Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il costituzionalismo europeo nell'età dell'incertezza (di Antonio Tizzano, Professore emerito di Diritto dell’Unione europea, Università “La Sapienza” di Roma, ex Vicepresidente della Corte di giustizia dell'Unione europea, Lussemburgo)


L’A. esamina l’influenza del processo d’integrazione europea in Italia e le ricorrenti crisi di tale processo. Egli segnala altresì la difficoltà di un preciso inquadramento del­l’UE sotto le categorie note di federazione o confederazione e il rifiuto di un’as­si­milazione a tali categorie da parte del processo d’integrazione, per rivendicare una libertà dai modelli che gli ha consentito di realizzare importanti progressi.

L’A. passa poi ad esaminare gli sviluppi dell’integrazione economica e monetaria sottolineando le incoerenze originarie di tale unione e le ragioni delle difficoltà successive.

European Constitutionalism in the Age of Uncertainty

The author examines the influence of the European integration process in Italy and the recurring crises of this process. He also points out the difficulty of a precise framing of the European Union under the known categories of federation or confederation and the rejection of assimilation to these categories by the integration process, in order to claim a freedom from the models that has enabled it to make important progress.

The author then goes on to examine the developments of economic and monetary integration, emphasising the original inconsistencies of this union and the reasons for the subsequent difficulties.

SOMMARIO:

I. Premessa - II. Reazione dell’Italia al processo d’integrazione europea - III. Le difficoltà - IV. La questione della definizione dell’UE - V. L’Unione economica e monetaria. La crisi originaria e gli sviluppi più recenti


I. Premessa

Ringrazio anzitutto gli organizzatori di questo incontro dedicato al­l’opera di Sergio Stammati, e in particolare Alberto Lucarelli, che si è impegnato con tanta passione ed affetto a onorare il Suo Maestro. E, se mi permettete, desidero anch’io rivolgere un memore pensiero all’insigne studioso che ha dedicato un’importante parte della sua attività al processo d’integra­zione europea con studi e ricerche molto approfonditi e originali. In particolare, Egli si è dedicato a vari temi dell’integrazione economica e monetaria, ma anche ai profili più generali di quel processo, interrogandosi in vari scritti sui problemi della sovranità e del federalismo. Su questi temi, egli ha scritto pagine molto acute, che mi hanno riportato ai dibattiti, spesso accesi, che si sono svolti al riguardo fin dalla fondazione della prima Comunità europea, la Comunità europea del Carbone e dell’Ac­ciaio (la CECA) istituita nel 1952, cioè circa 70 anni fa. Può sembrare strano che io debba risalire ad un tempo così lontano, ma questo dà la misura dell’importanza che questi temi hanno per gli studiosi del diritto UE e della loro irrisolta, direi quasi eterna problematicità. Ho trascorso quasi tutta la mia vita di studioso su di essi, e ciò malgrado non credo che li si possa risolvere facilmente per le ragioni che illustrerò tra breve.


II. Reazione dell’Italia al processo d’integrazione europea

Ora però, sempre in coerenza con gli indirizzi emergenti dagli scritti di Stammati, voglio svolgere qualche considerazione sull’influenza del processo d’integrazione europea nel nostro Paese. Da circa 70 anni, come sappiamo, l’Italia è condizionata da un potere esterno che è divenuto col tempo crescente e sempre più condizionante: è il potere espresso per l’appunto dal processo d’integrazione europea, al quale abbiamo liberamente e democraticamente aderito, ma con il quale abbiamo avuto e abbiamo sempre un rapporto dialettico e altalenante. Questa innovazione ha determinato varie conseguenze sul sistema politico e giuridico italiano, ma in genere su tutto il modo di essere della nostra società civile e sui rapporti economici. Da circa 70 anni, ormai, pensiamo e agiamo nella consapevolezza di essere all’interno di una costruzione più ampia dei nostri tradizionali confini nazionali, una costruzione che apprezziamo o critichiamo secondo i casi, ma che comunque costituisce il nostro nuovo e imprescindibile orizzonte. In effetti, la scelta europeista rappresenta da decenni un’opzione largamente condivisa in Italia. Essa non è mai stata messa seriamente in discussione ed è anzi penetrata nella coscienza nazionale alla stregua di un’acqui­sizione irreversibile. Anche nei non rari momenti di difficoltà del processo d’integrazione e, come accade specie in questi ultimi tempi, di raffreddamento dell’opinione pubblica e perfino di sorprendenti ripensamenti tra europeisti di antica tradizione, quella scelta è restata costitutiva del modo di essere della nostra presenza sulla scena internazionale. Tutto ciò si è riflesso su tutte le nostre istituzioni e ha prodotto e produce conseguenze importanti sotto vari profili, a cominciare dal fatto, di cui sono testimonianza proprio le opere di Stammati, che oggi si può finalmente discutere dell’integrazione europea in termini obiettivi e scientifici, depurati di quella retorica, per non dire di quell’euro-fondamentalismo che, a mio avviso, ha nuociuto all’Europa quasi più del pur fastidioso euroscetticismo di alcuni ambienti.


