In occasione del trentesimo anniversario dalla sua introduzione, l’articolo ripercorre il funzionamento del principio di sussidiarietà nell’ordinamento dell’Unione dal Trattato di Maastricht ad oggi. La ricorrenza costituisce un'occasione perfetta per una breve riflessione sulle conseguenze che il suo impiego ha avuto sul processo di integrazione, con particolare riguardo alla qualità della legislazione e all’esercizio delle competenze concorrenti, nonché, più in generale, al riparto delle stesse tra Unione e Stati membri. Nato come freno per limitare l’espansione indefinita del diritto “comunitario”, il principio ha ben presto assunto il ruolo di cerniera del sistema, contribuendo efficacemente ad implementare la collaborazione tra autorità nazionali ed istituzioni europee.
On the occasion of the thirtieth anniversary of its introduction, this article reviews the functioning of the principle of subsidiarity in EU law from the Maastricht Treaty until today. The occasion is a perfect opportunity for a brief reflection on the consequences its use has had on the EU integration process, particularly with regard to the quality of legislation and the exercise of shared competences, as well as, more generally, the distribution of competences between the Union and the Member States. Initially conceived as a brake to limit the indefinite expansion of “Community law”, the principle soon took on the role of a hinge in the system, contributing effectively to implementing cooperation between national authorities and EU institutions.
Keywords: Principle of Subsidiarity – Maastricht Treaty – Division of Competences – Quality of Legislation.
Articoli Correlati: principi di sussidiarietà - sussidiarietà - riparto di competenze
I. Premessa - II. Sussidiarietà e qualità della legislazione - III. Segue: il ruolo dei parlamenti nazionali - IV. La sussidiarietà “attiva” - V. Il rispetto del principio ed il controllo ex post della Corte di giustizia - VI. Il principio di sussidiarietà quale modus operandi - VII. Segue: l’operatività del principio in taluni settori - VIII. Conclusioni: verso un nuovo riparto di competenze? - NOTE
Come ogni anniversario anche quello dei trent’anni dall’introduzione formale del principio di sussidiarietà nel Trattato istitutivo (allora art. 3b) [1], avvenuta – come noto – con la firma del Trattato di Maastricht [2], invita a fare un bilancio, al fine di evidenziare i risultati positivi raggiunti, ma anche le contraddizioni ancora da risolvere. In particolare, sembra opportuna una breve riflessione sulle conseguenze che il suo impiego ha avuto sul processo di integrazione, con particolare riguardo alla qualità della legislazione e all’esercizio delle competenze concorrenti, nonché, più in generale, al riparto delle stesse tra Unione e Stati membri. Guardando in retrospettiva, va ricordato che a Maastricht non fu celebrata la nascita del principio, le cui origini sono ben più remote [3], ma soltanto ufficializzato il suo ruolo che già, in modo latente e sommesso, era collegato all’esercizio delle competenze la cui titolarità era condivisa tra i due livelli (nazionale e dell’Unione) [4]. E che la sua “codificazione” fu sostenuta dall’idea che potesse essere utilizzato come freno per limitare l’espansione indefinita del diritto dell’Unione, altrimenti inevitabile in considerazione del primato di cui quest’ultimo gode [5]. Invero, la presenza di un mero elenco di compiti affidato all’azione dell’allora Comunità e la contestuale assenza di un riparto materiale di competenze nel Trattato – introdotto solo a Lisbona – rendevano complesso il tentativo di individuare «la portata, le condizioni e le modalità di esercizio delle diverse competenze comunitarie» e, allo stesso tempo, di evitare che «le disposizioni di carattere generale [potessero] essere interpretate come automatica e illimitata attribuzione di poteri d’azione alle istituzioni» [6]. Va pure rammentato che la funzione del principio è, sin dalle origini, ancorata a due condizioni di segno eguale e contrapposto: l’azione dell’Unione, per la portata o per gli effetti, deve risultare più adeguata di quella presa a livello statale, regionale e locale; gli obiettivi non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. Tali condizioni devono necessariamente cumularsi, in quanto non è sufficiente che l’azione [continua ..]
