Il contributo approfondisce l’utilizzo e l’impatto del soft law dell’Unione europea nei giudizi interni, prendendo in considerazione, segnatamente, il settore della concorrenza e quello dei mercati finanziari. L’analisi si fonda, oltre che su un esame approfondito della giurisprudenza, anche su interviste svolte con giudici, funzionari ed imprese. Dopo avere valutato e discusso il valore giuridico attribuito al soft law dell’Unione dai giudici italiani (civili, amministrativi e costituzionali), l’articolo propone un nuovo approccio nei confronti del soft law, esaminando in particolare le modalità attraverso cui i principi classici dell’effetto diretto, dell’interpretazione conforme e del primato possono essere riletti attraverso la lente del soft law.
The article analyses the use and impact of EU soft law within Italian judicial proceedings, looking in particular to the fields of competition and financial regulation. Interviews with judges, civil servants and private parties have also been used to develop the legal reasoning, together with an in-depth case-law analysis. After having measured and debated the value of EU soft law before Italian civil, administrative and constitutional judges, the article proposes a new approach towards soft law, discussing in particular how the classical principles of direct effect, consistent interpretation and primacy can be re-read through the lens of soft law.
I. Introduzione - II. Metodologia di ricerca e delimitazione del campo di indagine - III. Giudici italiani e soft law dell’Unione europea: elementi quantitativi di utilizzo - Il valore attribuito agli atti soft dell’Unione europea nei giudizi interni - La rilevanza autonoma degli atti soft dell’Unione europea nei giudizi interni: una proposta per un cambio di prospettiva - VI. Taking soft law seriously: i rapporti tra ordinamenti osservati attraverso la lente del soft law - VII (Segue). Riflessioni in tema di effetto diretto - VIII (Segue). Un “nuovo step” del principio dell’interpretazione conforme? - IX (Segue). Ragioni giustificatrici dell’utilizzo degli atti soft nei giudizi nazionali: primato del diritto dell’Unione o criteri(o) di tipo “funzionale”? - X. Il soft law dell’Unione europea nei giudizi interni: un bluff istituzionale, tra rischi e opportunità - NOTE
Nel corso degli ultimi decenni, l’Unione europea ha conosciuto una fortissima proliferazione di atti di soft law, formalmente non vincolanti, ma de facto capaci di indirizzare l’agire di amministrazioni, cittadini, imprese e giudici. I settori interessati dal fenomeno sono ormai molteplici; inoltre, l’adozione di tali atti non è più solo appannaggio della Commissione europea, ma è devoluta in misura sempre maggiore anche ad agenzie dell’Unione, che sovente coinvolgono in tale esercizio anche le autorità amministrative nazionali. Mentre la dottrina si è occupata ampiamente dei profili politici e istituzionali dell’ascesa del soft law nell’ordinamento internazionale [1] e dell’Unione europea [2], molta meno attenzione è stata dedicata all’altra esigenza forte che si avverte nello studio di questo tema: ovvero quella di misurare, in concreto, l’impatto di tali atti sull’ordinamento interno e, di riflesso, sulla vita dei consociati. Soddisfare quest’altro interesse, beninteso, altro non è che un diverso approccio per giungere al medesimo risultato: valutare se e in che termini la proliferazione del soft law incide sui principi su cui si regge l’ordinamento dell’Unione e, con esso, quello nazionale. Tuttavia, seguire questo diverso metodo di analisi permette di valorizzare non tanto e non solo l’intrinseca ambiguità e atipicità di tali atti, quanto soprattutto il loro effettivo impatto sull’ordinamento, ovvero la loro capacità di regolare la vita di cittadini e imprese. E ciò perché, esaurita la novità data dall’ascesa del soft law – se di novità si può parlare, posto che atti non vincolanti esistono in ogni ordinamento ben prima della loro cristallizzazione nella nozione di soft law [3] – è proprio da una valutazione di tipo (anche) empirico e pratico che possono sorgere nuovi margini di comprensione di un fenomeno che, evidentemente, sarà tanto più peculiare e rivoluzionario, e quindi capace di incidere sui consolidati principi dell’ordinamento, quanto più effettivamente e concretamente capace di soppiantare le norme giuridiche classicamente intese nel fungere da parametro di legalità dei comportamenti dei consociati [4]. Il presente studio si propone dunque di perseguire [continua ..]
