Il contributo analizza i potenziali risvolti anticoncorrenziali delle deroghe alla disciplina antitrust per le operazioni di concentrazione di dimensione nazionale che riguardano le imprese che si trovano in uno stato di crisi finanziaria. L’analisi si fonda sull’esame delle previsioni normative adottate in alcuni Stati che, per motivi di interesse generale, mirano ad agevolare e incentivare il salvataggio di queste imprese attraverso delle operazioni di concentrazione, escludendo o limitando l’ordinario scrutinio antitrust. L’obiettivo è di individuare le formulazioni preferibili in termini di bilanciamento tra i diversi interessi in gioco (quelli generali e quelli antitrust), nonché le eventuali contromisure rinvenibili nel diritto della concorrenza per attenuare i possibili effetti restrittivi conseguenti a tali deroghe.
This article analyses the potential restrictions linked to antitrust exemptions provided for national mergers regarding undertakings in financial distress. It focuses on the rules laid down in certain Member States in order to facilitate and promote rescue mergers, by limiting or excluding ordinary antitrust scrutiny on public interest grounds. The contribution aims at identifying the preferable rules in terms of balance betweeen the interests at stake (public interest concerns versus competition), as well as the viable counter-measures which competition law offers to mitigate the potential restrictions due to those antitrust exemptions.
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I. Introduzione - II. I probabili risvolti anticoncorrenziali: l’alterazione delle dinamiche competitive e l’incentivo a commettere abusi di posizione dominante - III. Le ipotesi derogatorie in Francia, Germania, Inghilterra e Italia: le diverse forme di bilanciamento tra gli interessi generali e quelli antitrust - IV. (Segue) La decretazione d’urgenza nell’ordinamento interno - V. (Segue) L’eccezione prevista nel diritto antitrust: la failing firm defence - VI. Gli eventuali correttivi post-merger: i rimedi comportamentali e strutturali nell’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato e del diritto antitrust - VII. Conclusioni - NOTE
L’emergenza pandemica sta avendo, e molto probabilmente continuerà ad avere, un forte impatto sulla salute delle imprese, potendo farle entrare in situazioni finanziarie di dissesto. Una delle possibili reazioni a tale scenario è la realizzazione di operazioni di concentrazioni che vedono come target le imprese maggiormente colpite e con poche prospettive di ripresa. Tali fenomeni possono essere spontanei e fisiologici. Ma non è da escludere l’ingerenza degli Stati. Questi ultimi, preoccupati dei risvolti sociali e dell’impatto dell’uscita di scena di imprese rilevanti per il sistema Paese, potrebbero essere tentati dall’adottare misure volte a incentivare le cd. concentrazioni di salvataggio [1] tramite deroghe alla disciplina antitrust. Misure che, in realtà, potrebbero essere parte di più ampi disegni di politica industriale, fortemente influenzata dalle istanze protezionistiche tipiche delle fasi di recessione; con la conseguenza che dietro al salvataggio delle imprese in crisi potrebbe altresì celarsi la volontà politica di creare, preservare o rafforzare i cd. campioni nazionali, laddove siano coinvolte imprese – come target o acquirente – con significative quote di mercato [2]. In presenza di congiunture fortemente negative è perciò alto il rischio di frizione e scontro dell’azione politica con la tutela della concorrenza, segnatamente, con la disciplina sul controllo delle concentrazioni [3]. Vista (ingiustificatamente) come un ostacolo alla realizzazione di queste scelte politiche. Si ripropone, quindi, il tema del delicato bilanciamento della tutela della concorrenza con quella delle finalità sociali o, più in generale, di politica industriale, al fine di consentire il soddisfacimento contestuale di questi interessi costituzionalmente rilevanti non solo a livello nazionale ma anche a livello UE. Durante le crisi passate queste “invasioni di campo” hanno talvolta fiaccato, se non del tutto escluso, lo scrutinio antitrust delle concentrazioni di salvataggio di dimensione nazionale. Si tratta di interventi pubblici che sfuggono al controllo della Commissione, la quale, come noto, in virtù del criterio della cd. barriera unica, può valutare soltanto le concentrazioni che superano le soglie previste dal Reg. (CE) n. 139/2004. E quest’assenza di controllo non è un [continua ..]
