Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

31/10/2017 - Il Parere 3/15 sulla competenza a concludere il Trattato di Marrakech e l'efficacia preclusiva esterna delle direttive di armonizzazione parziale

argomento: Osservatorio - Unione Europea

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di AMEDEO ARENA

1. Con il Parere 3/15, del 14 febbraio 2017, la Grande sezione della Corte di giustizia ha statuito che la conclusione del trattato di Marra ­kech, volto a facilitare l'accesso alle opere pubblicate per le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa, rientra nella competenza esclusiva dell'Unione euro­pea, in quanto le previsioni di tale accordo possono incidere o modi­ficare la portata delle norme comuni adottate dall’Unione sul piano interno, segnatamente quelle contenute nella direttiva 2001/29, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione.

Il Trattato di Marrakech, concluso il 27 giugno del 2013 sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale ed entrato in vigore il 20 settembre 2016 a seguito del deposito del ventesimo strumento di ratifica, mira ad agevolare l'accesso alla cultura da parte delle persone con disabilità visive imponendo alle parti contraenti de­terminati obblighi volti ad armonizzare le eccezioni e le limitazioni al diritto d'autore ed ai diritti connessi, nonché a favorire la circolazione di copie in formato accessibile (v. L. BERSANI, Bilanciamento tra diritti d'autore ed altri diritti culturali per uno sviluppo umano e so­ciale: a proposito del Trattato di Marrakech (WIPO 2013), in La Comunità internazionale, 2016, fasc. 2, pp. 255-268; O. MARZOCCHI, The Marrakesh Treaty, studio per il Parlamento eu­ropeo PE 571.387, 2016).

Posto che dette eccezioni e limitazioni comportano specifici oneri in capo agli editori ed hanno un’incidenza significativa sull'industria degli audiolibri, la conclusione del Trattato di Marrakech è diventata motivo di scontro in alcuni Stati membri (per un esame delle possibi­li ricadute nell’ordinamento italiano v. C. BREZZI e D. DE PASQUALE,

Lo scenario successivo al parere della CGUE sulla competenza dell'UE a concludere il Trattato di Marrakech e le possibili conse­guenze sulla normativa italiana in tema di diritto d'autore, in Marchi e Brevetti, 6 aprile 2017).

In particolare, sebbene tale trattato fosse stato firmato dall'Unione Europea il 30 aprile 2014 senza particolari contrasti, sette Stati mem­bri avevano espresso perplessità in ordine alla competenza dell’Unione a concludere tale accordo autonomamente, bloccandone il processo di ratifica. A questo punto, la Commissione, nel convin­cimento – condiviso dai servizi giuridici delle altre istituzioni dell’Unione – che il Trattato di Marrakech potesse essere concluso come accordo “EU-only”, ha richiesto un parere alla Corte di giusti­zia, ai sensi dell'articolo 218, paragrafo 11, TFUE, in ordine alla na­tura della competenza dell’Unione a concludere detto trattato (così I. TARAND, The Marrakesh Treaty for the Blind – A call for action, in EP Today, 12 ottobre 2015).

Nel Parere 3/15 i giudici dell’Unione, contrariamente a quanto soste­nuto dalla Commissione, hanno statuito che la conclusione del Trat­tato di Marrakech non fosse riconducibile alla politica commerciale comune di cui all’art. 3, par. 1, lett. e) TFUE (punti 60-101, sui quali non ci si soffermerà per ragioni di spazio). Peraltro, secondo la Corte di giustizia, la conclusione di tale accordo rientra comunque nella competenza esclusiva dell’Unione in quanto lo stesso è idoneo ad “incidere su norme comuni o modificarne la portata” ai sensi dell’art. 3, par. 2, ultima parte, TFUE, la c.d. regola AETS (punti 102-130). 

2. La regola AETS trae origine dalla celebre sentenza del 31 marzo 1971, Commissione c. Consiglio (Accordo Europeo Trasporti su Strada), in cui la Corte di giustizia ha per la prima volta affermato il principio che “tutte le volte che, per la realizzazione di una politica comune prevista dal trattato, la Comunità ha adottato delle disposi­zioni contenenti, sotto qualsiasi forma, norme comuni, gli Stati membri non hanno più il potere, né individualmente, né collettiva­mente, di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidono su dette norme o ne alterino la portata” (punto 1 della massima, punti 16-22 della motivazione).