Un portato dell’approccio funzionalista appena descritto, finalizzato a valutare in primo luogo i risultati conseguiti dagli atti in questione, è quello di aggiungere alla classica ricerca normativa, dottrinale e giurisprudenziale anche un canale capace di raccogliere le esperienze di chi si trova, quotidianamente, a utilizzare questi atti. Pertanto, al fine di elaborare il presente scritto, sono state effettuate interviste con tutti i soggetti interessati dalla “filiera” del soft law dell’Unione europea: le pubbliche amministrazioni (che, in molti settori, per prime, ricevono e sono chiamate ad applicare tali atti); le imprese (che, evidentemente, in quanto soggetti regolati sono i destinatari finali dei medesimi); nonché, ed è quello che maggiormente interessa in questa sede, i giudici, civili e amministrativi (e non solo, come subito si dirà), che si trovano ad utilizzare gli atti soft per dirimere le controversie ad essi sottoposte [7]. Sempre in ragione di tale matrice empirica, l’analisi è stata limitata a due settori: il diritto della concorrenza (inteso come comprensivo tanto del diritto antitrust, quanto della materia degli aiuti di Stato) e quello dei mercati finanziari. Il primo è il settore più paradigmatico del ricorso ad atti soft, avendo anzi anticipato ed esportato in altri ambiti tale tendenza e costituendo ora il laboratorio più antico e fecondo di soft law dell’Unione europea [8]. In tale contesto, sono stati analizzati precipuamente tredici atti, divisi tra antitrust e aiuti di Stato, aventi un contenuto tanto procedurale (ad esempio, la Comunicazione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza) che sostanziale (ad esempio, la Comunicazione «de minimis»), e con un carattere sia generale o orizzontale (ad esempio, la Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato), sia settoriale (ad esempio, la Comunicazione sugli aiuti in materia ambientale ed energetica per il periodo 2014-2020) [9]. La scelta di un approccio selettivo, compiuta in seno al più ampio progetto europeo di ricerca in cui tale studio si inserisce [10], ha ovviamente vantaggi e svantaggi. Nel caso di specie, i primi sembrano aver superato i secondi, per due ordini di motivi. Da un lato, gli evidenti limiti alla possibilità di formulare considerazioni di carattere generale sono stati [continua ..]
Il primo obiettivo del presente studio è, ovviamente, quello di valutare se i giudici italiani applicano il soft law di provenienza “comunitaria” nei due settori presi in considerazione. La risposta è sicuramente positiva nel settore della concorrenza, dove gli atti oggetto di studio sono stati utilizzati da giudici civili e amministrativi, ad ogni livello. L’analisi giurisprudenziale ha coperto un lasso di tempo decorrente dal 1° gennaio 2000 (o, se successivo, dal giorno di pubblicazione della prima versione dell’atto soft in esame) fino al 1° giugno 2018 e ha restituito un corpus di 175 pronunce [22] – risultato che, data anche la notoria difficoltà nel reperire la giurisprudenza di merito, pare del tutto rilevante e, comunque, è più di quattro o cinque volte maggiore del risultato ottenuto negli altri Paesi membri partecipanti al progetto di ricerca nel cui quadro si inserisce l’indagine svolta, quali, su tutti, Regno Unito, Francia e Germania. [23] Sarebbe certamente interessante comparare questo dato – relativo a sentenze e ordinanze che citano gli atti soft in esame – con il numero totale di pronunce che riguardano i temi coperti dai medesimi, così da valutare con quale frequenza tali atti vengono invocati nei contenziosi aventi ad oggetto temi da essi “regolati” (rectius, trattati). Una simile analisi, che chiaramente si scontra con l’intrinseca difficoltà di valutare quantitativamente la giustizia italiana, è lasciata a future ricerche; si sottolinea, per il momento, che in sede di intervista sia i giudici civili (ricordiamo, della Sezione specializzata Imprese che si occupa tra l’altro del private antitrust enforcement presso il Tribunale di Milano, nonché della Corte di appello che conosce in secondo grado le sentenze della prima), sia un giudice amministrativo del TAR Lazio, Roma (notoriamente competente per i giudizi di impugnazione delle delibere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM), hanno confermato come l’utilizzo degli atti soft dell’Unione sia assolutamente significativo, per tutte le cause che rientrano nel campo di applicazione dei medesimi. Nel settore dei mercati finanziari, invece, si ravvisano molti meno casi rilevanti ai fini della presente indagine. Addirittura, limitando l’analisi ai giudici stricto sensu, non [continua ..]