In linea di principio, le deroghe antitrust per le concentrazioni di salvataggio previste da specifiche disposizioni normative possono risultare inopportune e pericolose, specie laddove precludano la possibilità di impedire o porre rimedio alle restrizioni ingiustificate e non strettamente necessarie. Si fa riferimento, in particolare, a quelle deroghe che, per finalità di interesse generale, escludono del tutto il controllo antitrust o lo limitano fortemente, consentendo o imponendo l’autorizzazione di un’operazione senza un’approfondita analisi (a causa della compressione dei termini procedimentali) e senza adeguati correttivi [6] (a causa del divieto di misure comportamentali e strutturali) [7] anche per le concentrazioni di salvataggio particolarmente critiche sul piano antitrust. In un’ottica di medio e lungo periodo, i sacrifici imposti alla concorrenza da tali deroghe possono superare di gran lunga i presunti benefici legati alle finalità sociali ad esse sottese [8]. Non vanno infatti trascurati, almeno in potenza, i significativi mutamenti (decisamente in peius) della struttura concorrenziale dei mercati interessati. L’esclusione o l’eccessiva limitazione del controllo antitrust sono suscettibili di determinare notevoli criticità, in termini di disparità di trattamento tra le imprese e di alterazione anti-competitiva dei mercati rilevanti, soprattutto allorché si creino monopoli o quasi monopoli ma anche a fronte di un significativo rafforzamento della dominanza dell’entità post-merger. Quest’ultima, proprio in virtù di questi assetti di mercato, potrebbe essere indotta a commettere abusi di posizione dominante; con i conseguenti pregiudizi in termini di aumento dei prezzi, rallentamento dell’innovazione e peggioramento della produttività [9]. Come vedremo meglio di qui a poco, le norme che contemplano queste forme di autorizzazione politica delle concentrazioni sono accomunate dal fatto di conferire una specifica tutela a determinate imprese: l’acquirente e la target in stato di crisi che prestano attività ritenute di particolare rilevanza per l’economia nazionale e per la collettività. Risultano invece diverse le forme di contemperamento tra gli interessi in gioco (quelli generali e quelli antitrust): in alcuni casi mancano del tutto e in altri non sono sufficienti. Lacune che [continua ..]
L’identificazione dei potenziali risvolti anticoncorrenziali di queste deroghe antitrust agevola l’analisi della formulazione delle norme che le contemplano, consentendo di individuarne i profili critici. Non è raro imbattersi in ordinamenti che prevedono forme di autorizzazioni politiche delle concentrazioni nazionali, invocabili nei periodi di crisi per salvare imprese in difficoltà: vuoi nelle norme antitrust, vuoi nelle norme che disciplinano in generale l’attività di impresa [17]. Deroghe cui vanno sommate quelle imposte con appositi interventi di decretazione d’urgenza che trovano terreno fertile nelle fasi di recessione. Come già rilevato, si tratta di misure che, per essendo accomunate dalla previsione di un regime di favore per le concentrazioni riguardanti imprese in crisi e attive in determinati mercati, stabiliscono diverse forme di contemperamento tra gli interessi generali e quelli antitrust, nonché una diversa ripartizione dei ruoli tra le Autorità politiche e quelle antitrust. In Francia, è prevista la possibilità di sottrarre all’Autorità antitrust il potere di autorizzare una determinata concentrazione, quando entrano in considerazione «motivi di interesse generale diversi dalla protezione della concorrenza» che con questa devono essere bilanciati. L’art. L 430-7-1 II del codice di commercio attribuisce al Ministro dell’economia il potere di avocare il caso, in presenza di «motivi di interesse generale» tra i quali rientrano, segnatamente, lo sviluppo industriale, la competitività delle imprese di fronte alla concorrenza internazionale o la creazione e la preservazione dell’impiego. In particolare, il Ministro dell’economia, entro 25 giorni lavorativi dalla decisione dell’Autorità antitrust, può disporre l’autorizzazione di un’operazione da essa vietata perché violava irrimediabilmente la concorrenza, condizionandola, se del caso, all’adozione di impegni da parte delle imprese coinvolte. In Germania, l’art. 42 GWB (legge sulla concorrenza) prevede il potere del Ministro dell’economia di autorizzare concentrazioni in precedenza vietate dall’Autorità antitrust, all’esito di uno specifico procedimento che è attivato su istanza delle imprese coinvolte entro un mese dalla notifica del [continua ..]