Ad una prima e sommaria valutazione risulta che l’inserimento a pieno titolo del principio di sussidiarietà nei Trattati ha determinato, nei trent’anni appena trascorsi, un netto miglioramento del processo legislativo, oggi improntato ad una maggiore chiarezza e trasparenza, ma soprattutto ad un coinvolgimento attivo dei vari attori e delle diverse parti sociali. Al riguardo, è però necessario scindere l’aspetto meramente formale da quello sostanziale. In realtà, se si guarda alla motivazione degli atti, il principio sembra essersi ossidato in una formula retorica e stereotipata; difatti, dall’esame della prassi legislativa si evince che l’idoneità dell’Unione a regolamentare un determinato settore, o meglio a dimostrare che l’intervento del legislatore sovranazionale sia più efficace e possa soddisfare in modo migliore (talvolta anche in tempi più rapidi) le necessità di cui intende occuparsi si sostanzia nella formula: «Poiché gli obiettivi […] non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della loro portata e dei loro effetti, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può adottare misure in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea». Oppure, con talune eccezionali ed insignificanti variazioni, in una frase ancora più stringata: «Poiché gli obiettivi […] possono essere conseguiti meglio a livello dell’Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea». Nondimeno, tale formula rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di una procedura lunga e complessa; la sintesi cioè di un articolato processo che ha inizio nella fase di predisposizione delle proposte. Invero, da molti anni, la Commissione fa precedere le proposte di atti legislativi da numerosi documenti preparatori e di consultazione (cc.dd. libri verdi, bianchi o blu, le valutazioni di impatto), nei quali viene approfonditamente analizzata la problematica relativa alla necessità o all’opportunità di un nuovo atto legislativo alla luce del principio di sussidiarietà e di quello di proporzionalità. Su tali documenti si apre poi il [continua ..]
Il dialogo tra la Commissione e le parti interessate coinvolge principalmente i parlamenti nazionali [12]. Ancor prima che la proposta sia ufficializzata, in un’ottica di leale e proficua cooperazione, sono previste forme (oramai) istituzionalizzate di colloquio inter-istituzionale che possono proseguire fino al momento in cui le assemblee legislative nazionali abbiano ottenuto chiarimenti soddisfacenti in risposta ai rilievi critici sulla possibile violazione del principio di sussidiarietà e di quello di proporzionalità e fintantoché la Commissione non li abbia tenuti in giusto conto. Difatti, ogni anno, essi presentano alla Commissione pareri relativi alle iniziative non legislative o pareri d’iniziativa, manifestando in tal modo i loro interessi anche in una fase più precoce e/o in altre fasi dell’iter legislativo. Nondimeno, è in seno alla Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell’Unione (COSAC) che la cooperazione interparlamentare ha trovato terreno fertile per lo sviluppo di un confronto costruttivo [13]. Più precisamente e come ben noto, i parlamenti nazionali, in virtù del Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, hanno un ruolo preciso nella fase ascendente della formazione degli atti legislativi dell’Unione [14]. Infatti, la Commissione (o il Consiglio per i casi in cui sono altri i soggetti titolari dell’iniziativa legislativa) è tenuta a trasmettere ad essi ogni progetto di atto legislativo o sua modifica, consentendo loro di formulare entro un termine perentorio di otto settimane un parere motivato, nel quale esporre le ragioni per le quali (eventualmente) la proposta è ritenuta non conforme ai principi in esame. Il meccanismo c.d. allarme preventivo produce effetti giuridici solo al raggiungimento di soglie prestabilite. In sostanza, assegnati due voti ai parlamenti di ciascuno degli Stati membri, la prima soglia, il cd. cartellino giallo, viene raggiunta con un quarto dei voti esprimibili per gli atti relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e con un terzo per gli atti relativi alle altre materie; la seconda soglia, il c.d. cartellino arancione, viene invece raggiunta con la metà più uno dei voti. Purtuttavia, ed a prescindere che sia stata o meno raggiunta una soglia, la Commissione è tenuta [continua ..]
Gli sforzi per assicurare una corretta interpretazione e applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità hanno condotto alla definizione di un modello di sussidiarietà c.d. “attiva”, improntato, come detto, ad una maggiore partecipazione di tutti i portatori di interessi, soprattutto delle autorità nazionali, locali e regionali che spesso svolgono un ruolo specifico nell’attuazione della legislazione dell’Unione europea. Il sofisticato sistema di collaborazione che ne è scaturito ha spinto la Commissione, nel 2015, ad adottare il pacchetto Legiferare meglio, che ha introdotto un codice operativo più trasparente e inclusivo [19]. Nello specifico, il pacchetto ha imposto alla Commissione impegni molto stringenti in merito all’elaborazione, alla comunicazione, alla consultazione, alla valutazione e al controllo delle azioni programmatiche, al fine di assicurare che esse siano basate su elementi concreti e siano adeguate alle esigenze dei cittadini e delle imprese. La necessità di orientamenti comuni che guidino l’esame dei progetti di atti legislativi o di altre politiche e programmi, in relazione ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, è stata altresì oggetto di ampia discussione nell’ambito di un’apposita task force per la sussidiarietà e per “fare meno in modo più efficiente”. Nel 2018, essa ha suggerito l’utilizzo di una griglia-tipo, che consente alla Commissione, ai parlamenti nazionali e regionali, al Comitato delle regioni, al Parlamento europeo e al Consiglio di valutare in maniera più coerente i due principi durante l’intero processo decisionale, ed all’Unione di impiegare le proprie risorse con maggiore efficienza. Il nuovo meccanismo si avvale anche di sofisticati strumenti informatici, quali il portale web “Di’ la tua”, che si è dimostrato un utile punto di accesso per permettere ai cittadini e ai portatori di interessi di partecipare alla preparazione delle politiche della Commissione e che, nel corso del 2020, è stato rinnovato per rendere più facile l’interazione. Ed altresì la piattaforma “Fit for Future” che, istituita nel maggio 2020, ha l’obiettivo di mettere a disposizione della Commissione l’expertise di un gruppo di tecnici per semplificare la [continua ..]
