Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

01/10/2018 - Limiti al controllo antitrust e attività dei Consigli notarili ovvero l'art. 106, comma 2, TFUE alla prova dei fatti

argomento: Osservatorio

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di VALERIA CAPUANO

1. Conordinanza n.1 del 3 maggio 2018, per la prima volta, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha rimesso  una questione di legittimità costituzionale alla Consulta, relativamente alla recente normativa nazionale che sottrae dall'applicazione del diritto antitrust le attività notarili qualora rientrino tra gli atti funzionali all'attività disciplinare (per un primo commento a questa disciplina si rimanda a E. MARASÀ - O. POLLICINO, Nuovo articolo 93-ter, comma 1-bis, della Legge Notarile: esenzione totale dei notai dalle regole di concorrenza? Contrarietà ai principi comunitari? Niente affatto, in Media Laws, Law ad policy).

L'ordinanza in parola solleva diversi punti di interesse. In primo luogo, emergono dubbi di carattere tecnico-procedurale, non essendo certamente pacifica la legittimazione dell'AGCM a sollevare questioni di legittimità costituzionale. Non senza rilievo, poi, sono i profili sostanziali che vengono sottoposti all'attenzione della Consulta alla luce, in particolare, della suddetta riforma, che con legge n. 205 del 27 dicembre 2017 ha introdotto, tra l'altro, il nuovo art. 93-ter, comma 1-bis alla legge notarile n. 89 del 1913, che insieme all'art. 8, comma 2, l. n. 287 del 1990, è oggetto del quesito di costituzionalità in relazione agli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione. Da ultimo, qualche riflessione merita una recente giurisprudenza amministrativa che si è espressa proprio sull'attività dei Consigli notarili e le possibili ripercussioni sulla concorrenza, fornendo utili spunti interpretativi per la vicenda che qui ci occupa.

2. Con il provvedimento in commento l'AGCM pare voler risolvere in maniera, evidentemente, insolita i conflitti che oramai da anni intercorrono tra la stessa e diversi Consigli Notarili distrettuali, accusati, nella maggior parte dei casi, di porre in essere - in qualità di associazioni di imprese - accordi restrittivi della concorrenza ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287/1990 che, ricordiamo, riproduce fedelmente l'art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) (si consenta di rinviare alle nostre osservazioni inTariffe notarili e disciplina della concorrenza: una soluzione dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea?in Diritto Mercato Tecnologia, 2013).

Nella specie l'AGCM aveva avviato nei confronti del Consiglio Notarile di Milano (CNM) un procedimento volto ad accertare l'esistenza di un'intesa restrittiva della concorrenza realizzata, in particolare, attraverso varie attività di controllo da parte del CNM sui notai del proprio distretto. Secondo l’istruttoria, sarebbero sotto accusa, inter alia, le richieste da parte del CNM di fornire «dati economici sensibili sotto il profilo antitrust» attraverso un sistema di monitoraggio a tappeto sull’attività dei singoli notai, volto ad acquisire informazioni sempre più dettagliate sul loro comportamento economico, nonché la "mappatura" dei professionisti così controllati. Ancora – secondo l’Antitrust – sarebbe indicativo della suddetta condotta anticompetitiva il «diffuso risalto» (attraverso relazioni annuali, giornate di studio, audizioni) dato dal CNM del messaggio che occorre «evitare sperequazioni» nella distribuzione del lavoro, nonché la condanna dei cd. “attifici”. A tali imputazioni il CNM ha replicato spiegandole in termini di “funzionalità” all’esercizio del suo diritto/dovere di vigilanza (dove, ad esempio, il numero troppo elevato di atti da parte di alcuni professionisti può rappresentare un serio indice della violazione del principio della personalità della prestazione).