Le forme di autorizzazione politica contemplate dalla l. n. 287/1990 non hanno mai trovato applicazione. Si è optato, invece, per lo strumento della decretazione d’urgenza. Forse anche perché le deroghe di cui alla l. n. 287/1990 sottopongono l’autorizzazione della concentrazione ai tempi dei procedimenti antitrust (30 giorni di fase 1 più 45 giorni di eventuale fase 2, salvo proroghe) e, soprattutto, alla necessità di assicurare l’assenza di restrizioni non strettamente necessarie. È del resto il tenore di questi interventi di decretazione d’urgenza che milita in tal senso: alcuni hanno proprio escluso lo scrutinio antitrust, mentre altri hanno compresso i termini procedimentali e impedito la possibilità di vietare una concentrazione di salvataggio o di imporre rimedi comportamentali e strutturali. È stato perciò ridotto ai minimi termini, se non del tutto escluso, lo spazio riservato alla tutela della concorrenza nelle valutazioni delle operazioni che ricadono nell’ambito applicativo degli interventi suddetti, i quali hanno ritenuto di dover dare assoluta prevalenza agli interessi generali perseguiti. In dieci anni si contano quattro decreti-legge che hanno fortemente limitato l’esercizio dei poteri antitrust per le concentrazioni di salvataggio che rispondevano a rilevanti interessi generali dell’economia nazionale, quali: la continuità di servizi pubblici essenziali o di interesse economico generale, la tutela occupazionale e la stabilità del sistema bancario. Nel 2008 la cd. norma Salva Alitalia [22] ha introdotto un regime transitorio e derogatorio della l. n. 287/1990 per le concentrazioni realizzate entro il 30 giugno 2009 e riguardanti le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria attive nei servizi pubblici essenziali. È stato disposto l’obbligo di previa notifica per le parti, unitamente alla proposta di misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in conseguenza dell’operazione. L’Autorità antitrust avrebbe dovuto autorizzarle, entro 30 giorni dalla notifica, prescrivendo tali misure, con le modifiche e integrazioni ritenute necessarie, fissando il termine, comunque non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi dovevano [continua ..]
Le deroghe appena descritte non costituiscono l’unica modalità per consentire una valutazione più flessibile di una concentrazione di salvataggio sul piano antitrust. È noto infatti che anche la prassi e la giurisprudenza in materia di concentrazioni hanno individuato delle forme di contemperamento volte a bilanciare, seppur in maniera indiretta e con criteri rigorosi, gli interessi sottesi al libero gioco della concorrenza con gli interessi generali legati al salvataggio delle imprese in stato di crisi. Si tratta, in particolare, della cd. faliling firm defence: teoria elaborata negli Stati Uniti ma poi ripresa nella prassi della Commissione e avallata dalla Corte di giustizia [30]. Alla base di tale teoria, c’è la considerazione che, se un’impresa è destinata a uscire irrimediabilmente dal mercato in ragione dello stato di crisi in cui versa, l’acquisizione di tale impresa non incide sulle condizioni concorrenziali del mercato, perché queste ultime si determinerebbero anche in assenza della concentrazione. In questi casi, verrebbe cioè a mancare il nesso di collegamento tra la concentrazione e gli eventuali effetti restrittivi derivanti dalla scomparsa di un concorrente, potendo quindi autorizzare l’operazione. Il riconoscimento della failing firm defence è però subordinato alla presenza di requisiti piuttosto stringenti; le parti della concentrazione dovranno provare che: (i) l’impresa che si presume sia sul punto di fallire sarebbe, entro breve tempo, costretta a uscire dal mercato a causa di difficoltà finanziarie, se non venisse rilevata da un’altra impresa; (ii) non vi è un’acquisizione alternativa con effetti anticoncorrenziali meno gravi di quelli derivanti dalla concentrazione notificata; (iii) in assenza della concentrazione, i beni produttivi dell’impresa in stato di crisi uscirebbero inevitabilmente dal mercato [31]. Si tratta di criteri difficili, ma non impossibili, da dimostrare; specie laddove le Autorità antitrust mostrino un approccio pragmatico e flessibile, prendendo in debita considerazione le congiunture economiche in cui si realizza la concentrazione. Significativa al riguardo è la recente decisione dell’Autorità inglese sull’acquisizione del controllo di Deliveroo da parte di Amazon, riguardante il mercato della consegna a domicilio di beni alimentari. [continua ..]