L’osservanza delle procedure brevemente esaminate (dunque, del principio di sussidiarietà) può essere oggetto di sindacato della Corte di giustizia, in forza del controllo di legalità degli atti, di cui all’art. 263 TFUE, su ricorso dello Stato membro (e non del relativo parlamento o di una delle sue camere), nonché del Comitato delle regioni avverso atti legislativi per l’adozione dei quali le disposizioni convenzionali prevedano la sua consultazione [24]. Invero, il mancato rispetto del principio di sussidiarietà, spartiacque tra l’esercizio delle potestà nazionale e quella dell’Unione, configura innanzitutto il vizio di incompetenza. Nondimeno, il numero di pronunce che riguardano il principio in parola è molto basso. Ma ciò non sorprende. Anzi, il dato risulta fisiologico se si considera, da un lato, la propensione della Corte a rispettare rigidamente i principi di leale cooperazione e di attribuzione ed a non interferire nell’azione delle altre istituzioni; dall’altro, la sua reticenza ad assumere funzioni tipiche di una “corte costituzionale” e, quindi, a pronunciarsi su conflitti di competenza tra Unione e Stati membri e a dover valutare la capacità dell’una o degli altri a perseguire un determinato obiettivo [25]. D’altronde, le valutazioni che giustificano la scelta del livello di governo idoneo all’esercizio dell’azione, oppure negano l’intervento dell’autorità nazionale o locale, sono molteplici ed eterogenee ed implicano spesso un giudizio che può sconfinare rispetto al tradizionale ragionamento giuridico, ad esempio, richiedendo un esame di carattere economico e/o sociale. A dimostrazione di ciò, vale la pena ricordare che, in trent’anni, la Corte ha affrontato tale problematica con estrema cautela, limitandosi ad esaminare i profili meramente procedurali della sussidiarietà, ossia l’adeguatezza della motivazione ed autocensurandosi da ogni giudizio sulla sostanza dell’esercizio della potestà discrezionale del legislatore europeo [26]. Così, il giudice di Lussemburgo ha preferito far confluire la pronuncia su un atto di diritto derivato per vizio di incompetenza (violazione del principio di sussidiarietà) nel vizio di errore manifesto o di sviamento di potere. Più precisamente, nel 1997, dopo [continua ..]
Una seconda e più delicata valutazione riguarda il differente ruolo che il principio di sussidiarietà è andato assumendo, mutando da elemento per legittimare l’intervento dell’Unione nelle materie concorrenti a modus operandi [35]. In tale prospettiva, non sembra azzardato ritenere che si sia andata configurando una nuova categoria di competenze, in cui i rapporti sono regolati secondo una logica collaborativa di “antica” ispirazione. In particolare, in alcuni settori, il principio di sussidiarietà non è più richiamato (o forse non è mai stato richiamato) come criterio per allocare una funzione ad un livello piuttosto che ad un altro, quanto per validare un meccanismo diretto a garantire un esercizio delle competenze “coordinato” tra le autorità nazionali e le istituzioni europee. A ben vedere, la legittimità dell’Unione ad agire in alcuni campi è stata rinvenuta in re ipsa, dal momento che, quantunque formalmente in contitolarità, per la loro natura transnazionale, per la loro incidenza sul mercato e/o sulla concorrenza, sono stati sempre ricondotti nell’alveo dell’Unione [36]. Così è a dire, soprattutto, per l’agricoltura e la pesca (tranne la conservazione delle risorse biologiche); l’ambiente; i trasporti; l’energia. Tali settori sono, infatti, contraddistinti da obiettivi che giustificano di per sé la sussistenza di una competenza dell’Unione e, di conseguenza, escludono a priori una (anche soltanto sufficiente) azione degli Stati membri. Vale a dire che la valutazione che il principio di sussidiarietà postula con riferimento a tali politiche non riguarda più la questione se l’obiettivo esiga un’azione da parte delle istituzioni dell’Unione, bensì l’insieme di scelte e di comportamenti diretti a programmarla ed a darne attuazione. In tali ambiti, il principio di sussidiarietà ha determinato un intreccio di competenze che vede agire, dapprima, l’Unione per definire uno scopo, non di rado con interventi molto puntuali e dettagliati, e successivamente gli Stati membri per adottare i provvedimenti necessari a raggiungere il fine prefissato. È quasi banale ammettere, ad esempio, che il perseguimento degli obiettivi di politica ambientale sarebbero facilmente vanificati se non fossero condivisi o fossero [continua ..]