Orbene, a margine di tali contestazioni - prima della conclusione della descritta attività istruttoria e a ridosso dell’invio alle parti della Comunicazione delle risultanze istruttorie (cd. CRI) - è entrato in vigore l’art. 93-ter, comma 1-bis della legge 16 febbraio 1913 n. 89, introdotto con la legge n. 205, cit., stabilendo che «agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287». Quest'ultima disposizione, ricordiamo, stabilisce che le normative in materia antitrust «non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati». Giova, quindi, ricordare che tale articolo, a sua volta, è la riproduzione in chiave nazionale del comma 2 dell'art.106 TFUE, in base al quale le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle regole dei Trattati e, in particolare, della concorrenza solo nei limiti in cui ciò non impedisca lo svolgimento della specifica missione loro affidata.

Rispetto alla nuova previsione la CRI ha sostenuto, in prima battuta,  la inapplicabilità ratione temporis in quanto norma sopravvenuta alle condotte contestate ed, in subordine, la illegittimità della stessa  poiché in contrasto col testé citato art.106, comma 2, TFUE, come restrittivamente interpretato dalla Corte di giustizia (Corte giust. 30 gennaio 1974, C-127/73, BRT c. SABAM, e Tribunale 12 dicembre 2000, T-128/98, Aéroports de Paris). In particolare, nella CRI, aderendo ad un’applicazione della deroga in esame «solo in via eccezionale e una volta superato il test di proporzionalità», è stata proposta al Collegio decidente la disapplicazione dell’art. 93-ter, comma 1-bis per contrarietà agli artt. 101 e 106 TFUE, non prevedendo esso un limite alle ipotesi di attività disciplinari ricomprese nell’eccezione.

Come intuibile, tale posizione non è stata condivisa dal CNM che, invece, proprio in virtù della disposizione in esame, ha sollevato la questione preliminare dell’incompetenza dell’AGCM a giudicare le condotte oggetto d’istruttoria. In particolare, il Consiglio ha sottolineato come la norma si applichi perfettamente al caso di specie ove non introduce un principio nuovo, bensì si limita a «codificarne» uno già presente nel nostro ordinamento come, tra l’altro affermato a più riprese dai giudici nazionali (Cass. (Civ. Sez. II) 5 maggio 2016, n.9041 ribadita nell’ordinanza della Corte d’appello Milano (Sez. I) del 6 aprile 2018). Secondo questa giurisprudenza - ricordiamo anteriore alla novella normativa - le norme antitrust «devono ritenersi inapplicabili agli organi del Consiglio notarile, che, quando esercitano la funzione disciplinare, non regolano l’attività economica svolta dai notai nell’offrire servizi sul mercato, ma, con prerogative tipiche dei pubblici poteri, adempiono, in sostanza, a una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà (...)». La Corte d'appello poi, confermando la Cassazione, ha aggiunto - in virtù del nuovo art. 93-ter, comma 1-bis - che «l’esenzione dall’applicazione diretta delle regole antitrust e dal potere di intervento sanzionatorio dell’AGCM concerne proprio gli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare», in quanto i Consigli notarili distrettuali, «limitatamente all’esercizio della vigilanza, (…) non regolano i servizi offerti dai notai sul mercato, ma esercitano prerogative tipiche dei pubblici poteri. A ben vedere, quindi, con la modifica normativa in commento, il legislatore ha inteso emanare una norma di interpretazione autentica di una previsione già vigente» (cfr. DO C282, all. 2. del fascicolo istruttorio).

Si pongono, quindi, all'attenzione del Collegio due posizioni totalmente antitetiche: l'una, quella degli uffici istruttori, volta a far dichiarare la incompatibilità dell'art. 93-ter rispetto all'art. 106, comma 2, TFUE e, quindi, la immediata disapplicazione della norma in esame, in virtù dei principi dell'effetto diretto e del primato del diritto dell'Unione; l'altra - sostenuta dal CNM – atta ad affermare la perfetta legittimità della norma in esame, proprio in relazione al medesimo art.106, comma 2, TFUE e, di conseguenza, la incompetenza dell’Autorità all'esercizio dell'istruttoria in corso.