Arrivati a questo punto dell’analisi, è opportuno riflettere sulle contromisure che potrebbero essere adottate nell’enforcement del diritto della concorrenza, attraverso interventi successivi all’autorizzazione di una concentrazione di salvataggio problematica, allo scopo di correggere le disfunzioni di mercato ascrivibili alle deroghe qui considerate. Indicazioni utili al riguardo si rinvengono nel caso Loyds/Halifax, concentrazione autorizzata il 31 ottobre 2008 – periodo in cui, come noto, era esplosa la crisi economica causata dal crollo dei mutui subprime – in forza della deroga prevista dall’ordinamento inglese. Tale operazione aveva ricevuto un rapporto decisamente negativo da parte dell’Autorità antitrust perché avrebbe determinato rilevanti effetti restrittivi [34]. Ciononostante, il Segretario di Stato aveva deciso di autorizzarla, ritenendo prevalente l’interesse pubblico alla stabilità del sistema finanziario. Come avvenuto in altri casi [35], il trattamento favorevole riservato a tale concentrazione si è intrecciato con il conferimento di aiuti di Stato alle imprese interessate, i quali, oltre a sancire l’ingresso del governo inglese nel capitale dell’entità post-merger, erano volti a consentire la buona riuscita dell’operazione [36]. Nel procedimento di valutazione di queste misure di sostegno economico, la Commissione ha rilevato che la concentrazione suddetta aveva determinato rilevanti distorsioni, anche grazie agli aiuti concessi dal governo inglese. Così, ai fini della loro approvazione, le parti hanno dovuto proporre rimedi comportamentali e strutturali – consistenti nella cessione di 600 sportelli – volti a favorire l’ingresso di un nuovo operatore o il rafforzamento degli altri concorrenti già presenti nel settore bancario, correggendo, di fatto, le distorsioni conseguenti al provvedimento derogatorio adottato dal Segretario di Stato [37]. Tale caso dimostra quindi che l’applicazione delle regole sugli aiuti di stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in crisi può consentire il riequilibrio di assetti di mercato alterati in modo ingiustificato ed eccessivo per effetto delle deroghe antitrust qui considerate: l’autorizzazione delle misure di sostegno economico varate dagli Stati può infatti essere subordinata alla proposizione [continua ..]
Le considerazioni che precedono consentono di tracciare un quadro conclusivo sia sulle formulazioni preferibili in tema di deroghe antitrust per le concentrazioni di salvataggio, sia sulla opportunità e necessità di ricorrere agli strumenti che il diritto della concorrenza mette a disposizione per correggere o quantomeno attenuare le eventuali distorsioni del funzionamento dei mercati ascrivibili a queste misure derogatorie. Potenziali risvolti anticoncorrenziali che ne suggeriscono, però, in ogni caso, un utilizzo limitato [50]. Anche perché, come visto, il diritto antitrust già contempla eccezioni e strumenti tali da salvaguardare, ancorché in modo indiretto e con requisiti stringenti, gli interessi generali legati alle concentrazioni di salvataggio. Si fa riferimento sia alla failing firm defence, sia all’attenta ponderazione nell’analisi controfattuale delle congiunture economiche (e inevitabilmente politiche) che incidono giocoforza sui processi di crescita esterna delle imprese. E positive sono le indicazioni fatte registrare al riguardo dalla prassi più recente: la decisione dell’Autorità inglese nella concentrazione Amazon/Deliveroo sopra riportata dimostra infatti come sia possibile e opportuno adottare un approccio pragmatico e flessibile nella valutazione delle operazioni realizzate in periodi di crisi. Ciò posto, se guardiamo alle varie formulazioni delle deroghe antitrust analizzate in precedenza, il principio guida nella scelta di quella preferibile è, con tutta evidenza, quello di proporzionalità: idoneità e necessarietà della restrizione rispetto all’obiettivo perseguito. Il rigoroso rispetto di tale principio assicura infatti che i diversi interessi in gioco siano posti sullo stesso piano addivenendo a una sintesi equilibrata. Né più né meno di ciò che avviene per ogni deroga, dovendo respingere i tentativi di far prevalere in modo ingiustificato l’interesse che muove l’eccezione (quello generale) rispetto all’interesse sotteso alle norme derogate (quello della concorrenza). Questo porta inevitabilmente a stigmatizzare sia le deroghe che escludono del tutto il controllo antitrust, sia quelle che lo limitano in modo eccessivo e senza valide ragioni prevedendo la compressione dei termini procedimentali e l’impossibilità di imporre divieti o misure [continua ..]