III. Le difficoltà

Va detto, peraltro, che pur marcando tutto l’arco di questo settantennio, la partecipazione italiana alla costruzione europea non si è sviluppata secondo un percorso piano e lineare. Tutt’altro. Com’è accaduto in varia misura per molti altri Stati membri, e certamente per quasi tutti i Paesi fondatori, anche per l’Italia lo sforzo di adeguamento al processo d’integrazione europea si è rivelato assai faticoso. Ciò anzitutto perché tale processo si è profondamente trasformato nel corso del tempo grazie ad uno sviluppo incessante e certo inizialmente non prevedibile, almeno nella sua straordinaria portata. Le semplici, se così posso dire, Comunità europee degli esordi sono via via diventate un’Unione estremamente complessa nei suoi apparati istituzionali e burocratici, nei suoi processi decisionali e nelle sue competenze, e al tempo stesso sempre più profonda ed estesa è stata la sua incidenza sugli e negli Stati membri. Ciò ha reso quasi affannoso e comunque più difficile adeguare a tali sviluppi, in modo coerente e tempestivo, i principi, l’impianto, le strutture, e in definitiva lo stesso modo di essere degli ordinamenti nazionali. Nel nostro Paese, poi, questa impresa ha dovuto scontare, forse più che in altri, le carenze storiche, le rigidità, i ritardi e i problemi strutturali del sistema, come pure la lenta ed esitante maturazione delle forze politiche, economiche e sociali, degli apparati pubblici, della società civile e, direi, della coscienza stessa della collettività nazionale. Per lungo tempo quindi la partecipazione italiana al processo d’integra­zione europea è stata non solo estremamente tormentata, ma segnata anche da contraddizioni così clamorose da sembrare in certi momenti addirittura schizofrenica.


IV. La questione della definizione dell’UE

Rispetto a questo processo, Stammati si interroga più volte sul senso e sul significato della nozione di “Unione europea”, e cioè – riprendendo alcune tesi avanzate da altri – se essa sia una federazione o una confederazione, o, potrei aggiungere, riprendendo definizioni di alcuni autori soprattutto del passato, se essa sia un quasi federazione o quasi confederazione o, ancora, un Ente sopranazionale, uno Stato senza territorio, e così via con uno sforzo di fantasia definitoria davvero sorprendente. In effetti, per quanto possa apparire paradossale per una nozione di cui si parla tantissimo e da tantissimo tempo, non si può certo dire che sia chiaro – o che lo sia per tutti allo stesso modo e nello stesso senso – cosa sia o cosa dovrebbe essere l’UE. In realtà, al pari delle «Comunità europee» che l’hanno preceduta, l’Unione è stata ed è segnata in modo straordinario da caratteristiche così originali e peculiari da non consentire di assimilarla né alle tante organizzazioni internazionali nate dalla metà del secolo scorso, né ad alcun altro modello di unioni di Stati storicamente realizzato (federale, quasi-federale, confederale, ecc.). Neppure i numerosi testi che hanno costellato il percorso del processo d’integrazione nel continente sono riusciti a dare una risposta definitiva al riguardo, anche quando hanno formalmente «istituito un’Unione europea». In nessuno di essi, infatti, la nozione di UE è stata chiaramente definita; al contrario si è indicato, anche in modo fermo e solenne, l’obiettivo della sua realizzazione, senza mai precisare però in che cosa essa dovesse realmente consistere. L’idea di «Unione europea» appare per la prima volta in un testo di Trattato nell’Atto unico europeo (AUE) del 1986. È però il Trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea) del 1992 che «istituisce» tra le Parti Contraenti, cioè tra gli Stati membri, «un’Unione europea» fondata sulle Comunità europee e sulle altre forme di cooperazione. Neppure la formalizzazione dell’espressione nei Trattati ha però risolto il problema, sicché si può dire che ancor oggi la nozione di UE si presenta in termini tali da giustificare la felice definizione che ne [continua ..]


V. L’Unione economica e monetaria. La crisi originaria e gli sviluppi più recenti