Al fine di determinare se un determinato accordo internazionale è idoneo ad incidere su norme comuni o ad alterarne la portata, con conseguente preclusione (preemption) delle competenze esterne degli Stati membri (così R. BARATTA, Commento all’art. 3 TFUE, in Trat­tati dell’Unione Europea, a cura di A. TIZZANO, Giuffrè, Milano, 2014, pp. 381-382), la Corte di giustizia è solita operare, innanzitut­to, un raffronto tra l’ambito di applicazione materiale di tale accordo e quello delle norme adottate dalle istituzioni dell’Unione sul piano

interno (A. ARENA, Exercise of EU Competences and Pre-emption of Member States' Powers in the Internal and the External Sphere: To­wards 'Grand Unification'?, in Yearbook of European Law, vol. 35, p. 73 ss.).

Un esito negativo di tale test è di per sé idoneo ad escludere l’esclusività della competenza dell’Unione in relazione alla conclu­sione dell’accordo in questione. Ad esempio, nel Parere 2/00, avente ad oggetto il Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi bio­tecnologici, la Corte di giustizia si è limitata ad affermare che “l'ar­monizzazione realizzata sul piano comunitario, nel settore di applica­zione del protocollo, [era] solo parziale”, il che precludeva il radica­mento in capo alle istituzioni comunitarie di una competenza esclusi­va ad assumere gli obblighi derivanti da tale protocollo (punto 46).

Per contro, se la Corte di giustizia ravvisa una congruenza tra la ma­teria dell’accordo internazionale e quella delle norme comuni, ovvero accerta che l’accordo rientra in un ambito “già coperto in gran parte da norme comuni”, procederà, di norma, ad un’analisi più approfon­dita in base al paradigma della “preclusione di campo” o della “pre­clusione da conflitto” (cfr. A. ARENA, Exercise of EU Competences, cit., pp. 78-79, ove si osserva che l’esclusività delle competenze esterne richiede almeno un elemento aggiuntivo rispetto all’intersezione degli ambiti applicativi). 

Peraltro, secondo la tesi della “mera sovrapposizione”, l’esistenza di profili di intersezione tra l’ambito applicativo di un accordo interna­zionale e quello delle norme comuni costituirebbe condizione suffi­ciente per attribuire all’Unione una competenza esclusiva per la con­clusione di detto accordo (in tal senso, v. conclusioni dell’AG Tizza­no nella causa Open Skies, punti 68-69; cfr. conclusioni dell’AG Bot

nella causa Green Network, punti 43-45; contra, v. conclusioni dell’AG Sharpston nella causa Broadcasting, punto 107; v. inoltre le considerazioni di E. CANNIZZARO, Metodo analitico e metodo globa­le nella più recente giurisprudenza sulla competenza implicita dell’Unione sul piano esterno, in Verso i 60 anni dai Trattati di Ro­ma: Stato e prospettive dell’Unione Europea, a cura di A. TIZZANO, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 294-295).  

In base al paradigma della “preclusione da conflitto” (conflict pree­mption), la competenza dell’Unione a concludere un dato accordo deve ritenersi esclusiva se le norme di tale accordo contrastano con la lettera (preclusione diretta) ovvero con le finalità (preclusione indi­retta) delle norme comuni adottate dall’Unione sul piano interno. In altre parole, non vi è prova migliore dell’incidenza dell’accordo sulle norme comuni in base alla regola AETS dell’accertamento di un’antinomia tra tali plessi normativi (A. ARENA, Exercise of EU Competences, p. 72). Nel Parere 1/03, ad esempio, i giudici di Bou­levard Adenauer hanno statuito che il criterio del domicilio del con­venuto, impiegato dalla Convenzione di Lugano come titolo di giuri­sdizione, poteva “venire in conflitto” con alcune disposizioni del Re­golamento 44/2001 (preclusione diretta), che individuavano una giu­risdizione diversa nei casi in cui il convenuto fosse domiciliato in uno Stato terzo, ma avesse una succursale, un’agenzia o un’altra sede d’attività, anche priva di personalità giuridica, in uno Stato dell’Unione (punto 150). Nella sentenza Green Network, invece, la Corte di giustizia ha ritenuto che la conclusione, tra l’Italia e la Sviz­zera, di un accordo in base al quale l’energia importata da quest’ultimo Paese sarebbe stata certificata come prodotta da fonti rinnovabili era “tale da interferire” con l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2001/77 (preclusione indiretta), che era quello di indurre ciascuno Stato membro ad incrementare la produzione nazionale di energia verde (punto 59). 