E' in questo contesto che si inserisce la decisione, di certo eccentrica, del Collegio dell'AGCM che per la chiusura del procedimento ha ritenuto necessario sollevare una questione di legittimità in via incidentale alla Consulta, assegnandosi - per la prima volta - la qualifica di "giudice", ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953. Il Collegio, all'esito di una disamina alquanto articolata sull’ammissibilità della sua domanda (sul punto v. M. LIBERTINI, Osservazioni sull'ordinanza 1/2018 (proc. I803) dell'AGCM, in Federalismi.it ), ha concluso, infatti, chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi in merito alla compatibilità dell'art. 93-ter, comma 1-bis, della legge n. 89/1913 e dell'art. 8, comma 2, della legge n. 287/1990 con gli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione.

3. La decisione dell'Autorità di rimettere il quesito alla Consulta è una scelta senz'altro azzardata che, in caso di accoglimento, potrebbe contribuire alla creazione di nuovi interessanti equilibri istituzionali interni (sul punto RIDOLFI,L’indipendenza dell’Agcm alla luce dell’ordinanza n. 1 del 3 maggio 2018, in Federalismi.it). L'analisi della prassi non pare consentire, allo stato, alcun tipo di previsione in merito a quella che potrebbe essere la risposta della Consulta (www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_299_Giudice_processo_quo.pdf).

Ad ogni modo, questa è materia di chiaro interesse processuale nonché costituzionale, che sfugge ai più limitati confini della presente indagine (sul punto si rimanda alle osservazioni di G. COLAVITTI, L'AGCM solleva la questione di costituzionalità dell'art.93 ter della legge notarile, in Notariato 4/2018, p.387. In generale sul tema ex multiis, A. TAGLIALATELA, R. ROLLI, La “legittimazione” costituzionale delle Autorità amministrative indipendenti, in Rivista di diritto amministrativo, n. 2/2010; M. CLARICH, L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato come autorità pubblica indipendente, in C. RABITTI, P. BARUCCI (a cura di), 20 anni di Antitrust, Torino, 2010, p.239 ss.; F. S. MARINI, La concorrenza tra i poteri dello Stato: l'Autorità tra tradizione e inovazione, in C. RABITTI, P. BARUCCI (a cura di), 20 anni di Antitrust, Torino, 2010, p. 287 ss.; A. PATRONI GRIFFI, Accesso incidentale e legittimazione degli “organi a quo”. Profili problematici e prospettive di riforma, Napoli, 2012). Nondimeno, però, sul tema, ci sia consentito osservare, da una prospettiva genuinamente europea, come un accoglimento del rinvio rappresenterebbe più che un messaggio di "apertura" della Consulta verso nuove dinamiche interne, un segnale di scarsa sensibilità delle prerogative proprie dell'Unione. La questione oggetto del quesito è, infatti, di competenza chiaramente europea e l'effetto diretto di cui gode l'art. 106, comma 2, TFUE come riconosciuto ampiamente anche in dottrina, non dovrebbe rendere necessario il ricorso al nostro Giudice delle Leggi, seppure tramite l'art. 117, comma 1, Cost., quanto piuttosto consentire la diretta disapplicazione della norma interna ove ritenuta in contrasto (ex multiis, R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea, Torino, 2016, p. 412 ss.; G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell'Unione Europea - parte istituzionale, Torino, 2016, p. 476 ss.). Qualora, tuttavia, come nel caso di specie, l'amministrazione nazionale nutra dei dubbi in merito all'interpretazione della norma del Trattato gli scenari maggiormente in linea con i dicta europei paiono essenzialmente due. Nel primo, l'amministrazione nazionale dovrebbe individuare, comunque, una soluzione e, solo nel caso di impugnazione della decisione così emessa, "sollecitare" il giudice amministrativo a rimettere la questione al giudice dell’Unione attraverso il rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 TFUE. Altra strada potrebbe, invece, consistere in un rinvio diretto da parte dell'amministrazione nazionale, non alla Consulta bensì alla Corte di giustizia, sempre ai sensi dell'art. 267 TFUE. E' questa una tesi di certo non pacifica ma, a parere di chi scrive, più vicina ai sistemi di composizione dei conflitti normativi previsti dall'ordinamento giuridico dell'Unione. Ricordiamo, infatti, che in passato tale eventualità era stata già indicata da alcune Autorità nazionali della concorrenza, seppure con alterni successi (la Corte di giustizia aveva considerato ricevibile il rinvio pregiudiziale proposto dall’Organismo spagnolo di tutela della concorrenza, con la sentenza del 16 luglio 1992, C-67/91, Dirección Generale de Defensa de la Competencia c. Asociacion espanola de banca privada e a., ma, successivamente si segnala l'esito negativo nel caso dell’Autorità greca di tutela della concorrenza, v. Corte giust. 31 maggio 2005, C-53/03, Synetairismos Farmakopoin Aitolias & Akarnanias (Syfait) e a. c. GlaxomithKline plc.). In tal senso, qualora i requisiti di indipendenza e terzietà - come descritti nell'ordinanza in esame - fossero riscontrati dalla Corte di giustizia non si potrebbe escludere a priori la ricevibilità di un rinvio da parte di un'autorità amministrativa (nel caso Syfait, infatti, la Corte di giustizia aveva giudicato irricevibile il rinvio non in assoluto, ma a motivo della mancata indipendenza dell’organo remittente, in particolare a causa dell’ingerenza del Ministro greco dello sviluppo nel controllo delle decisioni, nonché per i poteri di rimozione e nomina dei funzionari di cui è munito il Presidente che si pone pertanto come superiore gerarchico). Tornando al caso che ci occupa, quindi, quest'ultima soluzione, per quanto singolare, sarebbe stata di certo più conforme al principio di leale collaborazione, di cui all'art. 4, comma 3, TFUE che, ricordiamo, trova classica rappresentazione nello strumento del rinvio pregiudiziale.

