Il contributo si propone di declinare il tema delle clausole generali nell’ambito del diritto dell’Unione europea. Dopo avere sinteticamente richiamato la nozione di clausola generale accolta nell’ordinamento italiano, pur nella consapevolezza della difficoltà di pervenire ad una definizione unitaria e di delimitare i confini tra tale nozione e i vari concetti ad essa contigui, si esamina il ruolo svolto dalle clausole generali nel sistema dell’Unione europea. Si concentra l’attenzione, in particolare, sulla problematica distinzione con la ben più diffusa categoria dei principi generali del diritto UE, nonché sull’operatività delle clausole generali e sulla varietà della loro collocazione nel sistema delle fonti dell’Unione europea. Infine, si svolgono alcune riflessioni conclusive, tenendo conto, tra l’altro, del ruolo dei giudici, in primis della Corte di giustizia, nonché dell’articolazione dei rapporti tra ordinamento dell’Unione e ordinamenti nazionali, con riferimento all’elaborazione, interpretazione ed applicazione delle clausole generali “comunitarie”.
The article aims at approaching the issue of general clauses from the standpoint of European Union law. After having briefly recalled the notion of general clause as interpreted in the Italian legal order, while recognizing the difficulty of identifying a common definition and demarcating the boundaries between such notion and various related concepts, the paper investigates the role of general clauses in the European Union system. Particular attention is focused on the problematic distinction with the much more widespread notion of general principles, on the concrete functioning of general clauses, as well as on the variety of EU legal sources in which general clauses can be identified. Finally, some concluding remarks are provided, taking into account, inter alia, the role of courts, notably the European Court of Justice, and the relations between the Union and national legal orders, as regards the elaboration, interpretation and application of the EU general clauses.
Keywords
General clauses – Indeterminate Legal Concepts – Standards – General Principles – Autonomous Concepts.
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I. Introduzione - II. Premessa definitoria alla luce del concetto di “clausola generale” nell’ambito dell’ordinamento italiano - III. Il ruolo (solo apparentemente limitato) delle clausole generali nel sistema dell’Unione europea - IV. La (problematica) distinzione tra clausole generali e principi generali del diritto dell’Unione europea - V. L’operatività in concreto delle clausole generali “comunitarie” e la varietà della loro collocazione nel sistema delle fonti - VI. Considerazioni conclusive - NOTE
La declinazione del tema delle clausole generali nell’ambito del diritto dell’Unione europea costituisce – come osservato da Francesco Munari sin dall’esordio del suo scritto [1] – un esercizio non semplice. E ciò tanto in considerazione dei significativi profili di originalità che caratterizzano l’ordinamento dell’Unione, quanto in ragione del fatto che il concetto in questione, di per sé, non fa certamente parte del linguaggio comune, né del patrimonio concettuale essenziale, del “comunitarista”. I riferimenti espliciti alla nozione di “clausola generale”, invero, sono decisamente limitati sia nelle fonti scritte del diritto dell’Unione europea, di diritto primario o derivato, sia nella giurisprudenza della Corte di giustizia, sia, infine, nella dottrina che si occupa dei profili giuridici dell’integrazione europea da una prospettiva non prettamente settoriale e, dunque, in modo solo in parte condizionato dalle categorie tipiche del giurista di diritto interno. A quest’ultimo riguardo, si deve constatare che la dottrina “comunitaristica” si è soffermata complessivamente molto poco sul concetto di clausole generali in senso stretto [2], facendo talvolta ricorso a tale concetto in una più ampia accezione, coincidente nella sostanza con quella di norme generali, ossia destinate a regolare in via generale un’ampia categoria di fattispecie [3]. Diverso è il discorso per quanto concerne i contributi degli studiosi del c.d. diritto privato europeo, o diritto europeo dei contratti, che tuttavia esaminano la questione all’interno dei confini di tale specifico contesto [4]. Il tema affrontato nel presente contributo, tenendo conto delle considerazioni svolte da Francesco Munari, risulta quindi particolarmente stimolante, proprio perché (quantomeno apparentemente) da costruire o ipotizzare secondo un approccio innovativo e, almeno in parte, inedito. Nelle pagine che seguono, dopo avere sinteticamente richiamato la nozione di clausola generale accolta nell’ordinamento italiano, pur nella consapevolezza della difficoltà di pervenire ad una definizione unitaria e di delimitare i confini tra tale nozione e i vari concetti ad essa contigui (par. II), si prenderà in esame il ruolo svolto dalle clausole generali nel sistema dell’Unione europea (par. III), [continua ..]