Sebbene la preclusione da conflitto, nelle due varianti della preclu­sione diretta ed indiretta, sia l’approccio standard utilizzato dalla Corte di giustizia per la ricognizione delle antinomie tra norme dell’Unione e degli Stati membri sul piano interno, nella sfera esterna l’impiego di tale paradigma valutativo è ancora poco frequente e si accompagna, di norma, a quello della preclusione di campo. Di con­seguenza, mentre l’individuazione di un contrasto tra un accordo in­ternazionale e le norme comuni è di per sé sufficiente a radicare in capo all’Unione una competenza esclusiva esterna nella materia in questione, l’assenza di profili di frizione o anche la sostanziale coe­renza tra il contenuto dell’accordo e quello delle norme comuni non comporta ipso facto il carattere condiviso della competenza in que­stione, rendendosi a tal fine in ogni caso necessaria una disamina mediante il paradigma della preclusione di campo (v., ad esempio, il Parere 1/13, punto 86: “l'incidenza sulle norme dell'Unione determi­nata dagli impegni internazionali può verificarsi anche in assenza di contraddizione tra loro”).

In base al paradigma della preclusione di campo (field preemption), l’Unione dispone di una competenza esclusiva a concludere un de­terminato accordo internazionale, ai sensi dell’art. dell'art. 3, par. 2, ultima parte, TFUE: i) se tale accordo può modificare la portata delle norme comuni o ii) se le norme comuni hanno natura esaustiva; per contro, la competenza esterna dovrà ritenersi concorrente iii) se le norme comuni realizzano soltanto un’armonizzazione minima o iv) soltanto un’armonizzazione parziale delle legislazioni nazionali nella materia interessata dall’accordo. Pertanto, mentre i primi due ele­menti costituiscono i “fondamenti” dell’esclusività implicita delle competenze esterne dell’Unione, gli ultimi due rappresentano delle “deroghe” rispetto alla regola AETS.

Quanto al criterio dell’idoneità dell’accordo internazionale a modifi­care la portata delle norme comuni, viene in linea di conto nuova­mente il Parere 1/03, in cui la Corte di giustizia ha rilevato che la Convenzione di Lugano avrebbe inciso sul meccanismo di ricono­scimento automatico delle decisioni giudiziarie previsto dal regola­mento 44/2001 nella misura in cui “estende[va] l'ambito di applica­zione del riconoscimento senza procedimento delle decisioni giuri­sdizionali, aumentando così il numero di casi in cui [sarebbero state automaticamente] riconosciute decisioni rese da giudici di Stati non membri della Comunità” (punto 170). Da ultimo, tale criterio è stato utilizzato nel Parere 2/15, ove la Corte di giustizia ha ritenuto che gli impegni contenuti nell’accordo UE-Singapore avrebbero modificato, in alcuni casi “considerevolmente”, la portata delle norme comuni per i servizi di trasporto tra le parti (punti 192, 202, 210, 217. Cfr. il commento di C. CELLERINO, Il Parere 2/15 della Corte di giustizia sull'accordo di libero scambio UE-Singapore: luci e ombre, in Euro ­jus, 25 luglio 2017).

Il criterio della natura esaustiva delle norme comuni si è rivelato di­rimente nel Parere 2/91, in cui la Corte di giustizia ha affermato che, nell’area interessata dalla terza parte della convenzione n. 170 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, in materia di sicurezza sul lavoro nell'impiego delle sostanze chimiche, il legislatore comu­nitario aveva adottato direttive che recavano norme “dettagliatissi­me” sull’etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi, al fine di realizzare “un’armonizzazione sempre più completa” delle norma­tive nazionali, sicché la conclusione di siffatta convenzione avrebbe avuto inevitabilmente un’incidenza su dette norme comuni (punti 23­25). Del pari, nel Parere 1/03 la Corte di giustizia ha affermato che, nella misura in cui il regolamento 44/2001 aveva istituito un “sistema globale e coerente delle norme sulla competenza”, qualsiasi accordo internazionale volto a disciplinare i conflitti di competenza sarebbe stato tale da incidere su detto regolamento (punto 151). 

Il citato Parere 2/91 illustra altresì l’importanza dell’armonizzazione minima quale “deroga” alla regola AETS. In tale occasione, difatti, la Corte di giustizia ha accertato che le restanti parti della convenzione OIL n. 170 sulle sostanze chimiche si limitavano a imporre livelli minimi di tutela per i lavoratori in materie in cui le norme comuni adottate dal legislatore comunitario, a loro volta, prevedevano esclu­sivamente prescrizioni minime. Posto che tanto le norme convenzio­nali quanto quelle comunitarie lasciavano agli Stati membri la facoltà di prevedere una protezione più intensa, non si realizzava alcuna in­cidenza delle une sulle altre, con la conseguenza che, in tal caso, la competenza esterna doveva ritenersi concorrente (punti 18-21). Ana­logamente, nella sentenza Mox Plant, la Corte di giustizia ha affer­mato che la competenza esterna in materia dell’ambiente è, in linea di principio, ripartita proprio perché, a norma dell’attuale art. 193 TFUE, i provvedimenti di protezione adottati dall’Unione non pre­cludono agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore prov­vedimenti che assicurino una protezione ancora maggiore (punto 92; cfr. A. TIZZANO, Note in tema di relazioni esterne dell'Unione euro­pea, in Le relazioni esterne dell'unione europea nel nuovo millennio, a cura di L. DANIELE, Milano, 2001, p. 41 ss.).