Altre considerazioni andrebbero fatte, invece, qualora la Corte costituzionale dichiarasse ricevibile il ricorso decidendo, però, di rimettere essa stessa la questione alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 267 TFUE, a seguito dell'ormai noto revirement circa la sua qualifica di giudice a quo (v. ordinanza n. 207 del 2013 e ordinanza n. 24 del 2017). Uno scenario simile consentirebbe alla Consulta, infatti, di affermare nuovi scenari interni, fornendo al contempo un segnale chiaro della volontà di tenere in debita considerazione gli equilibri tra Stato e Unione.

In definitiva, a prescindere dalle diverse possibili strade che la nostra Autorità Antitrust avrebbe potuto percorre, pare emergere un dato univoco ovvero la competenza della Corte di giustizia - nell'esercizio esclusivo della sua funzione "nomofilattica" - ad interpretare l'art. 106, comma 2, TFUE al fine di poter successivamente giudicare della (il)legittimità della norma nazionale di cui all'art. 93 ter della legge notarile. Diversamente, la soluzione prescelta dall'AGCM nell'ordinanza in esame pare prediligere un mero dialogo interno, sottovalutando inoltre la natura unionista dell'art. 8, comma 2, l. n.287/90, giungendo finanche a porre in discussione la sua legittimità costituzionale.

 

