Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
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Gli atti di soft law della Commissione europea, tra effettività della tutela giurisdizionale e obbligo di leale collaborazione (di Viviana Sachetti, Dottoressa di ricerca in Diritto dell'Unione europea, Università di Roma TRE)


Sebbene l’esistenza di atti di soft law non costituisca un nuovo fenomeno per l’ordina­mento dell’Unione europea, la proliferazione di tali atti prodotti dalla Commissione, come emerso anche nel contesto delle recenti crisi, solleva ancora il problema dell’ef­fettività della tutela giurisdizionale all’interno dell’UE. Dopo aver dunque analizzato la nozione di soft law, ed in particolare gli effetti giuridici da essa prodotti, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, il contributo si sofferma sui rimedi giurisdizionali applicabili avverso tali atti. Saranno altresì considerate le implicazioni che recenti pronunce concernenti il Meccanismo di cooperazione e verifica possono avere in termini di avvio di procedure di infrazione contro gli Stati che stiano violando in via mediata un atto di soft law, trovando tuttavia nel principio di leale collaborazione il punto di equilibrio del sistema.

The Soft Law Acts of the European Commission, Between the Effectiveness of Judicial Protection and the Obligation of Loyal Cooperation

Although the existence of soft law acts is not a new phenomenon for the European Union legal system, the proliferation of such acts produced by the Commission, as also evident in the context of the recent crises, still raises the question of the effectiveness of judicial protection within the EU. Thus, after analysing the notion of soft law, and in particular the legal effects it produces, also in light of the case-law of the Court of Justice, the contribution will focus on the judicial remedies applicable against such acts. It will also consider the repercussions that recent pronouncements concerning the Cooperation and Verification Mechanism may have in terms of initiating infringement proceedings against States that are violating a soft law act in a mediate way, yet finding in the principle of loyal cooperation a balance point of the system.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. La difficile individuazione dell’ambito materiale di riferimento - III. La funzione c.d. para-normativa degli atti di soft law della Commissione europea ed i loro effetti giuridici - IV. I rimedi giurisdizionali utilizzabili - V. L’eccezione di invalidità e il rinvio pregiudiziale di validità - VI. Il ricorso per invalidità degli atti dell’Unione - VII. La leale collaborazione come potenziale perno di procedure d’infra­zione per violazione degli atti di soft law: il caso Asociaţia - VIII. Considerazioni conclusive: i principi generali del­l’ordinamento come punto di (ri)equilibrio del sistema - NOTE


I. Introduzione

L’esistenza di atti di soft law [1] non costituisce un’acquisizione recente all’interno di alcun ordinamento giuridico, ivi incluso quello dell’Unione europea (UE). Né tantomeno il dibattito dottrinale sul punto può dirsi sorto negli ultimi anni, accompagnato com’è, già da tempo, da rilevante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che si è sviluppata mostrando una crescente comprensione del fenomeno, ma anche, al contempo, una certa rigidità nell’accettazione dello stesso. Il presente contributo intende considerare l’effettività dei rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento dell’UE relativamente agli atti di soft law, con particolare riferimento a quelli adottati dalla Commissione nel­l’esercizio della propria discrezionalità. Il campo di analisi è stato ristretto a questi atti per due ordini di ragioni. Il primo motivo, quantitativo. Gli atti di soft law costituiscono un corpo sempre più notevole della produzione di istituzioni, organi e organismi del­l’Unione, ancor più a seguito delle recenti crisi – sanitaria, economica, energetica – che si sono susseguite nell’UE dopo la pandemia da Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia [2]. Di questi, un numero cospicuo proviene dalla Commissione europea, attraverso l’adozione di atti tipici, ossia raccomandazioni e pareri, e atipici, la cui terminologia è varia, come si vedrà infra. Il secondo motivo, qualitativo. È necessario, infatti, considerare il ruolo preminente che la Commissione ricopre nell’architettura costituzionale europea e la conseguente particolare rilevanza ed autorevolezza degli atti che dalla stessa promanano, a prescindere dalla loro vincolatività. Si tenterà dunque, innanzitutto, di circoscrivere l’ambito materiale di riferimento, analizzando quali atti dell’ordinamento dell’Unione rientrino tra quelli di soft law e se sia emersa una definizione in grado di individuarli chiaramente (par. II). Di seguito, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi in materia, sarà considerata, in particolare, la funzione c.d. para-normativa degli atti di soft law della Commissione (par. III), per poi verificare quali dei rimedi giurisdizionali dell’Unione [continua ..]