La circostanza che, nella materia interessata dall’accordo, il legislato­re dell’Unione abbia realizzato soltanto un’armonizzazione parziale delle discipline nazionali costituisce un’altra rilevante “deroga” alla regola AETS. Nel Parere 1/94, ad esempio, la Corte di giustizia ha ri­tenuto che la competenza a concludere l’accordo TRIPs dovesse rite­nersi condivisa fra la Comunità e gli Stati membri perché il legislato­re comunitario aveva realizzato un’armonizzazione “soltanto parzia­le” nei settori rientranti nell’ambito applicativo di tale accordo: per quanto riguarda i marchi, ad esempio, il regolamento 89/104 si era limitato a ravvicinare le disposizioni nazionali che più direttamente incidevano sul funzionamento del mercato interno (punto 103). Del pari, nelle sentenze Open Skies e Trasporti fluviali, la Corte di giusti­zia ha escluso l’applicazione della regola AETS perché, per i confe­renti aspetti del trasporto aereo e per via navigabile, l’armonizzazione operata dalle norme comuni non aveva, rispettiva­mente un “carattere compiuto” (punto 93) o un “carattere completo” (punto 52).

3. Ritornando alla competenza a concludere il Trattato di Marrakech, l’Avvocato generale Nils Wahl ha dedicato alla regola AETS una par­te consistente delle proprie conclusioni dell’8 settembre 2016, ope­rando dapprima una ricognizione dei principali precedenti giurispru­denziali in materia e poi applicandoli al caso di specie per determina­re la natura della competenza dell’Unione in relazione alla conclu­sione di detto trattato.

Nella prima parte di tale disamina, degna di nota è l’affermazione se­condo la quale “un'armonizzazione completa del settore oggetto di un accordo internazionale non è un requisito necessario per far insorgere una competenza esclusiva dell'Unione al riguardo” in quanto “è suf­ficiente che il settore sia già in gran parte disciplinato dalle norme dell'Unione interessate” (punto 129). 

Volgendo lo sguardo all’applicazione della regola AETS al caso di specie, occorre premettere che l’AG Wahl ha reputato del tutto inin­fluente la questione, ampiamente dibattuta dalle parti, se l’art. 5 della direttiva 2001/29 avesse realizzato un’armonizzazione completa ov­vero minima delle eccezioni e delle limitazioni alle norme in materia di diritti d'autore e diritti connessi a vantaggio delle persone con di­sabilità, per concentrarsi unicamente su una diversa problematica, os­sia “se il settore oggetto dell'accordo internazionale [fosse o meno] già ampiamente regolato dalle norme dell'Unione” (punto 140). 

Al riguardo, l’AG Wahl ha attribuito particolare rilievo alla circo­stanza che l’attuazione del Trattato di Marrakech avrebbe comportato la necessità di modificare l’art. 5 della direttiva 2001/29. Difatti, mentre tale direttiva lasciava agli Stati membri la scelta se prevedere eccezioni o limitazioni al diritto d’autore ed ai diritti connessi a favo­re delle persone disabili, per adempiere al Trattato sarebbe stato ne­cessario trasformare tale facoltà in un obbligo. Pertanto, secondo il giurista svedese, il carattere facoltativo delle eccezioni e limitazioni previste dalla direttiva 2001/29 “non riflette[va]” e “non [era] eviden­temente in linea con lo spirito e la lettera del Trattato di Marrakech” (punti 144 e 149).

A riprova dell’incidenza del Trattato di Marrakech sulle norme co­muni in materia di diritto d’autore e di diritti connessi, l’AG Wahl ha poi ricordato che il Consiglio aveva già chiesto alla Commissione di presentare una proposta per modificare la legislazione dell’Unione al fine di dare attuazione a detto trattato, con la conseguenza che “qual­siasi azione degli Stati membri, individuale o collettiva, diretta all'as­sunzione di obblighi con Paesi terzi nel settore oggetto del Trattato di Marrakech [avrebbe inciso] di fatto sulle norme dell'Unione adottate per dare attuazione al trattato stesso.” (punto 152).

Alla luce di tali considerazioni, l’AG Wahl ha ritenuto soddisfatte le condizioni dettate dall'ultima parte dell'articolo 3, paragrafo 2, TFUE ed ha proposto alla Corte di giustizia di dichiarare che l’Unione di­spone di una competenza esclusiva a concludere il Trattato di Marra­kech.