4. Si ricorda, infatti, che a prescindere dai profili di ammissibilità, il merito dell'ordinanza ruota essenzialmente attorno all’interpretazione dell’art. 106, comma 2, TFUE seppure attraverso il suo omologo contenuto all’art. 8 della legge 287/1990 che, insieme all'art. 93ter, costituisce formale oggetto dell'incidente di costituzionalità. Invero, ci permettiamo di segnalare come, già in passato, avevamo astrattamente teorizzato l’applicabilità della deroga di cui all’art. 106, comma 2, all’attività notarile (estendendola addirittura oltre i limiti dei poteri disciplinari dei Consigli distrettuali). In quella occasione, avevamo sottolineato come peculiari obblighi stabiliti dal nostro legislatore a carico dei notai possano condurre tali professionisti all’assolvimento di mansioni d’interesse economico generale, giustificando talvolta la necessità di sottrarli dall’applicazione del diritto antitrust (Tariffe notarili e disciplina della concorrenza: una soluzione dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea?, cit.). In particolare, il nostro ragionamento era volto a legittimare la possibilità della fissazione delle tariffe da parte dei Consigli notarili qualora funzionali a garantire taluni obblighi di servizio pubblico come l’assistenza alla sede, l'esigenza di assicurare il corretto funzionamento dei pubblici registri, la gratuità delle s.r.l.s., etc. (altro profilo pure confermato dal legislatore nazionale conlegge n. 172 del 4 dicembre 2017, con le modifiche intervenute con la legge n. 205, cit. Sul punto v.  NASCIMBENE, Tariffe professionali e norme sulla concorrenza fra giudice  ario e giudice nazionale, in Contr. Impres./Europa, 1997, p. 482; A. BERLINGUER, Sulla vexata quaestio delle tariffe professionali forensi, in Mercato concorrenza regole, 1, 2011, p. 65; L. MINERVINI, La lunga agonia delle tariffe professionali: tra spinte nazionali di liberalizzazione e giurisprudenza della corte di Giustizia, in Foro amm. CDS, 2012, 9, p. 2197; V. CAPUANO, La (re)introduzione dell'equo compenso tra dignità dei professionisti, vincoli europei e norme di settore, 2017 in Federnotizie.it). In tal senso la citata sentenza della Corte di Cassazione del 2016 è stata un importante viatico per le riforme raggiunte sia in materia di tariffe professionali che - per quel che qui rileva - in tema di poteri disciplinari dei Consigli Notarili, che hanno essenzialmente formalizzato principi già contenuti in nuce nell’art. 106, comma 2, TFUE (così cfr. ordinanza della Corte di appello, cit.).

De iure condito, la delicatezza relativa al merito della questione consente, pertanto, di giustificare la scelta del nostro legislatore di emanare la norma di cui si discute. Se, infatti, in teoria non è necessario “codificare” in leggi nazionali principi già esistenti nell’ordinamento dell’Unione, tale scelta appare condivisibile per altri versi. Come evidenziato in dottrina, «l’intervento del legislatore nazionale per adattare la legislazione interna a quanto prescritto da «una disposizione del Trattato, persino direttamente applicabile nell’ordinamento giuridico degli Stati membri», è stato da sempre richiesto dalla Corte di giustizia proprio allo scopo di eliminare ogni ambiguità e incertezza negli amministrati circa il diritto applicabile. Ma tale necessità non esclude affatto l’obbligo di «tutte le autorità dello Stato» di applicare le norme europee direttamente applicabili, indipendentemente dal fatto che siano state adottate (Corte giust. 15 ottobre 1986, 168/85, Commissione c. Italia, punto 11)» (così P. MORI, Taricco II o del primato della Carta dei diritti fondamentali e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in questa Rivista).

In tal senso, pertanto, ancor prima dell'introduzione dell'art. 93-ter della legge notarile, incombeva sull'AGCM quale autorità statale il rispetto dell'art. 106, comma 2, TFUE. A fortiori, l'intervento del legislatore nazionale sembra voler oggi fugare i possibili dubbi interpretativi sul margine di manovra che connota lo stesso art. 106, comma 2, TFUE, che - si rammenta - è una disposizione che ha per oggetto proprio la possibilità per gli Stati membri di sottrarre talune attività d'impresa alle norme del Trattato e, in particolar modo, a quelle della concorrenza in caso di imprese che svolgono servizi di interesse economico generale (c.d. SIEG).

