Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
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La dimensione “assiologica” della tutela giurisdizionale effettiva nella giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di crisi dello Stato di diritto: quali ricadute sulla protezione degli individui? * (di Alessandra Favi, Assegnista di ricerca in Diritto dell’Unione europea, Università di Firenze)


Nella sua recente giurisprudenza, la Corte di giustizia ha evidenziato come alcuni aspetti della tutela giurisdizionale effettiva presentino una duplice dimensione, in quanto integrano non solo la protezione che deve essere assicurata alle posizioni giuridiche attribuite dal diritto dell’UE ai singoli, ma anche il contenuto essenziale del valore dello Stato di diritto. Tali elementi sono individuati nell’indipendenza dei giudici nazionali e nell’effettività del controllo giudiziale. Nel presente scritto sarà quindi presa in esame detta giurisprudenza, ponendo l’accento sulla ricostruzione, da parte della Corte di giustizia, dello standard di protezione dei due elementi che integrano entrambe le dimensioni. Ciò al fine di evidenziare il rapporto esistente tra le diverse fonti rilevanti, primarie e derivate, e di verificare se e come le due dimensioni della tutela “dialogano”, determinando delle ricadute pratiche sulla protezione che gli ordinamenti nazionali devono assicurare alle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’U­nione.

In its recent case law, the Court of Justice has pointed out that certain aspects of effective judicial protection have a twofold dimension, since they integrate not only the protection of the rights conferred on individuals by EU law, but also the essential content of the value of the rule of law. These elements are identified in the independence of the judiciary and in the effectiveness of judicial control. The paper examines this novel case law, in particular taking into account the reconstruction by the Court of Justice of the standard of protection of the two elements that integrate both dimensions. The ultimate aim is to highlight the relationship existing between the relevant sources of primary and secondary law, and to verify whether and how these two dimensions “dialogue”, in order to determine the practical impact on the protection that national legal systems shall ensure of the rights conferred on individuals by EU law.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. Le origini del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva quale principio generale del diritto dell’Unione - III. La “codificazione” del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva tra diritto primario e legislazione secondaria - IV. La duplice dimensione “assiologica” e “individuale” della tutela giurisdizionale effettiva - V. La garanzia dell’indipendenza dei giudici nazionali - VI. Il requisito dell’effettività del controllo giudiziale - VII. Riflessioni conclusive - NOTE


I. Introduzione

Sin dalle sue origini quale principio generale di diritto dell’Unione, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, insieme ai principi di effettività e di equivalenza, ha consentito alla Corte di giustizia («Corte») di limitare l’autonomia procedurale degli Stati membri incidendo, contestualmente, sulla protezione offerta negli ordinamenti interni alle posizioni giuridiche soggettive attribuite dal diritto dell’Unione. A questo proposito, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha introdotto due importanti novità nel quadro giuridico di diritto primario. In primo luogo, l’art. 19, par. 1, comma 2, TUE, ha codificato la giurisprudenza della Corte [1] relativa all’obbligo per gli Stati membri di stabilire «i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione». In secondo luogo, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione europea («Carta»), rubricato «Diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale», è divenuto la norma di riferimento per valutare l’adeguatezza delle disposizioni procedurali nazionali; allo stesso tempo, la continuità con la tutela apprestata dal principio generale, di cui il diritto fondamentale costituisce una riaffermazione, è assicurata dal costante riferimento della Corte giustizia alla giurisprudenza pre-Lisbona. A livello di diritto derivato, inoltre, le garanzie procedurali relative al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva sono state progressivamente incorporate nella legislazione secondaria di diritto dell’Unione, con una certa varietà del grado di armonizzazione della disciplina procedurale a seconda del settore materiale considerato. Nella giurisprudenza recente della Corte, accanto a questa dimensione – per così dire – “individuale” della tutela giurisdizionale effettiva, intesa quale protezione effettiva delle posizioni attribuite dal diritto dell’Unione al singolo, è emersa un’ulteriore dimensione, che può definirsi “assiologica” [2]: la tutela giurisdizionale effettiva costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto, valore fondante dell’Unione ai sensi dell’art. 2 TUE. Adita nell’ambito di alcuni rinvii pregiudiziali e ricorsi di [continua ..]