II. La difficile individuazione dell’ambito materiale di riferimento

Come noto, nell’individuare gli atti giuridici di c.d. secondo livello, l’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) si limita a definire raccomandazioni e pareri in senso negativo come non vincolanti, non specificando quale distinzione vi sia tra di essi. Tali atti sono, dunque, gli unici espressamente tipizzati all’interno dei Trattati. Tradizionalmente, la raccomandazione viene definita come una esortazione da parte dell’istituzione o dell’organo affinché il destinatario mantenga una determinata condotta. Per quel che concerne il parere, si tratta invece di una manifestazione di un consiglio o di un giudizio [3], o comunque la formulazione di una valutazione su un certo argomento, generalmente nell’ambito di una determinata procedura [4]. Se l’individuazione di questi atti, in quanto tipici, risulta agevole quantomeno dal punto di vista nominale, la questione diventa più complessa con riferimento alla molteplicità di atti atipici di soft law che vengono adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione e che prevalgono ormai, sotto il profilo quantitativo, su quelli tipici [5]. Certamente vi rientrano una serie di atti quali le comunicazioni, gli orientamenti, gli avvisi. Ma la eterogeneità di questi strumenti rende ardua una loro classificazione. Né, tuttavia, essa appare funzionale a prevedere quale possa essere la portata del loro ulteriore sviluppo in futuro [6]: accettare l’atipicità di tali atti implica la possibilità di una progressiva creazione di nuove forme che questi potranno assumere, senza generare quell’irrigidimento cui le esigenze classificatorie inevitabilmente porterebbero. Piuttosto, e prescindendo dunque dal mero dato nominale, occorre interrogarsi se possa ritenersi esistente una chiara linea di demarcazione tra gli atti di hard e soft law all’interno dell’ordinamento dell’Unione. Una definizione largamente condivisa in dottrina è stata individuata da Linda Senden, secondo la quale per soft law dovrebbero intendersi quelle «[r]ules of conduct that are laid down in instruments which have not been attributed legally binding force as such, but nevertheless may have certain (indirect) legal effects, and that are aimed at and may produce practical effects» [7]. Pertanto, questa categoria sembra comprendere atti formalmente non [continua ..]


III. La funzione c.d. para-normativa degli atti di soft law della Commissione europea ed i loro effetti giuridici

Sebbene la scelta di adottare atti di soft law in funzione para-normativa da parte della Commissione trovi una pluralità di motivazioni, incluso l’uso del margine di flessibilità di cui gode come strumento di risposta alle crisi [18], tradizionalmente essa è stata tuttavia intesa come una forma di autolimitazione nell’esercizio della propria discrezionalità. Ciò è stato affermato, ad esempio, nella sentenza Expedia [19]. La pronuncia pregiudiziale in questione concerneva, tra l’altro, la c.d. comunicazione de minimis della Commissione [20], che individua le soglie al di sotto delle quali gli accordi tra imprese presumibilmente non incidono sul mercato interno al punto da determinare una restrizione sensibile della concorrenza. La Corte, pur evidenziando come la comunicazione in questione non sia vincolante né per le autorità nazionali di regolazione né per i giudici degli Stati membri [21], afferma al contempo che attraverso tale atto la Commissione «si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale» [22]. Con la conseguenza che, qualora l’istituzione si discosti dalla sua stessa comunicazione, incorrerebbe nella violazione dei principi generali della parità di trattamento e della tutela del legittimo affidamento [23]. Tale sentenza, dunque, illustra la posizione netta assunta dalla Corte circa la tutela degli interessi individuali, in quanto non sembra riconoscere la possibilità che un eventuale mutamento di orientamento della Commissione, ancorché giustificato, possa ritenersi compatibile con i principi generali predetti. Quest’ultima decisione della giurisprudenza appare ancor più definita rispetto ad una precedente pronuncia che costituisce un leading case in materia, ossia la sentenza Dansk Rørindustri [24]. Ancora in ambito di concorrenza, in tal caso la Corte si era infatti espressa parzialmente a favore della Commissione, affermando che i singoli non avrebbero potuto far valere il principio di legittimo affidamento relativamente ad una prassi dell’istituzione stessa, in quanto essa gode di un potere discrezionale (nel caso specifico, in materia di sanzioni), funzionale all’attuazione della relativa politica del­l’Unione [25]. Diversa la situazione, invece, laddove ci si trovi dinanzi ad atti resi pubblici, quali gli orientamenti [continua ..]


IV. I rimedi giurisdizionali utilizzabili

Come costantemente ribadito a partire dalla celebre sentenza Les Verts, l’Unione è una comunità di diritto nella quale vi è un «sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti» attraverso i quali la Corte di giustizia esercita il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni [38]. Occorre dunque verificare se questa ambizione di completezza e di omogeneità dei rimedi giurisdizionali sia effettivamente rispettata con riferimento agli atti di soft law, attraverso l’analisi degli strumenti dell’eccezione di invalidità, del rinvio pregiudiziale di validità e del ricorso per invalidità degli atti dell’Unione, come segue.