Ci sembra, quindi, che la natura di per sé "flessibile" dell'art. 106, comma 2, TFUE, unita ai recenti rigurgiti nazionalisti volti a ribadire i “controlimiti” della sovranità nazionale (v. Corte costituzionale ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017 e sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017, per un commento v. C. SCHEPISI, La Corte costituzionale e il dopo Taricco. Un altro colpo al primato e all’efficacia diretta?, in questa Rivista) spieghino più che mai la odierna necessità di questi “maquillage” legislativi, volti a tradurre in precise norme nazionali disposizioni di matrice europea. In definitiva, tale soluzione non fa altro che rispondere ad una corretta interpretazione dell'art. 106, comma 2, TFUE secondo cui in presenza di SIEG (individuati dagli stessi Stati membri) è possibile apporre un argine al campo di applicazione delle norme antitrust, che non per questo perdono del loro valore e della loro funzione economico-sociale. E' manifesto, dunque, che con il nuovo art. 93-ter della legge notarile il legislatore più che sottrarre poteri di controllo all'Autorità antitrust a vantaggio dell'attività notarile, abbia voluto restringere le ipotesi di deroga che un'applicazione a maglie troppo larghe dell'art. 106, comma 2, TFUE avrebbe, piuttosto, potuto concedere ai professionisti in questione.

A riprova di quanto appena detto vale ricordare che, a pochi giorni dall’ordinanza in commento, è intervenuta una sentenza del TAR Lazio (Sez. I) (del 1 giugno 2018, n. 06105) con la quale è stato respinto il ricorso proposto dal Consiglio notarile dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia (CNR) e dall'Associazione notariato romano per le dismissioni immobiliari (ASNODIM) contro un provvedimento dell'AGCM, confermando la possibilità di un'applicazione delle norme antitrust alle attività dei Consigli notarili, ove necessaria al corretto ripristino della concorrenza e in mancanza di qualsiasi finalità di interesse generale. Nel dettaglio, si trattava del provvedimento n. 26625 adottato dall'Autorità il 30 maggio 2017 con cui era stata accertata un'intesa tra il CNR e ASNODIM avente per oggetto e per effetto l'eliminazione della concorrenza fra i notai del distretto, nonché la fissazione dei prezzi dei servizi notarili nel settore delle dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e previdenziali. In particolare, secondo il provvedimento, tale collusione era avvenuta, tra l'altro, tramite una delibera del CNR (la n. 2287/2006) che stabiliva una ripartizione degli incarichi tra i notai iscritti all'Associazione. A seguito del predetto accertamento, la decisione dell'Autorità ordinava alle parti di porre termine all'infrazione, di astenersi per il futuro da comportamenti analoghi e comminava, inoltre, ammende sia al CNR che ad ASNODIM.

Il giudice amministrativo, inter alia, ha respinto che nella fattispecie si versasse in un'ipotesi di "gestione di servizi di interesse economico generale", ai sensi dell'art.8, comma 2, l. 287/90 (richiamando puntualmente anche l'art. 93 ter legge notarile, sebbene norma sopravvenuta rispetto ai fatti di specie), bene motivando la inapplicabilità della deroga al caso in questione. Infatti, secondo il TAR, «la sottrazione all'ambito di applicazione delle norme a tutela della concorrenza (non) può essere rinvenuta nella finalità perseguita dalla delibera, atteso che la stessa avrebbe potuto essere conseguita nel rispetto delle norme antitrust». Infatti, seppure la delibera in questione era volta a conformarsi al sistema di dismissione del patrimonio pubblico nel rispetto delle norme all'uopo previste (v. art.3, legge n. 410/2001) e, in particolare, all'assegnazione degli incarichi notarili nel «rispetto dei principi generali d'efficacia, pubblicità e trasparenza», nondimeno essa è stata giudicata illegittima poiché conferiva carattere vincolante alla designazione dei notai ivi incaricati. La sentenza, infatti, ha spiegato come il rispetto di una tempistica molto rigorosa (per fare fronte alle specificità delle procedure che caratterizzano le vendite del patrimonio pubblico), non giustificasse la completa impossibilità per gli acquirenti di scegliere un notaio diverso da quello prestabilito dai Consigli. La necessità di garantire un obiettivo generale - nella specie la celerità dei procedimenti di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico - secondo i giudici amministrativi, poteva essere ugualmente garantita ove la scelta di altro professionista fosse avvenuta attraverso una comunicazione "tempestiva" del diverso nominativo. Non a caso la clausola concernente la nomina del notaio con effetti "vincolanti" per l'acquirente è stata successivamente modificata dallo stesso Consiglio notarile (con delibera del 31 marzo 2017), conformandosi alla soluzione suggerita dal medesimo giudice in altra occasione (sentenza del TAR Lazio, n. 2903/2017). In conclusione, il giudice amministrativo ha confermato che l'intesa posta in essere tra in CNR e l'Asnodim fosse finalizzata, in particolare, alla ripartizione degli incarichi e alla fissazione delle tariffe sulla base di precisi criteri stabiliti a monte tra le due associazioni. La sentenza ha, quindi, accertato la sussistenza di una compressione dei margini di competizione nell'attività di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, nonché l'assenza di ogni giustificazione relativa a interessi generali. Essa ha evidenziato, inoltre, il difetto dei requisiti di proporzionalità e necessità delle modalità operative come determinate nella delibera contestata.