Come anticipato, prima di concentrarsi sul ruolo svolto dalle clausole generali nel diritto dell’Unione europea, pare opportuna una breve premessa definitoria, finalizzata a chiarire, per quanto possibile, l’accezione del concetto in esame – complesso e per molti versi sfuggente – alla quale si intende fare riferimento nel presente contributo. Anche limitando una siffatta premessa a pochi, fugacissimi cenni, non può nascondersi la difficoltà di individuare con precisione una definizione del concetto di clausole generali, sia nel quadro del diritto dell'Unione europea – posto che il concetto in questione, come si è anticipato e come rilevato da Francesco Munari, è quasi del tutto assente dalla tassonomia delle nozioni giuridiche caratteristiche di tale diritto – sia nel contesto dell’ordinamento italiano, ove la nozione di clausole generali è stata oggetto di un’attenzione sensibilmente maggiore [5]. In considerazione di tale ultimo aspetto, in ogni caso, conviene ripercorrere in estrema sintesi i tratti salienti del dibattito dottrinale svoltosi in Italia, per poi spostare l’attenzione sull’ordinamento dell’Unione europea. Le rilevanti difficoltà connesse alla delimitazione dei confini del concetto di clausole generali sono constatate in modo pressoché unanime nella dottrina italiana che – soprattutto, ma certamente non solo, dalla prospettiva civilistica [6] – ha affrontato il tema in questione [7]. E ciò anche in ragione della molteplicità di nozioni, utilizzate in dottrina e in giurisprudenza [8], che a tale concetto risultano più o meno esattamente sovrapponibili [9], tra le quali, in via meramente esemplificativa, si possono ricordare quelle di norme elastiche [10], concetti giuridici indeterminati [11], standard [12], formule aperte [13], nozioni a contenuto variabile [14], concetti-valvola o valvole di sicurezza [15]. Tra gli elementi ricorrenti nelle definizioni del concetto di clausola generale [16] vi è, in primo luogo, il fatto che si tratti di termini o sintagmi, contenuti in uno o più enunciati normativi, essendo tendenzialmente escluso, invece, che possa trattarsi di interi e compiuti enunciati normativi [17]. È alla luce di tale caratteristica che le clausole generali sono state definite parti di [continua ..]
Spostando ora l’attenzione sull’ordinamento dell’Unione europea, deve subito rilevarsi che – a fronte della segnalata scarsità di riferimenti espliciti alla nozione di clausole generali in senso stretto, tanto nelle fonti scritte e nella giurisprudenza dell’Unione, quanto nella dottrina “comunitaristica” – appare inevitabile domandarsi se nell’ambito di tale ordinamento le clausole generali abbiano una diffusione, ed eventualmente un ruolo, paragonabili a quelli che si riscontrano nel diritto interno. Ed è proprio questo, in effetti, l’interrogativo da cui prende le mosse lo scritto di Francesco Munari [34], il quale, dopo avere rilevato come della nozione in esame «si faccia scarsissimo impiego nel diritto UE», ricostruisce la definizione di clausola generale nel sistema dell’Unione, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia, nei termini seguenti: «disposizione a contenuto elastico, capace di comprendere una pluralità di casi, non tassativamente indicati, con funzione estensiva di un elenco precedentemente dettato». Oltre ad alcuni esempi di carattere settoriale, il Prof. Munari menziona innanzitutto la clausola generale, di origine giurisprudenziale, dell’abuso del diritto, rilevando, peraltro, la difficoltà di distinguere, a tale riguardo, tra clausola generale e principio generale. La considerazione di fondo, ripresa poi in vari passaggi dello scritto, è, comunque, quella secondo cui le clausole generali, nell’ordinamento dell’Unione, sarebbero «obiettivamente più rarefatte» di quanto avviene nel diritto interno, risultando «ridotte a pochissime materie e altrettanto rare disposizioni». Da questa constatazione discende, nell’impostazione fatta propria dall’Autore, l’esigenza di investigare le ragioni di una siffatta “marginalità” delle clausole generali nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Sul punto, Francesco Munari sviluppa diversi ordini di considerazioni, che possono essere sintetizzate come segue. In primo luogo, non sarebbe sufficiente a spiegare l’assetto così delineato la circostanza che le «discipline privatistiche» – nell’ambito delle quali le clausole generali trovano tipicamente espressione – non si configurino nel sistema [continua ..]
Se si accoglie una nozione di clausole generali “comunitarie” quale quella delineata nel paragrafo precedente, si pone il problema di delimitare i confini tra tale nozione ed altri concetti giuridici, tipici dell’ordinamento dell’Unione europea e ad essa, almeno parzialmente, sovrapponibili. Il riferimento è, in particolare, ai principi generali, nozione oggetto di un’attenzione incomparabilmente maggiore da parte degli interpreti e degli operatori del sistema dell’Unione, richiamata dai trattati istitutivi ed utilizzata dalla Corte di giustizia, tra l’altro, per identificare una particolare categoria di fonti, i principi generali del diritto dell’Unione [49], dalla stessa Corte “plasmati” quali fonti non scritte di diritto primario [50]. In vari casi, i principi generali del diritto UE sono “codificati” nelle previsioni dei trattati – si pensi, ad esempio, al principio di leale cooperazione, espressamente richiamato, oggi, all’art. 4, par. 3, TUE – nonché, per quanto concerne in particolare i principi generali relativi alla tutela dei diritti fondamentali [51], nelle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ma la fonte “originaria” di tali principi è, essenzialmente, anche se forse non (più) esclusivamente [52], la giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, anche per tale ragione, è stata giustamente definita la “fabbrica del diritto UE” [53]. E, in tal senso, per il giurista “comunitarista” è quasi scontato – mentre non pare che lo sia, o almeno non del tutto, per il giurista di diritto interno – che anche le clausole generali possano rinvenirsi non soltanto nelle fonti scritte, ma altresì nella giurisprudenza [54]. Si è visto che, con riguardo all’ordinamento italiano, la distinzione tra clausole generali e principi generali risulta particolarmente complessa e controversa [55]: nell’ordinamento dell’Unione, tale distinzione appare altrettanto, se non più, problematica. Invero, da un lato, anche in considerazione del fatto che, come visto, i principi generali del diritto dell’Unione europea sono di fonte tipicamente pretoria [56], risulta non sempre agevole già (solo) individuare, nel più ampio novero dei principi [continua ..]