V. L’eccezione di invalidità e il rinvio pregiudiziale di validità

Si diceva poc’anzi come la sentenza Dansk Rørindustri abbia confermato la possibilità che taluni atti di soft law siano considerati a portata generale. Ciò rende senza dubbio utilizzabile l’eccezione di invalidità prevista dall’art. 277 TFUE. Come noto, il rimedio in questione è infatti esperibile avverso qualsiasi «atto di portata generale adottato da un’istituzione, organo o organismo dell’Unione», anche al di là dei termini imposti nell’ambito del ricorso per invalidità degli atti e per gli stessi motivi che consentirebbero di impugnare un atto ex art. 263 TFUE. Lo strumento incidentale disposto dal­l’art. 277 TFUE e il ricorso per invalidità costituiscono peraltro, secondo costante giurisprudenza, «due procedimenti giurisdizionali complementari» [39]. Tuttavia, gli effetti dell’accoglimento dell’eccezione di invalidità non possono di certo espandersi oltre le parti della causa in cui la stessa venga sollevata. Con riferimento invece al rinvio pregiudiziale di validità, dottrina e giurisprudenza ne hanno sostenuto l’esperibilità sin dalla sentenza Grimaldi [40]. Ciò in forza della lettura di due disposizioni: da una parte, l’art. 19, par. 3, lett. b), TUE, a mente del quale la Corte si pronuncia in via pregiudiziale «sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni»; dall’altra, l’art. 267 TFUE, che in modo speculare fa riferimento alla validità «degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione». Non vi è dunque alcuna restrizione ai soli atti vincolanti e, pertanto, è ammesso pacificamente l’uso del rinvio pregiudiziale altresì in funzione di rimedio di validità per gli atti di soft law [41]. Anche in questo caso, tuttavia, l’efficacia della pronuncia non porterà, come noto, all’eliminazione dell’atto dall’ordinamento. Al contrario, l’atto rimarrà pienamente vigente: la sentenza precluderà al giudice a quo la possibilità di applicare l’atto alla controversia pendente e si limiterà a costituire «per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido» [42]. Le due soluzioni – l’una incidentale, l’altra [continua ..]


VI. Il ricorso per invalidità degli atti dell’Unione

Si è detto come la stessa Corte di giustizia reputi il ricorso per invalidità degli atti dell’Unione un rimedio complementare a quelli disciplinati dagli artt. 267 e 277 TFUE. Tale procedimento giurisdizionale è considerato di rilevanza tale da ritenersi contraria allo scopo dello stesso una interpretazione restrittiva delle condizioni di ricevibilità del ricorso con riferimento alle sole categorie di atti previste dall’attuale art. 263 TFUE [43]. Rimane però impraticabile una interpretazione contra litteram di tale disposto normativo. L’art. 263, par. 1, TFUE esclude infatti espressamente la possibilità di esercitare il controllo di legittimità su raccomandazioni e pareri [44]. Per altro verso, sembrerebbe potersi ritenere generalmente ammissibile il ricorso proposto avverso atti, anche atipici, purché produttivi di effetti giuridici. Al riguardo, occorre tornare alla sentenza Belgio c. Commissione [45]. Come anticipato, il caso riguardava l’impugnazione della precedente ordinanza del Tribunale, con la quale veniva dichiarato irricevibile il ricorso presentato dallo Stato membro avverso una raccomandazione adottata dalla Commissione in materia di gioco d’azzardo, e ciò proprio fondandosi sul dato testuale dell’art. 263 TFUE [46]. Nel confermare quanto statuito dal Tribunale, la Corte ha definito le raccomandazioni come il prodotto di un «potere di persuasione e stimolo» attribuito alle istituzioni che le possono adottare, in contrapposizione con gli atti dotati di forza cogente [47]. La decisione della Corte è stata raggiunta tenendo conto – dichiaratamente – del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, applicato qui per la prima volta ad una raccomandazione, ma costantemente richiamato nella giurisprudenza sovranazionale a partire dal c.d. caso ERTA. In tale sentenza si affermava, infatti, come l’azione di annullamento debba potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento delle istituzioni che abbia l’obiettivo di produrre effetti giuridici, a prescindere dalla sua forma [48]. In verità, nel caso Belgio c. Commissione, la Corte si è limitata a verificare il tenore testuale dell’atto impugnato, avuto riguardo al nomen iuris e ai termini non imperativi utilizzati, escludendo così che l’atto fosse produttivo di effetti [continua ..]