Dopo avere brevemente esposto i risultati delle ricerche condotte dal punto di vista quantitativo, pare opportuno svolgere alcune considerazioni – sotto il profilo, per così dire, qualitativo – in merito ai principali aspetti emersi dalle interviste e dall’analisi della giurisprudenza con riguardo al valore attribuito agli atti soft dell’Unione europea dai giudici italiani e dall’ACF nei settori esaminati. Per quanto riguarda, in primo luogo, le interviste, occorre premettere che le risposte date alla domanda – posta in termini generali – relativa all’efficacia concretamente riconosciuta agli atti soft dell’Unione europea sono state, in linea di principio, largamente coincidenti. Invero, tutti gli intervistati hanno condiviso l’idea secondo cui al soft law non sarebbe riconducibile alcun tipo di efficacia vincolante; solo l’intervista condotta con un membro dell’ACF ha portato a conclusioni più nette circa un valore sostanzialmente vincolante delle guidelines, motivato in ragione della forte astrattezza dei principi sanciti a livello legislativo. Infatti, analizzando in concreto la giurisprudenza rinvenibile nel settore della concorrenza, si evince che nella maggioranza dei casi agli atti soft dell’Unione europea viene attribuito un valore essenzialmente ausiliario, menzionandoli congiuntamente a – rectius, a supporto di – atti vincolanti e/o precedenti decisioni dei giudici dell’Unione o nazionali [31]. Il rapporto si inverte nel settore finanziario, dove la casistica dell’ACF fa emergere, al contrario, una maggioranza di casi in cui l’atto soft è chiamato ad un ruolo assai più incisivo, come subito si dirà. Tuttavia, anche nel settore della concorrenza, superata la parte introduttiva delle interviste, ed a fronte di domande vieppiù specifiche, le risposte di buona parte degli intervistati hanno tradito un approccio – a nostro avviso – almeno parzialmente diverso rispetto a quanto in precedenza affermato. Tale diversità risulta, ad esempio, dal fatto che più di un giudice abbia riconosciuto che avvertirebbe l’esigenza di fornire una ben precisa motivazione in tutti i casi in cui decida di “discostarsi” dalle previsioni contenute in un atto soft [32]. L’esigenza in questione è stata manifestata, nei termini appena descritti, dai giudici [continua ..]