Le conclusioni dell’AG Wahl oscillano tra astrattezza e concretezza nell’applicazione della regola AETS: da un lato, aderendo alla tesi della “mera sovrapposizione”, le conclusioni potevano limitarsi ad un’analisi volta ad accertare se la materia oggetto del Trattato di Marrakech fosse stata “già ampiamente regolata” dalle norme dell'U­nione; dall’altro, a dispetto di tale premessa, l’Avvocato generale ha scartato l’analisi “all’ingrosso” suggerita dalle parti in ordine al tipo di armonizzazione realizzato dalla direttiva 2001/29, per addentrarsi in una valutazione “al dettaglio” circa la compatibilità tra la direttiva ed il Trattato di Marrakech (per tali categorie v. T. VERELLEN, Opi­nion 3/15 on the Marrakesh Treaty: the ECJ reaffirms ‘minimum harmonisation’ exception to ERTA principle, in Revista General de Derecho Europeo, vol. 42, 2017, p. 165).

La scelta dell’Avvocato generale di impiegare il paradigma della pre­clusione da conflitto nell’ambito delle relazioni esterne è degna di nota, in quanto potenzialmente idonea a conferire maggiore concre­tezza all’applicazione della regola AETS, arginando le indebite spinte centripete derivanti dall’applicazione –prevalente nella giurispruden­za della Corte di giustizia – del paradigma della preclusione di campo (sempre attuali al riguardo le considerazioni di R. SCHÜTZE, Parallel external powers in the European Community: from ‘Cubist’ perspec­tives towards ‘naturalist’ constitutional principles?, in Yearbook of Eurpean Law, 2004, p. 272).

Nondimeno, l’applicazione da parte dell’AG Wahl del paradigma della preclusione da conflitto al caso di specie non è esente da profili di astrattezza. Ad esempio, le conclusioni non spiegano per quale motivo l'articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2001/29 de­ve ritenersi in conflitto “con lo spirito e la lettera del Trattato di Mar­rakech”, limitandosi a contrapporre il carattere facoltativo delle ecce­zioni e delle limitazioni al diritto d’autore ed ai diritti connessi previ­ste dalla disposizione dell’Unione alla natura obbligatoria delle corri­spondenti disposizioni del Trattato di Marrakech. Eppure, come evi­denziato dal governo del Regno Unito, ben potevano gli Stati membri dare attuazione al Trattato di Marrakech senza violare la direttiva 2001/29, esercitando la facoltà ivi prevista di introdurre eccezioni e limitazioni al diritto d’autore ed ai diritti connessi a vantaggio delle persone con disabilità visive (punto 149 delle conclusioni).  

Inoltre, l’Avvocato generale ha giustificato la preclusione dei poteri esterni degli Stati membri anche sulla base di norme dell’Unione che, alla data di redazione delle conclusioni, non erano ancora venute ad esistenza, ma erano state contemplate dal Consiglio in una richiesta alla Commissione di presentare una proposta di modifica della diret­tiva 2001/29. È vero che, secondo un consolidato orientamento della Corte di giustizia, “occorre tener conto non solo dello stato del diritto dell’Unione al momento della conclusione dell’accordo, ma anche della sua futura evoluzione, in quanto sia prevedibile al momento dell’analisi” (Parere 1/13, punto 74), Ma è altresì vero che tali valu­tazioni prospettiche hanno un carattere fortemente speculativo, spe­cialmente quando, come nel caso di specie, intervengono in una fase anteriore all’avvio del processo legislativo propriamente detto (sul punto A. SANTINI, The doctrine of implied external powers and pri­vate international law concerning family and succession matters, in Diritto del Commercio Internazionale, 2007, p. 809; L. S. ROSSI,

Conclusione di accordi internazionali e coerenza del sistema: l’esclusività della competenza comunitaria, in Rivista di Diritto In­ternazionale, 2007, p. 1008).

4. Il Parere 3/15 della Corte di giustizia, a differenza delle conclusio­ni dell’AG Wahl, si sofferma diffusamente sul tipo di armonizzazio­ne realizzata dalla direttiva 2001/29 nella materia interessata dal Trattato di Marrakech.

Al riguardo, i giudici della Grande sezione hanno statuito che la di­rettiva 2001/29, come evidente dal suo titolo e dal suo preambolo, ha realizzato “solo un’armonizzazione parziale del diritto d'autore e dei diritti connessi”, sopprimendo unicamente le disparità tra le normati­ve nazionali idonee a pregiudicare il funzionamento del mercato in­terno (punto 115): in particolare, detta direttiva non avrebbe “armo­nizzato completamente … le eccezioni o le limitazioni a favore delle persone con disabilità” (punto 116).