 

5. Una lettura combinata dell'ordinanza in epigrafe con la sentenza del Tar appena segnalata pare offrire un'interessante chiave di lettura dell'intera vicenda, almeno sotto il profilo sostanziale. I dubbi sollevati dall'AGCM nell'ordinanza in commento, infatti, sembrano volti principalmente a scongiurare il rischio che a seguito dell'introduzione dell'art. 93-terdella legge n. 89/1913 le sia sottratto il potere di controllo delle attività poste in essere dai Consigli notarili. In particolare, dall'ordinanza trapela il timore che attraverso lo "scudo" degli atti finalizzati all'attività disciplinare i Consigli notarili possano di fatto agire impuniti promuovendo, favorendo o ponendo in essere condotte lesive della concorrenza, al di fuori di ogni verifica antitrust. Ebbene, la sentenza del Tar sopra citata - pur non utilizzando formalmente la norma in esame - prova che tali preoccupazioni sono evidentemente infondate, restando le attività dei Consigli notarili soggette allo scrutinio dell'AGCM nei casi in cui tali attività siano effettivamente rivolte ad una alterazione delle regole della concorrenza. In altri termini, l'art. 93-ter, conformemente all'art. 106, comma 2, TFUE, non provoca un automatico esonero del controllo antitrust a favore della categoria notarile, ma piuttosto conferma la regola per la quale i notai sono imprese e, in quanto tali, soggetti all'applicazione della disciplina della concorrenza (sul punto ci permettiamo di rinviare alle considerazioni da noi svolte inAttività notarile e libera circolazione dei servizi giuridici.  Brevi note a margine della sentenza Piringer, in questa Rivista). La possibilità di esentare loro dall'applicazione di queste norme non è quindi assoluta, né tanto meno automatica, piuttosto circoscritta - in virtù del contestato art. 93-ter - alla  specifica ipotesi dell'attività disciplinare. L'organizzazione della professione, nonché l'esercizio dei poteri di vigilanza e di iniziativa disciplinare dei consigli notarili esigono, infatti, apposite regolamentazioni. Quest'ultime benché necessarie al corretto adempimento della funzione notarile, restano, tuttavia, ancorate al rispetto delle norme di rango primario dettate dal legislatore nazionale e, in via secondaria, dei principi deontologici stabiliti dal Consiglio Nazionale del Notariato. Orbene, è alla luce della conformità di tali provvedimenti alle norme e ai principi testé indicati che è sempre possibile valutare la legittimità degli stessi e, quindi, se essi siano davvero indirizzati all'assolvimento di compiti disciplinari e di vigilanza, anziché al perseguimento di altri obiettivi, come emerge, ad esempio, nella recente pronuncia del Tar Lazio. In quel caso, infatti, l'attività di individuazione dei singoli notai, nonché la fissazione dei prezzi, così come stabiliti dal CNR in accordo ad Asnodim, sono stati giudicati non sorretti da alcuna logica di carattere pubblicistico, potendo le esigenze di celerità e trasparenza delle assegnazioni del patrimonio pubblico essere perseguite altrimenti. La sentenza evidenzia, inoltre, la contrarietà della risoluzione del CNR rispetto all'art. 27, della l.89/1913 per cui «il notaro è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto» nonché alle norme - vigenti al momento dei fatti - che inibivano la fissazione delle tariffe (v. legge n. 27/2012 di conversione del decreto legge n. 1/2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, in particolare l'art. 9 che aboliva le tariffe per tutti gli ordini professionali, ora reintrodotte dall'art. 19 quaterdecies della legge n.172 del 4 dicembre 2017, in GURI del 5 dicembre 2017). Ne consegue che una disposizione quale l'art. 93-ter, che sottrae i Consigli notarili dal controllo antitrust in caso di attività necessarie all'assolvimento di compiti disciplinari è senz'altro in linea con la deroga di cui all'art. 106, comma 2, individuando uno spazio di esenzione - i poteri disciplinari - che per sua natura è di stretta applicazione essendo a sua volta soggetto al rispetto di  norme di rango primario.