Quanto appena osservato – sulla scorta dell’analisi giurisprudenziale condotta – in merito alla frequente autonomia degli atti soft nel guidare l’interpretazione dei fatti di causa da parte dei “giudici” nazionali (ivi compreso, per semplicità espositiva, l’ACF), merita, a nostro avviso, alcune riflessioni ulteriori. Invero, pare sin troppo semplice l’obiezione secondo cui dalla mancanza di riferimenti espressi ad atti o principi di carattere vincolante, in un determinato passaggio di una pronuncia adottata da un giudice nazionale (nel quale, invece, viene citato un atto non vincolante), non potrebbe automaticamente desumersi che tale giudice si sia fondato in via esclusiva sull’atto soft menzionato. E ciò, a maggior ragione, in quanto gli atti non vincolanti adottati a livello dell’Unione sono sempre, almeno in una certa misura, espressione di principi generali del sistema, nonché, in molti casi, in qualche modo “coperti” da una disposizione di carattere generale (di diritto primario ovvero derivato) che viene semplicemente specificata o chiarita da indicazioni contenute in un atto soft [54]. Tale rapporto, evidentemente, può rimanere anche sotto traccia, ed essere quindi solo implicito, non risultando espressamente dal testo delle decisioni dei giudici nazionali, ad esempio per ragioni di “economia argomentativa”. L’obiezione, in linea generale, coglie certamente nel segno. Tuttavia, a nostro avviso, ed alla luce dell’indagine empirica condotta, nella complessità dell’attuale panorama delle fonti risulta vieppiù semplicistico, forse addirittura naïf, pensare che gli atti soft dell’Unione europea trovino applicazione nei giudizi nazionali sempre e solo in quanto “coperti” da principi o regole hard. Infatti, per un verso, gli atti non vincolanti adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione sono sempre più sofisticati e dettagliati, contenendo in molti casi tutte le prescrizioni utili per inquadrare una determinata fattispecie e fornendo indicazioni più precise e concrete rispetto agli stessi atti legislativi. Per altro verso, anche solo per le note esigenze di efficienza e di gestione dell’ingente carico di lavoro da parte dei giudici, non pare si possa sottovalutare la tentazione – del resto ascrivibile alla generalità degli [continua ..]
Alla luce di tutti gli elementi evidenziati, e tenendo conto, tra l’altro, dei rischi di cui si è detto, ci è sembrato necessario – per così dire – “prendere il soft law sul serio” [67] e, conseguentemente, ci siamo proposti di valutare se il suo utilizzo da parte dei giudici nazionali, in particolare secondo le modalità sopra descritte, sia suscettibile di incidere in qualche misura sui rapporti tra ordinamento dell’Unione europea e ordinamento interno [68]. In altri termini, l’operazione che ci è parso opportuno avviare in questa sede è quella di osservare come si modulano i principi generali che presidiano i rapporti tra ordinamenti in tutte quelle situazioni in cui la “norma” europea cui concretamente il giudice dà applicazione è contenuta, di fatto, in un atto soft. A tal fine, si prenderanno in esame, in primo luogo, talune situazioni, verificatesi in concreto o solo potenziali, in relazione alle quali pare lecito soffermarsi sul principio dell’effetto diretto delle norme dell’Unione, con particolare riguardo all’interazione tra l’attuazione delle direttive dell’Unione classicamente intesa e quella che, invece, si impone per il tramite di atti soft europei e nazionali (par. VII). Successivamente, si valuterà come l’ascesa del soft law nei giudizi interni possa impattare sul principio dell’interpretazione conforme (par. VIII). Il settore dei mercati finanziari sarà di particolare ispirazione nell’analisi di questi due profili, pur portando a svolgere riflessioni che, mutatis mutandis, potrebbero rimanere valide anche in altri contesti. Infine, si tenterà di verificare l’applicabilità del principio del primato rispetto agli atti soft, proponendo una ricostruzione alternativa, fondata, come si vedrà, su uno o più criteri di tipo funzionale (par. IX), per poi svolgere alcune considerazioni conclusive (par. X).