Peraltro, nell’economia del Parere 3/15, tale considerazione non si è rivelata decisiva ai fini della qualificazione della competenza dell’Unione a concludere il Trattato di Marrakech, in quanto, come rilevato dai giudici europei, la vigenza di norme di armonizzazione completa nella materia interessata da un accordo internazionale costi­tuisce “solo di una delle situazioni in cui è soddisfatta la condizione contenuta nell'ultima parte della frase dell'articolo 3, paragrafo 2, TFUE” (punto 118).

I giudici dell’Unione, a questo punto, hanno operato un distin­guishing del caso di specie da quello oggetto del Parere 2/91 in mate­ria di sicurezza sul lavoro nell'impiego delle sostanze chimiche, in cui, come ricordato, la Corte di giustizia aveva negato la sussistenza di una competenza esclusiva esterna in quanto sia le norme comuni che quelle della convenzione OIL n. 170 avevano natura di prescri­zioni minime, lasciando intatta la competenza degli Stati membri di prevedere forme di tutela più intensa (punto 120).

Al riguardo, la Corte di giustizia ha evidenziato che la direttiva 2001/29 consente agli Stati membri di prevedere un livello di tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi non già più elevato, bensì in­feriore rispetto a quello previsto “a regime” dal legislatore dell’Unione, introducendo eccezioni o limitazioni a tali diritti a van­taggio delle persone con disabilità (punto 121). Inoltre, la Grande se­zione ha rilevato che tale potere discrezionale degli Stati membri può estrinsecarsi esclusivamente nel rispetto di limiti e degli obblighi fis­sati dalla direttiva che non trovano corrispondenza nel Trattato di Marrakech (punti 123-125).

Infine, i giudici dell’Unione hanno osservato che i suddetti “limiti e obblighi”, previsti dalla direttiva 2001/29 per gli Stati membri che si avvalgono della facoltà di prevedere eccezioni o limitazioni al diritto d’autore ed ai diritti connessi a favore delle persone con disabilità, diverrebbero applicabili “a tutti gli Stati membri”, posto che tutti gli Stati membri sarebbero obbligati ad avvalersi di tale facoltà per adempiere al Trattato di Marrakech (punti 127-128).

Nel complesso, l’analisi operata dai giudici della Corte di giustizia si pone a metà strada della dicotomia concreto-astratto che caratterizza le conclusioni dell’AG Wahl. La Grande sezione infatti ha scelto la preclusione di campo quale unico paradigma analitico-argomentativo per la risoluzione del caso di specie, in una prospettiva di continuità rispetto alle precedenti pronunce relative all’interpretazione dell’art. 3, par. 2, TFUE.

Sebbene la preclusione di campo costituisca una tipologia di analisi “all’ingrosso”, la sua applicazione al caso di specie da parte dei giu­dici dell’Unione ha comportato una disamina delle singole disposi­zioni della direttiva 2001/29 più minuziosa di quella operata dall’Avvocato generale sulla base del paradigma “al dettaglio” della preclusione da conflitto (cfr. D. ACQUAH, CJEU invokes ERTA prin­ciple to assert EU competence to ratify Marrakesh Treaty, in Journal of Intellectual Property Law & Practice, vol. 12, 2017, p. 550). La Grande sezione, difatti, si è soffermata diffusamente sui vincoli che la direttiva impone agli Stati membri nella previsione di eccezioni o di limitazioni alla protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi, nonché sull’impatto che il Trattato di Marrakech avrebbe potuto ave­re sulla portata delle norme comuni (così G. KÜBEK, The Marrakesh Treaty judgment: the ECJ clarifies EU external powers over copy­right law, in EU Law Analysis, 17 febbraio 2017.

Al contrario, non del tutto persuasiva appare l’applicazione, al caso di specie, del criterio della modifica della portata delle norme comu­ni. L’attuazione del Trattato di Marrakech, difatti, non comporta, come nel caso del Parere 1/03 relativo alla convenzione di Lugano, l’estensione a Stati terzi di previsioni contenute nella direttiva 2001/29, bensì la loro applicazione “a tutti gli Stati membri” che in­trodurranno limitazioni ed eccezioni al diritto d’autore ed ai diritti connessi in favore delle persone con disabilità, come richiesto dal predetto trattato. In assenza di un’adeguata motivazione circa l’idoneità dell’accordo internazionale a modificare della portata delle norme comuni, il criterio in parola rischia di tramutarsi in una ripro­posizione, sotto altra verste, del criterio della “mera sovrapposizio­ne”, foriero di una consistente espansione delle competenze esclusive dell’Unione nella sfera esterna.

