La notoria avversione della giurisprudenza della Corte di Giustizia nei riguardi dei sistemi di risoluzione delle controversie tra privati e Stati membri affidate ad arbitri privati, per carente legittimazione degli arbitri al rinvio pregiudiziale, alimenta un crescente numero di questioni processuali che inevitabilmente si porranno dapprima negli arbitrati di investimento e quindi nel loro seguito sul versante esecutivo davanti ai giudici togati nazionali. Nel presente scritto, occasionato dall’esame ravvicinato di uno di questi contenziosi arbitrali, per più versi “seriali”, si analizzano anzitutto gli effetti promananti dal lodo di condanna favorevole all’investitore nell’ordinamento giuridico italiano e, in secondo luogo, si individuano gli eventuali motivi ostativi alla esecuzione del lodo nello Stato membro e le soluzioni più congeniali per riconciliare la tutela esecutiva del credito del vincitore in arbitrato con le esigenze di rispetto dei valori fondamentali dell’ordinamento eurounitario.
The European Court of Justice’s well-known idiosyncrasy against arbitration between Member States and private investors, because of the arbitrators’ lack of standing to refer preliminary interpretative issues of European law, has given rise to a growing number of procedural issues. Even further issues shall arise in the course of proceedings for the enforcement of investment awards before national courts. In this essay, we first enquire the effects attached to a condemnatory award in favor of the investor within the Italian legal system; second, we enquire whether there are any grounds to oppose the enforcement of such awards; and third, we enquire possible ways to reconcile the winning party’s right to effectively enforce the award with the public policy need that fundamental principles of European law are complied with by the arbitrators’ decision.
I. Il caso di specie - II. La clausola compromissoria - III. L’eccezione di difetto di giurisdizione arbitrale - IV. …e il suo rigetto da parte degli arbitri - V. Dubbio valore autoritativo della sentenza Komstroy della Corte UE - VI. Autorità di giudicato, esecutività del lodo e divieto di riesame in base alla Conv. ICSID - VII. Limiti della opposizione di merito alla esecuzione contro il titolo esecutivo giudiziale - VIII. Il possibile vulnus alla interpretazione uniforme del diritto europeo - IX. …è scongiurato dal controllo giurisdizionale “a valle” di conformità del lodo all’ordine pubblico - X. Le implicazioni della sentenza Commissione c. Regno Unito allorché il lodo sia qualificato come “aiuto di stato” - XI. Controllo endoesecutivo di conformità al diritto europeo: il giudicato arbitrale non osta al rilievo officioso, da parte del giudice della opposizione alla esecuzione, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte UE e sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c., della compatibilità del dictum arbitrale con i principi fondamentali di diritto europeo in materia di divieto di aiuti di stato - NOTE
Il caso di specie è così riassumibile. L’arbitrato ha avuto inizio ad istanza di tre società X, Y e Z, aventi sede in due Stati membri diversi da quello convenuto, che si sono rese attrici nei confronti dello Stato italiano. Le attrici chiedevano la condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’obbligo sancito dall’art. 10 del Trattato sulla Carta dell’Energia del 17 settembre 1994 (“TCE”), che prevede l’impegno degli Stati contraenti di accordare in ogni occasione agli investimenti di investitori di altre Parti contraenti un trattamento giusto ed equo. Per effetto di modifiche legislative, regolamentari e contrattuali in peius afferenti alla disciplina del mercato delle energie rinnovabili, lo Stato avrebbe diminuito la reddittività dei loro investimenti. Il collegio arbitrale veniva costituito in base all’art. 37, comma 2, Convenzione per la composizione delle controversie relative agli investimenti fra Stati e cittadini d’altri Stati fatta a Washington il 18 marzo 1965 (“Conv. ICSID”), che prevede: «Il Tribunale è composto di un arbitro unico o d’un numero dispari di essi, designati conformemente all’accordo delle Parti». Nel corso del procedimento arbitrale interveniva quale amicus curiae la Commissione Europea. Dopo avere assegnato termini alle parti per prendere posizione sulla rilevanza della sopravvenuta decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 marzo 2018, causa C-284/16, Slowakische Republik c. Achmea BV [1], il collegio arbitrale dichiarava la giurisdizione arbitrale sulle domande delle attrici e, in accoglimento delle domande delle attrici, accertata la violazione dell’obbligo di trattamento giusto ed equo da parte dello Stato condannava lo Stato convenuto al risarcimento del danno. Lo Stato ha impugnato il lodo ai sensi dell’art. 52 Conv. ICSID, in base a cui «Ciascuna Parte può chiedere, per scritto, al Segretario generale l’annullamento della sentenza per uno qualsiasi dei motivi seguenti: a. vizio nella costituzione del Tribunale; b. abuso manifesto di potere del Tribunale; c. corruzione d’un membro del Tribunale; d. inosservanza grave d’una regola fondamentale di procedura; e. infondatezza». Quale primo motivo di impugnazione lo Stato membro ha lamentato il difetto di giurisdizione degli arbitri, qualificato sub [continua ..]