Ancor di più è a dirsi con riguardo all’agricoltura ed alla pesca (art. 38 TFUE) ed ai trasporti (art. 90 TFUE): se, in tali settori, l’obiettivo è quello di instaurare una politica comune non ha alcun senso interrogarsi sul soggetto che meglio possa esercitare una determinata competenza, dal momento che soltanto l’Unione, e non certo ciascuno Stato membro, può realizzare questo obiettivo. Anche nei settori concorrenti che hanno come obiettivo il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri [44] (ad esempio, il diritto penale, per quanto attiene, ai sensi dell’art. 83, par. 1, la «definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione trasnazionale») è evidente che la sussidiarietà è privata ab origine di una sua componente essenziale [45], ovvero della valutazione sulla sufficienza di una regolamentazione a livello nazionale, giacché si tratta di un’attribuzione in favore dell’unico soggetto che può adottare misure di ravvicinamento [46]. Nella sostanza, dunque un’attribuzione a titolo principale e non sussidiario, che legittima l’intervento dell’Unione alla luce di ogni sensibile differenza, tra i vari ordinamenti nazionali, che possa incidere sull’attuazione efficace delle politiche europee. Con riguardo poi alla coesione economica, sociale e territoriale, il principio ha semplicemente stabilizzato l’ovvia e necessaria collaborazione tra le autorità interessate a ridurre il divario tra le regioni e promuovere uno sviluppo armonioso nell’insieme dell’Unione. Infatti, la coesione è divenuta la principale politica finanziaria, interamente basata sul funzionamento dei fondi strutturali e sul perseguimento di obiettivi strategici, sufficientemente generici da soddisfare le varie esigenze nazionali [47]. Di talché, spetta agli Stati, alle autorità regionali e locali individuare i propri bisogni, predisporre la programmazione e monitorare gli interventi finanziari che i fondi stanziano sulla base di un quadro finanziario pluriennale e, di recente, del Next Generation EU. Pertanto, sebbene l’introduzione del principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht fosse stata fortemente voluta, soprattutto da taluni Stati [continua ..]
Cercando di riannodare le considerazioni finora svolte, va riconosciuto che l’impatto tendenzialmente eversivo del principio di sussidiarietà non è stato così violento come ci si poteva attendere: in breve tempo esso è stato assorbito o, per così dire, normalizzato in un concreto quadro operativo, proponendo una più stretta ed efficace collaborazione tra autorità nazionali ed istituzioni europee, sia pure con raffinati adattamenti. E, man mano che tali adattamenti si realizzavano risultava sempre più evidente che, salvo alcuni spazi gelosamente custoditi dagli Stati membri, la sussidiarietà rifiuta l’idea di una separazione stagna tra i due livelli e si configura invece come simbolo di una vocazione unitaria dell’Unione europea. D’altronde, il primato del diritto dell’Unione su quello nazionale rende illusoria l’ipotesi di affidare al principio il compito di “arbitro”, e tanto meno di “limite”, all’esercizio di competenze normative delle istituzioni europee. Anzi, l’analisi diacronica condotta dà la misura dell’elasticità che caratterizza il principio e della sua capacità di assumere forme diverse in ragione delle specificità del campo di azione. Nondimeno, essa evidenzia altresì l’anacronismo dell’elenco di materie concorrenti, contenuto nell’art. 4 TFUE. Pertanto, sembra necessario che, quando si inizierà una concreta riflessione su una revisione generale dei Trattati dell’Unione, l’attuale riparto possa essere riorganizzato e possano essere ricomposte alcune gravi e pericolose fratture [49]. Accanto alla divisione tra tutela della salute e politica sanitaria pubblica, i Trattati contemplano quella relativa alla politica monetaria e alla politica economica (artt. 3 e 5 TFUE), quella tra mercato interno e concorrenza (art. 3 e 4 TFUE), quella relativa alla politica sociale (art. 4, par. 2, lett. b) e art. 5, par. 3). Tali materie ricondotte ad “unicità” dovrebbero essere attribuite all’Unione, se non in via esclusiva almeno in una categoria retta dal principio di sussidiarietà nella sua nuova funzione. Con un ulteriore sforzo, poi, si potrebbero inserire in tale categoria tutte quelle competenze che implicano condivisione e la cui disciplina non può essere lasciata ai singoli Stati, ad esempio, la [continua ..]