5. Uno dei profili d’interesse del Parere 3/15 è certamente l’applicazione della deroga alla regola AETS relativa all’armonizzazione minima. Nel corso del procedimento innanzi alla Corte di giustizia, difatti, alcuni Stati membri avevano sostenuto che, nella materia interessata dal Trattato di Marrakech, la direttiva 2001/29 avesse operato soltanto un’armonizzazione minima del dirit­to d’autore e dei diritti connessi e che pertanto, in linea con il Parere 2/91 relativo alla Convenzione ILO in materia di sicurezza sul lavoro nell'impiego delle sostanze chimiche, la competenza a concludere l’accordo in questione dovesse ritenersi condivisa con gli Stati mem­bri.

La ratio dell’armonizzazione minima è quella di permettere agli Stati membri di introdurre livelli più intensi di tutela rispetto agli standard dell’Unione, e ciò tanto mediante misure nazionali unilaterali, quanto attraverso accordi internazionali che assumano, a loro volta, la forma di prescrizioni minime. Impedire agli Stati membri di assumere im­pegni internazionali in tal senso contraddirebbe la logica dell’intervento dell’Unione, anche perché tra le parti di tali strumenti di cooperazione potrebbe instaurarsi una concorrenza virtuosa nella definizione di standard di tutela sempre più elevati (sia consentito il rinvio ad A. ARENA, Exercise of EU Competences, cit., p. 86). 

La direttiva 2001/29 differisce da tale impostazione sotto tre profili. In primo luogo, invece di permettere agli Stati membri di prevedere una protezione più intensa del diritto d’autore e dei diritti connessi, tale direttiva consente l’introduzione di standard inferiori di tutela, sotto forma di eccezioni o limitazioni di tali diritti. In secondo luogo, la facoltà d’intervento riconosciuta agli Stati membri non promuove il perseguimento dell’obiettivo principale della direttiva, vale a dire l’instaurazione di un elevato livello di protezione della proprietà in­tellettuale, ma la diversa finalità di facilitare l’accesso delle persone con disabilità visive alle opere pubblicate. In terzo luogo, l’esercizio di detta facoltà da parte degli Stati membri non rappresenta una for­ma usuale di attuazione della direttiva 2001/29, bensì un’ipotesi ec­cezionale “rigorosamente inquadrata” dal legislatore dell’Unione (punto 126).

In realtà, l’esigenza di definire con maggiore precisione i confini dell’eccezione relativa all’armonizzazione minima si era manifestata già due anni fa nell’ambito della causa Broadcasting, in cui alcuni governi avevano affermato che la direttiva 2006/115 conteneva nor­me minime, in quanto si limitava a disciplinare il diritto di ritrasmis­sione via etere e non precludeva, pertanto, la conclusione da parte degli Stati membri di una convenzione internazionale volta ad esten­dere tale diritto alla ritrasmissione su filo e via internet (punto 90). Peraltro, la Corte di giustizia aveva rifiutato tale prospettazione, os­servando che la direttiva 2006/115 aveva attribuito “una portata so­stanziale precisa al diritto di ritrasmissione” e che eventuali negoziati volti ad estendere tale diritto alla ritrasmissione su filo o via internet potevano “modificare la portata delle norme comuni” in materia di diritto di ritrasmissione, integrando i requisiti per l’applicazione della regola AETS (punti 91-92).

Alla luce di tali considerazioni, pienamente condivisibile appare la decisione della Corte di giustizia di non estendere la portata della de­roga relativa all’armonizzazione minima al di là dei confini tracciati dal parere 2/91 e di non ritenere tale deroga applicabile al ravvicina­mento delle legislazioni nazionali operato dalla direttiva 2001/29 (in tal senso, v. altresì T. VERELLEN, Opinion 3/15 on the Marrakesh Treaty, cit. p. 177-178). 

6. L’aspetto più innovativo del Parere 3/15 riguarda l’applicazione della deroga relativa all’armonizzazione parziale. Nella giurispruden­za antecedente, come ricordato, i giudici dell’Unione avevano sem­pre escluso l’applicazione della regola AETS nei casi in cui l’accordo internazionale in questione interveniva in una materia in cui il legi­slatore dell’Unione aveva adottato esclusivamente misure ascrivibili al genus dell’armonizzazione parziale. Eppure, nel caso di specie, la Corte di giustizia ha ritenuto esclusiva la competenza dell’Unione a concludere il Trattato di Marrakech sebbene il legislatore dell'Unione avesse effettuato “solo un'armonizzazione parziale del diritto d'autore e dei diritti connessi” (punto 115).