Così ricostruita, nei suoi snodi essenziali, la vicenda processuale, assume particolare rilevanza, per i profili di compatibilità con il diritto europeo la fonte del potere decisorio degli arbitri. Il collegio arbitrale di primo grado ha tratto i suoi poteri dall’art. 26 («Soluzione delle Controversie tra un Investitore e una Parte Contraente») TCE, che prevede, al comma 2: «(…) l’investitore interessato, può scegliere di sottoporre la controversia per essere decisa: (c) in conformità dei seguenti paragrafi del presente articolo»; al comma 3: « (…) ciascuna Parte contraente presta il proprio consenso incondizionato a sottoporre una controversia all’arbitrato o alla conciliazione internazionale in conformità alle disposizioni del presente articolo»; al comma 4: «Qualora un investitore scelga di sottoporre la controversia per soluzione ai sensi del paragrafo 2, lettera c), deve anche notificare per iscritto il proprio consenso a che la controversia sia sottoposta a: a) i) il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti (International Centre for Settlement of Investment Disputes), istituito conformemente alla Convenzione per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti fra Stati e soggetti di altri Stati, aperta alla firma a Washington il 18 marzo 1965 (in appresso denominata “Convenzione ICSID”), se la Parte contraente dell’investitore e la Parte contraente parte della controversia sono entrambe parti della Convenzione ICSID»; al comma 6: «Un tribunale istituito in virtù del paragrafo 4 decide sulle questioni oggetto di controversia in conformità del presente Trattato e delle norme e di principi applicabili del diritto internazionale»; al comma 8: «Il lodo arbitrale, che può comprendere una liquidazione di interessi, è inappellabile e vincolante per le Parti della controversia». È da notare come la Repubblica italiana abbia notificato il suo recesso dal TCE nel 2014 e in base all’art. 47, comma 2, TCE il recesso “prende effetto alla scadenza di un anno dalla data di ricevimento della notifica da parte del depositario”. Tuttavia, ai sensi dell’art. 47, comma 3, TCE «(l)e disposizioni del presente Trattato continuano ad applicarsi agli investimenti effettuati nell’area di una [continua ..]
L’eccezione di difetto di giurisdizione degli arbitri, che tipicamente verrà sollevata dagli Stati membri convenuti in arbitrati siffatti, si fonderà sulla asserita incompatibilità tra il sistema di risoluzione delle controversie arbitrale previsto dal Trattato della Carta sull’Energia (“TCE”), ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”). In particolare, anche nel caso di specie veniva invocato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Achmea, secondo cui un collegio arbitrale, come quello chiamato a decidere sulle domande degli attori, non è qualificabile come “giudice di uno Stato membro”. Ragion per cui un tale organo decidente sarebbe privo del potere di riferire questioni pregiudiziali interpretative sul diritto europeo alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE. Tale limitazione dello statuto degli arbitri impedirebbe di sollecitare l’interpretazione uniforme del diritto europeo, e comprometterebbe l’effetto utile del diritto europeo, in special modo delle norme fondamentali che innervano il mercato unico, ossia quelle in materia di concorrenza e divieto di aiuti di stato alle imprese. Per tale ragione, concludeva lo Stato convenuto, non solo le clausole compromissorie contenute nei Trattati bilaterali di investimento stipulati tra Stati membri, ma anche una clausola compromissoria contenuta in un Trattato multilaterale, quale l’art. 26 TCE, dovrebbe ritenersi “inapplicabile” ogni qual volta la lite penda tra investitori di uno Stato membro (le attrici nella specie avendo sede in Stati membri diversi da quello convenuto) ed un altro Stato membro.