II. Le origini del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva quale principio generale del diritto dell’Unione

A partire dalla metà degli anni ’80, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva è stato riconosciuto dalla Corte quale espressione di un principio generale del diritto dell’Unione, attraverso il quale valutare non solo la legittimità della normativa derivata dell’UE, ma anche l’adeguatezza della tutela giurisdizionale apprestata dagli ordinamenti nazionali alle posizioni attribuite dal diritto dell’Unione agli individui [5]. La prima pronuncia in cui la Corte ha espressamente individuato l’esi­stenza di tale principio è la sentenza Johnston [6], in cui si legge che il sindacato giurisdizionale, richiesto sulla base di una disposizione di una direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne [7], «costituisce espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri [ed è] del pari sancito dagli art. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» [8]. Invero, già nella sentenza Von Colson [9], di poco anteriore, la Corte aveva affermato che se una direttiva, pur non prevedendo espressamente le modalità attraverso le quali apprestare la tutela giurisdizionale, «impone agli [S]tati membri l’obbligo di consentire a chiunque si consideri leso da una discriminazione “di far valere i propri diritti per via giudiziaria”» [10], ciò implica che da tale disposizione «discende che gli [S]tati membri sono obbligati ad adottare provvedimenti che siano sufficientemente efficaci per conseguire lo scopo della direttiva ed a far sì che tali provvedimenti possano essere effettivamente fatti valere dinanzi ai giudici nazionali dagli interessati» [11]. Tuttavia, pur prendendo le mosse da tale pronuncia, nella sentenza Johnston la Corte aveva riconosciuto il carattere “autonomo”, rispetto alla legislazione secondaria, del principio generale alla tutela giurisdizionale effettiva, che trova la sua fonte nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e negli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («CEDU»). Tale statuizione è risultata essenziale per l’applicazione del principio anche in ambiti ove esso non trovava espressa [continua ..]


III. La “codificazione” del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva tra diritto primario e legislazione secondaria

Il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva ha dunque ricoperto, sin dalle sue origini, un ruolo essenziale nell’assicurare la protezione delle posizioni soggettive derivanti dal diritto dell’Unione. La sua rilevanza sembra peraltro trovare un più incisivo riconoscimento a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha “codificato” tale diritto all’interno del quadro giuridico di diritto primario. Innanzitutto, l’art. 19, par. 1, comma 2, TUE, ha introdotto l’obbligo per gli Stati membri di stabilire «i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’U­nione». Nelle intenzioni dei redattori dei Trattati, tale disposizione avrebbe dovuto rappresentare la declinazione, nell’ambito procedurale, del principio di leale cooperazione attualmente sancito dall’art. 4, par. 3, TUE; si intendeva codificare la giurisprudenza consolidata della Corte [16] in base alla quale spetta agli Stati membri prevedere i rimedi che permettano la tutela giurisdizionale effettiva delle posizioni spettanti ai singoli in forza del diritto dell’U­nione. In questo modo, si voleva assicurare il «sistema completo di rimedi giurisdizionali» [17] previsto dai Trattati per il tramite del vincolo di risultato posto in capo agli Stati membri e, in particolare, ai giudici nazionali, di garantire attraverso gli strumenti processuali predisposti dagli ordinamenti nazionali la piena e corretta applicazione del diritto dell’Unione. Inoltre, con l’acquisito status di diritto primario della Carta, l’art. 47 è divenuta la norma attraverso la quale valutare l’adeguatezza della tutela procedurale apprestata dagli ordinamenti nazionali. Al contempo, però, la centralità riconosciuta al diritto fondamentale non ha fatto venir meno la rilevanza del principio generale, di cui il primo costituisce infatti una «riaffermazione» [18]. Il legame tra le due fonti di tutela è così assicurato dal costante riferimento della Corte alla giurisprudenza precedente al Trattato di Lisbona: la portata delle garanzie contemplate dall’art. 47 della Carta è infatti definita e integrata conformemente a quanto già statuito dalla Corte in relazione al principio generale, prima che la Carta acquisisse il medesimo [continua ..]