Tale statuizione potrebbe indurre a ritenere che, agli occhi della Cor­te di giustizia, l’armonizzazione parziale non costituisce più una de­roga alla regola AETS. Ad una più attenta analisi, peraltro, sembra che il Parere 3/15 abbia semplicemente circoscritto alla linea di esclusività fondata sul carattere esaustivo delle norme comuni l’operatività della deroga in parola. In altre parole, se nella materia interessata dall’accordo internazionale il legislatore dell’Unione ha realizzato soltanto un’armonizzazione parziale, la competenza a con­cluderlo non può ritenersi esclusiva sul fondamento del carattere esaustivo delle norme comuni (come avverrebbe in presenza di un’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali), ma è pur sempre possibile dedurre l’esclusività della competenza esterna dall’idoneità dell’accordo a modificare la portata delle norme comu­ni.

Ciò è proprio quanto si è verificato nel Parere 3/15, in cui la Corte di giustizia ha ritenuto che il Trattato di Marrakech avrebbe trasformato la tutela dei soggetti con disabilità da eccezione a regola nell'ambito del diritto dell'Unione: l’attuazione di tali obblighi pattizi avrebbe in­fatti comportato l’estensione a tutti gli Stati membri delle condizioni e dei limiti che la direttiva 2001/29 prevedeva per i soli Paesi che si erano avvalsi della facoltà di introdurre eccezioni o limitazioni al di­ritto d’autore ed ai diritti connessi in favore delle persone con disabi­lità (punto 128).

A ben vedere, la Corte di giustizia aveva seguito un simile percorso argomentativo nella sentenza Broadcasting, in cui aveva rilevato che i negoziati del Consiglio d’Europa relativi al diritto di ritrasmissione su filo o via Internet potevano “modificare la portata delle norme comuni” in materia, anche perché il diritto di ritrasmissione su filo era “già parzialmente contemplato da norme comuni dell’Unione”, tra le quali proprio la direttiva 2001/29, che conferisce agli organismi di radiodiffusione televisiva terrestre il diritto esclusivo di autorizza­re o vietare la ritrasmissione di opere protette da parte di un altro or­ganismo via internet (punto 92). 

7. In conclusione, il Parere 3/15 rappresenta un interessante sviluppo della giurisprudenza relativa all’applicazione della regola AETS sotto molteplici profili.

Quanto alle deroghe a tale regola, con il parere in commento la Corte di giustizia ha arginato il tentativo degli Stati membri di estendere la portata della deroga relativa all’armonizzazione minima, escludendo­ne l’applicazione alla disciplina dettata dalla direttiva 2001/29. Inol­tre, i giudici dell’Unione hanno ridotto la sfera di operatività della deroga relativa all’armonizzazione parziale, che appare d’ora in avanti unicamente idonea ad escludere che le norme comuni abbiano un carattere esaustivo.

Per contro, il Parere 3/15 evidenzia un’espansione del criterio della “modifica della portata” delle norme comuni quale fondamento dell’esclusività delle competenze esterne dell’Unione. Sebbene nei primi trent’anni di applicazione della giurisprudenza AETS tale crite­rio abbia rivestito un ruolo ancillare rispetto all’idoneità dell’accordo ad “incidere” sulle norme comuni, a partire dal Parere 1/03 il rischio di alterazione dell’ambito delle norme comuni si è gradualmente af­francato per divenire un’autonoma fonte di esclusività delle compe­tenze esterne dell’Unione, dotata di una notevole vis expansiva (v. amplius A. ARENA, Exercise of EU Competences, cit., 82-83).

Tali evoluzioni si collocano nell’ambito di una più generalizzata ten­denza all’accentramento in capo all’Unione delle competenze esterne che, come evidenziato in dottrina, potrebbe rivelarsi controproducen­te per il processo d’integrazione europea laddove le istituzioni dell’Unione non dispongano della necessaria capacità decisionale per esercitare al meglio le competenze esclusive così acquisite (in tal senso J. WEILER, The Community System: The Dual Character of Supranationalism, in Yearbook of European Law, vol. 1, 1981, p. 278; A. TIZZANO, Lo sviluppo delle competenze materiali delle co­munità europee, in Rivista di Diritto Europeo, 1981, p. 206).

Peraltro, nel caso del Trattato di Marrakech, tali timori possono rite­nersi superati, avendo il legislatore dell’Unione medio tempore rea­lizzato, con l’adozione della direttiva 2017/1564, una piena armoniz­zazione delle eccezioni e delle limitazioni al diritto d'autore ed ai di­ritti connessi a vantaggio delle persone con disabilità visive, cui fan­no da complemento le norme uniformi sullo scambio transfrontaliero tra l'Unione e i Paesi terzi di copie in formato accessibile introdotte dal regolamento 2017/1563.

È quindi auspicabile che il Consiglio approvi al più presto la propo ­sta di decisione relativa alla conclusione del Trattato di Marrakech per conto dell’Unione, completando così il processo di ratifica di un trattato che, a giusto titolo, è ritenuto dalla World Blind Union la più importante conquista per le persone con disabilità visive dall’invenzione del sistema Braille.