Non sorprendentemente il collegio arbitrale ha respinto la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dallo Stato convenuto, rilevato che dalle disposizioni del TCE non emerge una intenzione delle parti contraenti di escludere dal sistema di risoluzione delle controversie in esso previsto le liti tra investitori di uno Stato membro ed un altro Stato membro e che, sul piano del diritto internazionale pattizio, non vi era stata denuncia o recesso dal TCE da parte degli Stati membri della UE. L’art. 26 TCE era perciò pattuizione senz’altro efficace al momento della proposizione delle domande di arbitrato. In merito alla rilevanza del precedente Achmea, il collegio arbitrale di primo grado ha rimarcato la differenza tra la fattispecie considerata nel caso Achmea ed il caso alle sue cure. Nel caso Achmea, il collegio arbitrale era stato costituito in forza della clausola arbitrale contenuta in un trattato bilaterale di investimento stipulato tra due Stati membri, mentre il collegio arbitrale decidente nel caso di specie traeva i suoi poteri da un trattato multilaterale di cui la stessa UE è parte. La decisione assunta dagli arbitri si pone nel solco di un orientamento alimentato da vari precedenti arbitrali, anche assai autorevoli, e tutti relativi ad arbitrati nascenti dal TCE [2]. Incidentalmente il collegio arbitrale ha pure rilevato di non dovere fare applicazione del diritto europeo sostanziale (“This Tribunal is not being called upon to decide issues of EU law under Article 26(6) of the ECT”). Per quanto tale rilievo possa apparire semplicistico, considerato che l’effettività del diritto europeo potrebbe essere minacciata non solo dalla frontale violazione dovuta a cattiva interpretazione delle sue norme, ma anche e proprio dalla mancata applicazione di tali norme, occorre pur notare che, nella specie, il diritto europeo non veniva invocato da alcuna delle parti dell’arbitrato.
Lo Stato appellante, in sede di impugnazione del lodo, proponeva uno specifico motivo di difetto di giurisdizione arbitrale, qualificato sub specie di manifesto eccesso di potere a norma dell’art. 52 Conv. ICSID. A sostegno della censura, lo Stato invocava una nuova pronuncia della Corte di Giustizia, vale a dire la sentenza 2 settembre 2021, C-741/19, Repubblica di Moldova c. Komstroy LLC. Con tale pronuncia, sorta da una lite di investimento tra una impresa ucraina e uno Stato terzo, la Corte UE ha affermato che “se le disposizioni dell’articolo 26 del TCE che consentono di sottoporre a un siffatto tribunale la soluzione di una controversia potessero applicarsi a una controversia tra un investitore di uno Stato membro e un altro Stato membro, ciò implicherebbe che, con la conclusione del TCE, l’Unione e gli Stati membri parti dell’accordo avrebbero istituito un meccanismo di risoluzione di una siffatta controversia tale da escludere che quest’ultima, anche laddove riguardasse l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione, fosse risolta in modo da garantire la piena efficacia di tale diritto” (punto 60 della decisione). Il collegio arbitrale di appello ha reputato, nondimeno, irrilevante tale decisione ai fini della verifica circa la sussistenza di un manifesto eccesso di potere da parte del collegio di primo grado, trattandosi per l’appunto di pronuncia sopravvenuta alla emanazione del lodo impugnato. Si direbbe che il collegio arbitrale di appello abbia ragionato nel senso che gli arbitri di primo grado nel decidere la questione di giurisdizione dovevano avere riguardo allo stato di fatto e di diritto quali esistenti al tempo della proposizione della domanda di arbitrato e che, essendosi correttamente attenuti a tale principio, il loro lodo sia immune dal vizio di manifesto eccesso di potere. Con le lenti del diritto processuale interno, tale decisione parrebbe da approvare, considerato che gli artt. 5 c.p.c. e 8, legge n. 218/1995, che si abbeverano all’art. 25 Cost., stabiliscono che ogni mutamento dello stato di fatto o di diritto posteriore alla proposizione della domanda, qualora porti a negare la giurisdizione, è irrilevante nel rapporto processuale reso pendente prima del mutamento. La decisione della Corte di Giustizia nel caso Komstroy, è appena il caso di aggiungere, non avrebbe comunque potuto essere invocata alla stregua di precedente [continua ..]