VII. La leale collaborazione come potenziale perno di procedure d’infra­zione per violazione degli atti di soft law: il caso Asociaţia

Tornando ancora una volta alle parole dell’AG Bobek nel caso Belgio c. Commissione, gli strumenti di soft law costituirebbero delle norme imperfette poiché «si prefiggono chiaramente l’obiettivo normativo di ottenere che i rispettivi destinatari vi si conformino, [ma] non sono accompagnati da nessuno strumento di coercizione diretta» [55]. Occorre domandarsi se quello che costituisce a tutti gli effetti un carattere distintivo degli atti di soft law possa ritenersi rispettato laddove uno Stato venga sottoposto a procedura d’infrazione per la violazione degli stessi, sebbene in via mediata, per il tramite di principi generali. L’ipotesi non appare più così peregrina [56], alla luce di un recente filone giurisprudenziale che ha interessato peculiari atti di soft law. Il riferimento è alla sentenza Asociaţia «Forumul Judecătorilor din Romania» [57], vertente su una serie di domande pregiudiziali concernenti il Meccanismo di cooperazione e verifica (MCV), istituito per lo Stato rumeno con la decisione 2006/928 [58]. Trattasi di un meccanismo creato ad hoc in vista dell’adesione di Romania e Bulgaria all’Unione e tuttora vigente per entrambi gli Stati, sulla base del quale la Commissione fornisce annualmente dei report, formalmente indirizzati a Parlamento europeo e Consiglio, contenenti raccomandazioni per Romania e Bulgaria per migliorare la conformità dei loro ordinamenti, ed in particolare l’organizzazione del sistema giudiziario e gli strumenti di lotta alla corruzione, ad uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, ossia lo Stato di diritto. Tra le questioni pregiudiziali affrontate nella sentenza in questione, una concerneva gli obblighi giuridici derivanti per la Romania dalla decisione istitutiva del MCV e, eventualmente, dai report adottati in applicazione di tale strumento. Nel suo ragionamento, la Corte ricorda innanzitutto come la decisione 2006/928 trovi il proprio fondamento negli artt. 37 e 38 dell’Atto di adesione stipulato tra la Romania e l’UE, che autorizzano la Commissione a adottare misure appropriate in caso di rischio di pregiudizio per il funzionamento del mercato interno o dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per violazione degli impegni presi nell’ambito dei negoziati di adesione da parte della Stato [59]. Di particolare rilevanza è poi [continua ..]


VIII. Considerazioni conclusive: i principi generali del­l’ordinamento come punto di (ri)equilibrio del sistema

Si è cercato di portare in rilievo, nel presente contributo, talune criticità che sembrano emergere dall’uso c.d. para-normativo degli atti di soft law in considerazione della mancanza di effettività di tutela giurisdizionale nel quadro normativo primario in vigore. Ciò peraltro è stato considerato unicamente dalla prospettiva degli Stati membri, che certamente possiedono una forza politica e una solidità intrinseca che consentono loro di assumersi il rischio di subire una procedura di infrazione per l’eventuale violazione (indiretta) di un atto di soft law. Ma, senza esulare dall’oggetto di questo lavoro, è facile intuire come la questione si renda ancora più problematica per le persone fisiche e giuridiche, le quali dovrebbero esporsi al rischio di una sanzione tanto più gravosa per i singoli per instaurare un giudizio nel quale far valere i propri interessi. Come si è tentato di dimostrare, pur in una situazione nella quale è difficile ipotizzare un mutamento significativo della giurisprudenza nella lettura delle disposizioni dei Trattati, ed in particolare dell’art. 263 TFUE, è certamente possibile invece dare minor rilievo a criteri interpretativi letterali in favore di quelli sistematici e teleologici, anche in considerazione dell’esi­stenza di ventiquattro lingue ufficiali all’interno dell’Unione, con le inevitabili divergenze e difficoltà lessicali che questa peculiarità dell’ordinamento sovranazionale comporta [74]. Tale auspicabile approccio della Corte è stato recentemente definito come liberal-costituzionale, teso cioè a tener conto della natura intrinsecamente espansiva delle costituzioni [75], ivi incluso dunque l’apparato sostanzialmente costituzionale esistente a livello dell’Unione europea. Oltre alle modalità di esercizio della giurisdizione, rimane innegabile il proliferare del fenomeno para-normativo di atti che, trincerati dietro lo scudo della non vincolatività e contribuendo all’erosione del procedimento legislativo stabilito nei Trattati [76], assumono le sembianze e producono gli effetti di quegli atti vincolanti dai quali se ne pretende una chiara distinzione. Appare tuttavia possibile ritenere che proprio quei principi generali, su tutti la leale collaborazione, che creano forme surrettizie di obbligatorietà di [continua ..]


NOTE