Il primo principio che intendiamo osservare attraverso la lente del soft law è quello dell’effetto diretto [69]. Pare quasi superfluo premettere che, secondo un’impostazione “classica”, l’operatività del principio in questione è necessariamente connessa, tra l’altro, alla sussistenza di una norma dell’Unione di carattere vincolante, escludendosi quindi che esso possa trovare applicazione con riguardo a previsioni contenute in atti soft [70]. Tuttavia, come si è visto, con il presente studio ci si propone precisamente di valutare se, ed eventualmente in quale misura, l’utilizzo in concreto del soft law dell’Unione nei giudizi interni sia suscettibile di rimettere in discussione la ricostruzione tradizionale dei rapporti tra ordinamenti; in tale prospettiva, pare utile tentare di verificare se vi sia spazio per ipotizzare il riconoscimento di efficacia diretta a previsioni dettate da atti formalmente non vincolanti. Gli spunti più interessanti, a tal fine, vengono dal settore dei mercati finanziari, in ragione della sua peculiare struttura normativa multilivello che, come già evidenziato, vede la proliferazione non solo di norme dell’Unione, con le rispettive norme nazionali di attuazione, ma anche di atti soft, adottati da ESMA per delineare la disciplina di dettaglio degli atti legislativi e successivamente “recepiti” da CONSOB attraverso altri atti parimenti soft. In questo quadro normativo possono delinearsi diversi scenari. Si pensi, in primo luogo, al caso in cui il principio dell’effetto diretto venga utilizzato per dare applicazione a delle guidelines di ESMA, in quanto palesemente attuative di principi generali sanciti nella legislazione dell’Unione, che però – pur fornendo regolari motivazioni – non sono state recepite dall’autorità nazionale, ovvero lo sono state ma in termini deficitari o erronei. Questo scenario potrebbe svolgersi in contesti del tutto “orizzontali” (un investitore privato che invoca in giudizio un diritto attribuitogli da guidelines non “trasposte” e che, dunque, gli intermediari finanziari non hanno rispettato), oppure potenzialmente anche “verticali” (un intermediario finanziario operativo in diversi Stati membri che, per semplicità ed economicità gestionale, segue una procedura sancita in un atto soft [continua ..]
La struttura regolamentare dei mercati finanziari può poi portare ad un ultimo scenario – questo, invece, già ampiamente verificatosi – che induce a formulare alcune osservazioni sulle modalità attraverso cui si applica il noto principio dell’interpretazione conforme con riguardo alle più recenti forme di soft regulation. Si pensi al caso in cui le guidelines di ESMA, e la Comunicazione CONSOB di “trasposizione”, vengano adottate dopo l’adozione della direttiva di cui le medesime dettano la disciplina di dettaglio, nonché della legge nazionale che recepisce la direttiva nell’ordinamento interno. È questo, ad esempio, lo scenario classico che si ritrova nel contenzioso pendente davanti all’ACF, che è sovente stato chiamato a trattare controversie relative ai requisiti di adeguatezza per la vendita di prodotti finanziari. Tale fattispecie è (rectius, come subito si dirà, era) disciplinata dalla prima direttiva MiFID [85], adottata nel 2004, trasposta nel nostro ordinamento nel 2007 [86] e oggetto di un intervento di ESMA, tramite guidelines, nel giugno 2012 [87], recepite da CONSOB nell’ottobre del medesimo anno [88]. Beninteso: ora la disciplina della materia è stata oggetto di aggiornamento per il tramite della già menzionata seconda direttiva MiFID [89]. Tuttavia, la casistica dell’ACF, per ovvie ragioni di applicazione delle leggi nel tempo, è ancora riferita al precedente quadro normativo; esso, peraltro, con la sua successione nel tempo di norme (… o de facto tali) costituisce lo scenario legislativo tipico del settore, che merita dunque di essere analizzato. Il suddetto contesto normativo è, a prima vista, “rassicurante”, dal momento che la successione temporale degli atti impedisce aggiramenti “dal basso” dei limiti all’effetto diretto in contesti orizzontali. Eppure, guardando nel concreto la disciplina dettata da tali atti si aprono profili parimenti interessanti e, potenzialmente, problematici. Ad esempio, per la definizione del profilo di rischio per vendere prodotti finanziari i summenzionati atti legislativi (sia dell’Unione, che nazionali) sanciscono meramente un generico obbligo dell’intermediario finanziario di raccogliere informazioni dal proprio cliente/investitore, affinché il prodotto finanziario [continua ..]