 

6. In conclusione - e in disparte dall'esito che avrà il caso che ha originato il presente commento - preme evidenziare che il nostro legislatore, negli ultimi tempi, sta manifestando una certa attenzione nei confronti della professione notarile. Pertanto, l'emanazione di una disposizione come l'art. 93-ter, soprattutto quando successiva ad autorevole giurisprudenza nazionale, non può rappresentare una mera svista: il collegamento con l'art. 8, comma 2, della l. 287/90 è esplicito, ed è altrettanto noto che il suddetto articolo è la trasposizione nell'ordinamento italiano dell'art. 106, comma 2, del TFUE. L'intenzione, dunque, di emanare una norma derogatoria in conformità a quanto previsto dall'art. 106, comma 2, TFUE è indiscutibile, e la delimitazione della fattispecie ai soli "poteri disciplinari" testimonia la volontà di tenere conto di un'interpretazione restrittiva dell'eccezione in parola (sulla possibilità di un'interpretazione più "flessibile" v. GALLO,L'art.106 § 2 TFUE quale deroga antitrust atipica, in L.F. PACE (a cura di) Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Napoli, 2013, p.118 ss.) . La questione più che tecnica appare, dunque, "di merito" per cui, forse, la soluzione andrebbe ricercata non tanto nel giudizio sul rispetto del sistema delle fonti - che nel caso di specie pare evidente - quanto nel giusto apprezzamento delle scelte che il nostro legislatore può compiere legittimamente in materia. Sul punto si rammenta che il Trattato rimette agli Stati il compito, nonché la competenza, di verificare i settori in cui le imprese svolgono servizi di interesse economico generale (c.d. SIEG), seppure nel rispetto dei vincoli stabiliti dall'Unione all'art. 14 TFUE. Va da sé che qualora nel caso dei servizi notarili il legislatore italiano decida di evidenziare la loro connotazione pubblicistica (seppure limitatamente ai poteri disciplinari dei Consigli), tale scelta pare perfettamente conforme a quanto stabilito dal Trattato. Non a caso la norma in questione è stata introdotta nella legge n. 89/1913 che, ricordiamo, è la legge che disciplina l'intero impianto normativo della professione notarile la quale, sebbene riformata negli anni, continua a rimanere salda ai suoi principi fondamentali atti a qualificare il nostro notariato quale pubblico ufficio. In definitiva, l'art. 93-ter, non esime la categoria dei notai dal rispetto delle norme della concorrenza ma, quantomeno, la rassicura sull'autonomia decisionale dei suoi organi di controllo ove necessaria al perseguimento di obiettivi generali stabiliti dallo stesso legislatore. E' chiaro che ove tali poteri vengano esercitati per altri fini, l'Autorità antitrust potrà sempre intervenire ed affermare la sua funzione di garante della concorrenza e del mercato.