccanismi che sono alla base dell’ordine giuridico europeo, dall’altro [75]. In primo luogo, le vicende analizzate hanno mostrato che i meccanismi predisposti dai Trattati non sono in grado di offrire tempestivi ed effettivi strumenti di contrasto alla progressiva erosione delle garanzie dello Stato di diritto prodottasi all’interno dei confini – geografici e giuridici – di alcuni Stati membri. Il quadro sulla rule of law tarda a fornire risposte effettive e l’attivazione del meccanismo di cui all’art. 7 TUE è stata paralizzata da rilevanti considerazioni politiche oltre che dal requisito dell’unanimità prescritto dal secondo paragrafo [76]. Le pressioni politiche provenienti da alcuni governi nazionali, insieme alle minacciate controspinte nazionaliste hanno indotto le Istituzioni europee ad adottare approcci cauti e, per tale ragione, non risolutori [77]. Nelle more, si è assistito ad una giurisdizionalizzazione del conflitto politico che ha consentito l’individuazione di soluzioni più rapide ed effettive grazie al velo imparziale dell’argomentazione giuridica. In questo contesto, l’ampliamento della giurisdizione della Corte a materie prima rientranti nella discrezionalità statale ha incontrato minori resistenze rispetto a quelle che si sarebbero dovute vincere ricorrendo ai meccanismi di revisione dei Trattati. Nell’esercizio della funzione assegnatale dai Trattati di garantire l’uniforme interpretazione e l’effettiva applicazione del diritto dell’Unione, la Corte è infatti da sempre legittimata a ricorrere a forme di integrazione negativa. Il prodotto di questa giurisprudenza è stato l’elaborazione di una garanzia di indipendenza ed imparzialità che travalica l’originaria funzione attribuitale dalla giurisprudenza sorta intorno all’art. 267 TFUE nonché quella di diritto soggettivo del singolo derivante dall’art. 47 della Carta, diventando parte dell’«interesse generale dell’Unione al buon funzionamento del suo ordinamento giuridico», in [continua ..]


NOTE