Come si è anticipato, pare ora opportuno tentare di individuare, nella prospettiva dei rapporti tra ordinamenti, i presupposti e le ragioni che giustificano il ricorso ad atti soft dell’Unione europea da parte dei giudici nazionali, soprattutto nei casi di utilizzo di tali atti in via principale o autonoma. A tale riguardo, ci si potrebbe domandare, in primo luogo, se l’applicazione degli atti in questione nei giudizi interni possa essere ricondotta, almeno in una certa misura, al principio del primato del diritto dell’Unione europea [103]. Se ad un primo sguardo l’ipotesi potrebbe sembrare suggestiva [104], in realtà, a ben vedere, tale principio, soprattutto ove inteso in termini puramente gerarchici, secondo l’impostazione “monista” tradizionalmente propugnata dalla Corte di giustizia [105], non pare idoneo al fine di inquadrare i rapporti tra ordinamenti nelle situazioni in cui uno o più atti soft dell’Unione europea vengono utilizzati da parte di un giudice nazionale. E ciò – indipendentemente da qualsiasi considerazione circa la natura (realmente o solo formalmente) non vincolante di tali atti – anche solo in ragione della difficoltà, se non addirittura dell’impossibilità, di riscontrare casi di effettivo contrasto tra un atto non vincolante dell’Unione e un atto nazionale [106], tale da rendere prospettabile il ricorso al meccanismo della disapplicazione, ovvero la proposizione di una questione di legittimità costituzionale alla Consulta. Invero, in linea generale, la funzione più frequentemente svolta dagli atti soft dell’Unione sembra essere – del tutto logicamente – non già quella di dettare una disciplina suscettibile di imporsi rispetto alle normative nazionali di settore, quanto piuttosto quella di colmare lacune interpretative, integrando sotto vari profili la normativa hard rilevante. Ma se anche debba escludersi, quantomeno nei termini sin qui evidenziati, la riconducibilità dell’applicazione degli atti soft dell’Unione europea nei giudizi interni al principio del primato, lo studioso è comunque chiamato a valutare in forza di che cosa tali atti si affermano, come visto, quale principale (o addirittura unico) parametro “normativo” esplicito utilizzato dal giudice nazionale. La rilevanza di tale quesito potrebbe essere [continua ..]
Alla luce di quanto precede e dell’indagine empirica condotta, pur nella consapevolezza che gli aspetti meritevoli di ulteriori approfondimenti sarebbero numerosi, pare opportuno svolgere qualche riflessione finale in merito all’incidenza del soft law dell’Unione sui rapporti tra ordinamenti. In proposito, è appena il caso di ricordare che l’utilizzo massiccio – e forse non sempre adeguatamente consapevole – di atti non vincolanti di provenienza europea, nell’ambito dei giudizi interni, comporta rischi non indifferenti: sul punto ci si è già soffermati supra, evidenziando in particolare il tema della codificazione pro domo propria, osservabile soprattutto in materia di concorrenza [110], nonché i “cortocircuiti istituzionali” che si nascondono dietro al ricorso al soft law, ad esempio nel settore dei mercati finanziari [111]. E ciò senza contare le numerose criticità – ampiamente studiate in dottrina [112] – che contrassegnano il soft law dal punto di vista della legittimità democratica e della trasparenza. Squarciato il velo della sua (solamente formale) non vincolatività, il soft law emerge come uno strumento che, di fatto anche se non de iure, rivoluziona consolidati principi della struttura dell’autorità pubblica. Si pensi alla tripartizione dei poteri, che certamente trova una sua declinazione autonoma e peculiare nell’ordinamento dell’Unione europea [113], ma che indubbiamente costituisce una pietra angolare del modo contemporaneo di intendere la res publica, e che però risulta del tutto stravolta dal soft law (sebbene, beninteso, non solo da esso [114]) per quanto concerne i rapporti tra esecutivo e legislativo. Parimenti, la proliferazione del soft law (rectius: la sua capacità concreta di incidere sulla vita dei consociati, almeno nei settori presi a riferimento in questo studio) conduce anche a riflettere sul ruolo delle assemblee legislative, che si svuotano dei propri poteri normativi, delegandoli ad autorità tecniche. Il principio democratico di rappresentatività viene tutelato invocando la perdurante capacità del legislatore di controllare e indirizzare l’esercizio di tali poteri [115]; e se esula dalle finalità del presente lavoro, nonché probabilmente delle scienze giuridiche stricto sensu intese, valutare [continua ..]