IV. La duplice dimensione “assiologica” e “individuale” della tutela giurisdizionale effettiva

Accanto agli sviluppi di questa dimensione “individuale” della tutela giurisdizionale effettiva, intesa nella sua accezione “tradizionale” quale protezione effettiva delle posizioni attribuite dal diritto dell’Unione al singolo, nella giurisprudenza più recente della Corte è emersa un’ulteriore dimensione, che può definirsi “assiologica”: la tutela giurisdizionale effettiva costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto, valore fondante dell’U­nione ai sensi dell’art. 2 TUE [21]. È la sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses (ASJP) [22] che rappresenta il punto di partenza di questo – ormai – nutrito filone giurisprudenziale, attraverso il quale la Corte ha progressivamente definito il proprio ruolo riguardo alla violazione dei valori enunciati dall’art. 2 TUE da parte degli Stati membri [23]. Le circostanze che avevano portato a tale pronuncia sono da ricondurre, in particolare, alle riforme intraprese dal governo polacco riguardanti l’or­ga­nizzazione della giustizia, ritenute lesive dell’indipendenza della magistratura, nonché alle difficoltà dell’Unione di rispondere in maniera efficace al progressivo deterioramento dello Stato di diritto in alcuni Stati membri [24]. Infatti, dopo aver tentato di far fronte alla situazione polacca attraverso meccanismi di tipo dialogico appositamente concepiti [25], nel dicembre 2017, la Commissione aveva adottato una proposta motivata a norma del­l’art. 7, par. 1, TUE, volta a far constatare al Consiglio «un evidente rischio di violazione grave» dei valori di cui all’art. 2 TUE da parte della Polonia [26]. Come noto, l’art. 7 TUE è la disposizione che, attraverso meccanismi di natura essenzialmente politica, mira ad assicurare il rispetto dei valori fondanti dell’Unione a fronte di una loro violazione – attuale o potenziale – da parte degli Stati membri. Così come l’ambito di applicazione dell’art. 2 TUE si estende a tutte le aree di azione degli Stati membri, anche le procedure ex art. 7 TUE, che ne garantiscono il rispetto, sono horizontal and general in scope [27]: l’Unione può dunque intervenire non solo in caso di violazione dei valori comuni nella sfera circoscritta dal diritto dell’UE, ma [continua ..]


V. La garanzia dell’indipendenza dei giudici nazionali

Prima di assumere una valenza anche assiologica, l’indipendenza dei giudici nazionali è stata riconosciuta dalla Corte quale componente della dimensione individuale della tutela giurisdizionale effettiva. Già nella sentenza Wilson [41] del 19 settembre 2006, la Corte era stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale circa l’interpretazione della nozione di “ricorso giurisdizionale di diritto interno” ai sensi dell’art. 9 della direttiva 98/5 [42], con riferimento a una procedura, prevista dal diritto lussemburghese, di impugnazione di una decisione che respingeva l’iscrizione all’Ordine di un avvocato che intendeva esercitare la sua attività nello Stato membro ospitante. La Corte si era soffermata sulla nozione di “organo chiamato a decidere i ricorsi” [43] e, facendo riferimento alla propria giurisprudenza relativa alla definizione di “organo giurisdizionale” ai sensi dell’art. 267 TFUE, aveva individuato l’indipendenza tra i requisiti da integrare. La Corte aveva quindi distinto tra un aspetto esterno, che “presuppone che l’organo sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere a repentaglio l’indi­pendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte” [44], e un elemento interno, che “si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l’oggetto di quest’ultima” [45]. Nel caso di specie, la Corte suggeriva che le disposizioni nazionali sulla composizione del­l’organo chiamato a pronunciarsi su siffatti ricorsi non risultassero idonee a fornire un’adeguata garanzia di imparzialità. L’approccio sviluppato in Wilson è stato poi ripreso dalla Corte anche rispetto ad altri settori materiali di diritto dell’Unione. Si pensi, ad esempio, alla sentenza D. e A. [46], relativa all’interpretazione della nozione di “mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice” ai sensi dell’art. 39 della direttiva 2005/85 [47], nel caso di ricorso avverso una decisione di diniego dello status di rifugiato. I componenti dell’organo competente a conoscere di tali impugnazioni nel sistema irlandese – il Refugee Appeals Tribunal – potevano [continua ..]