Si è già rilevato [61] che nell’ordinamento dell’Unione europea le clausole generali, particolarmente numerose e diffuse, paiono svolgere, in linea di principio, una funzione analoga a quella ad esse tradizionalmente riconosciuta sul piano del diritto interno. Nello stesso tempo, la “colorazione comunitaria” che, come visto [62], contrassegna le clausole generali collocate nel sistema dell’Unione induce a domandarsi se l’operatività in concreto di queste ultime sia caratterizzata da tratti peculiari, e almeno in parte diversi, rispetto a ciò che avviene per quanto riguarda le clausole generali “nazionali”. Tale questione, che si collega al più ampio tema dell’interpretazione del diritto dell’Unione [63], risulta assai complessa e, probabilmente, non può essere compiutamente affrontata in modo univoco, ossia senza tenere conto delle specificità dei vari settori, nonché delle diverse fonti, del diritto UE. In questa sede, quindi, ci si limita a svolgere alcune considerazioni, concentrando l’attenzione, in particolare, sul funzionamento delle clausole generali “comunitarie” e sulla varietà delle fonti nelle quali è possibile rinvenirle nell’ordinamento dell'Unione. Un primo aspetto da segnalare attiene all’esigenza di determinare, per quanto possibile, in base a quali metodi interpretativi e concetti giuridici (ovvero extra-giuridici) occorra “concretizzare” le clausole generali dell’ordinamento dell’Unione [64]: quelli tipici del diritto UE, quelli del diritto nazionale dello Stato membro di volta in volta interessato (o dei diritti nazionali di più Stati membri, eventualmente in chiave comparatistica), ammesso che sia sempre possibile distinguerli chiaramente. E tale esigenza si riscontra soprattutto, anche se non soltanto, nei casi in cui la norma dell’Unione contenente una clausola generale deve essere attuata negli ordinamenti nazionali. Invero, mentre può essere abbastanza agevole risalire alla fonte di ispirazione delle clausole generali, individuabile, secondo i casi – al pari di quanto accade per i principi generali –, nell’ordinamento di (uno o) più Stati membri ovvero in principi o regole autenticamente “comunitari” [65], non pare semplice stabilire, quantomeno in via [continua ..]
Come visto, l’ordinamento dell’Unione europea, a dispetto di quanto potrebbe risultare da una prima analisi – senza dubbio condizionata anche dal fatto che le clausole generali in senso stretto sono tema poco battuto dalla dottrina “comunitaristica” che, invece, ha sempre riservato ampia attenzione allo studio dei principi generali (del diritto UE) i quali, come ricordato [87], possono almeno in parte considerarsi sovrapponibili alle prime e, talora, essere da esse difficilmente distinguibili – pare costellato da clausole generali; e il ricorso ad esse, forse anche in misura ulteriore rispetto a quanto accade nell’ordinamento interno, pare spiegabile alla luce delle specificità dell’ordinamento sovranazionale di cui si tratta [88]. Il largo impiego di norme vaghe e indeterminate, incomplete dal punto di vista dei contenuti valutativi e che necessitano di interpretazione e applicazione da parte del giudice (UE e/o nazionale) pare radicato nella, e in una certa misura giustificato dalla, stessa natura derivata dell’organizzazione di nuovo genere, che trae la propria ragion d’essere dagli ordinamenti degli Stati membri in virtù, e nei limiti, del principio di attribuzione delle competenze (da esercitarsi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità), e altresì “vive” per il loro tramite, grazie all’attività dei legislatori in primis e, quindi, delle amministrazioni e dei giudici nazionali che danno attuazione al diritto UE negli ordinamenti nazionali, assicurandone l’effettività e il primato. L’ordinamento dell’Unione, naturalmente, si è forgiato secondo certe caratteristiche per perseguire i propri obiettivi e per soddisfare le proprie specificità e la garanzia della sua autonomia è assicurata dall’opera anche creativa (come visto), oltre che interpretativa, della Corte di giustizia. Tuttavia, il diritto dell’Unione è indissolubilmente “agganciato” a quello degli Stati membri, tenuti a conformarsi al primo al contempo dandogli sostanza, riempiendo di contenuto (tra l’altro) quei concetti giuridici indeterminati che, al pari di almeno alcuni principi generali, sono definiti dalla Corte di giustizia [89] alla luce delle, e in armonia con, le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. E proprio la necessità di [continua ..]