VI. Il requisito dell’effettività del controllo giudiziale

Oltre all’indipendenza degli organi giurisdizionali nazionali, la Corte ha recentemente individuato un ulteriore elemento del contenuto essenziale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Si tratta, come anticipato, della “effettività del controllo giudiziale”, soprattutto riguardo alle decisioni adottate dalle autorità amministrative nazionali. Anche questo ulteriore aspetto attinente alla dimensione assiologica ha una ricaduta sul côté individuale della tutela giurisdizionale effettiva, come ben emerge dalle sentenze Torubarov e FMS. Tali pronunce si collocano nel contesto del progressivo deterioramento dello Stato di diritto in Ungheria [69], che ha investito anche la disciplina del­l’asilo e dell’immigrazione e il relativo sistema di rimedi giurisdizionali che il diritto derivato UE richiede agli Stati membri di mettere a disposizione dei soggetti interessati. Le sentenze citate, entrambe rese a seguito di rinvio pregiudiziale, hanno esaminato le normative ungheresi che, da un lato, privavano i giudici nazionali di qualsiasi mezzo per far rispettare le proprie decisioni relative al riconoscimento di una forma di protezione internazionale da parte delle autorità amministrative; dall’altro lato, non prevedevano alcun mezzo di impugnazione per i cittadini di Paesi terzi e i richiedenti protezione internazionale contro le decisioni che ne disponevano il collocamento in una zona di transito, né fornivano un ricorso giurisdizionale diretto a garantire il diritto all’alloggio del richiedente protezione internazionale, una volta rilasciato in caso di trattenimento illegittimo. Più specificamente, nella sentenza Torubarov, la domanda pregiudiziale posta dal Tribunale amministrativo e del lavoro ungherese riguardava la prassi cd. del «ping pong processuale» [70] tra autorità amministrative e giurisdizionali ungheresi. Nel 2015, infatti, il legislatore nazionale aveva modificato la competenza dei giudici in relazione al controllo delle decisioni amministrative in materia di asilo, facendo salvo solo il potere di annullare e rinviare il fascicolo all’autorità amministrativa. Per converso, i giudici nazionali non potevano più sostituire le decisioni dell’amministrazione ritenute illegittime, né avevano altro mezzo per farle rispettare [71]. Il Tribunale amministrativo e del lavoro – adito [continua ..]


VII. Riflessioni conclusive

Dall’esame appena svolto emerge chiaramente che, nella giurisprudenza relativa a situazioni di crisi dello Stato di diritto in alcuni Stati membri, la Corte ha evidenziato la duplice dimensione di taluni aspetti del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, che integrano sia la protezione che deve essere assicurata alle posizioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione, sia il contenuto essenziale del valore dello Stato di diritto. Tali elementi sono individuati nell’indipendenza dei giudici nazionali e nell’ef­fettività del controllo giudiziale, in particolare, rispetto alle decisioni adottate dalle autorità amministrative nazionali. La Corte si è quindi preoccupata di ricostruire uno standard di protezione idoneo a soddisfare le esigenze derivanti dalla dimensione assiologica, soprattutto in relazione al requisito dell’indipendenza. Ciò non esclude che, nelle medesime situazioni di crisi dello Stato di diritto, sussista anche la necessità di proteggere specifiche posizioni giuridiche garantite dal diritto dell’Unione, ad esempio nei casi in cui la legislazione secondaria applicabile introduca specifiche disposizioni relative al diritto a un ricorso effettivo in un settore materiale in cui l’Unione ha competenza. In effetti, nelle sentenze A.K., Torubarov e FMS, emerge un approccio volto a rafforzare la protezione delle posizioni soggettive discendenti dalla legislazione secondaria UE attraverso l’integrazione dello standard assiologico – ricostruito sulla base dell’art. 47 della Carta – nelle disposizioni che, nel diritto derivato, costituiscono la riaffermazione di tale diritto fondamentale. Inoltre, la Corte ha riconosciuto a tali disposizioni la capacità di produrre effetti diretti verticali, al pari del diritto primario a un ricorso effettivo che esse declinano nel settore materiale considerato, investendo il giudice nazionale delle necessarie competenze e poteri perché ne assicuri l’effettività. Nelle sentenze citate, la Corte ha dunque fatto discendere dall’art. 47 della Carta lo standard di tutela dei due elementi che rilevano rispetto a entrambe le dimensioni – individuale e assiologica – della tutela giurisdizionale effettiva. In particolare, nel ricostruire il contenuto e le implicazioni del requisito dell’indipendenza, la Corte sembra aver privilegiato [continua ..]


NOTE