Così ripercorsi in dettaglio sviluppi e rationes delle decisioni arbitrali nel procedimento definito dal lodo di rigetto della impugnazione rescindente proposta dallo Stato appellante, veniamo alle rilevanti previsioni della Convenzione ICSID attinenti alla efficacia del lodo. La disciplina rilevante è situata nella Sezione VI Conv. ICSID, intitolata «Del riconoscimento e dell’esecuzione della sentenza». In base all’art. 53 Conv. ICSID, la sentenza arbitrale «è vincolante per le Parti e non può essere oggetto di ricorso o reclamo salvo quelli previsti nella presente Convenzione. Ciascuna Parte deve dare effetto alla sentenza nei termini stabiliti a meno che l’esecuzione non sia stata sospesa in virtù di disposizioni della presente Convenzione». L’art. 54 Conv. ICSID prevede, al comma 1, che «Ciascuno Stato contraente riconosce vincolanti le sentenze pronunciate secondo la presente Convenzione e assicura, sul proprio territorio, l’esecuzione degli obblighi pecuniari imposti nella sentenza come se si trattasse d’un giudizio definitivo d’un tribunale dello Stato in questione». Il procedimento di esecuzione della sentenza arbitrale è disciplinato, rispettivamente, dall’art. 54 Conv. ICSID, commi 2 e 3, in base a cui, per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione d’una sentenza sul territorio d’uno Stato contraente, la Parte interessata deve presentarne copia, certificata conforme dal Segretario generale, al Tribunale competente o ad altra autorità che lo Stato contraente in questione ha designato in proposito e l’esecuzione è disciplinata dalla legislazione, ivi in vigore, concernente l’esecuzione delle sentenze. Ai sensi dell’art. 54 Conv. ICSID, la Repubblica italiana ha designato quale giudice competente per l’esecuzione dei lodi «Courts of Appeal having jurisdiction in the province where the enforcement is to take place», vale a dire la corte d’appello nel cui distretto ha luogo la esecuzione forzata [9]. La disciplina convenzionale testé riportata è dunque inequivoca nel prevedere: (i) l’efficacia analoga a quella del giudicato nazionale e la stabilità della efficacia esecutiva, i.e. non soggetta a sospensione o inibitoria da parte di alcun giudice, dei lodi di condanna al pagamento di somme non più impugnabili [continua ..]
Si è detto che al fine di garantire l’effettività della tutela esecutiva dei lodi di condanna, per espressa disposizione convenzionale, il lodo ICSID è equiparato alla sentenza passata in giudicato pronunciata dal giudice di uno stato contraente («come se si trattasse d’un giudizio definitivo d’un tribunale dello Stato in questione»). Sarebbe quasi pleonastico rilevare che anche in base al diritto processuale italiano nessun potere di riesame sulla invalidità/ingiustizia di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato compete al giudice dell’esecuzione, né una opposizione alla esecuzione sarebbe ammissibile per tali ragioni. Da tale fondamentale previsione si irradia tutta una serie di corollari. Primo tra questi è l’impossibilità per il giudice dell’esecuzione (o di qualunque altro giudice italiano) di sospendere l’efficacia esecutiva o l’esecuzione del lodo ICSID sulla base di una presunta contrarietà all’ordine pubblico. Né si potrebbe obiettare che la Corte di Cassazione, sulla scia di una pronuncia della Corte di Giustizia UE (Banco di Desio), ha affermato che nel caso in cui il debitore esecutato in forza di un decreto ingiuntivo non opposto abbia proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., il giudice della opposizione deve riqualificare la opposizione alla esecuzione come opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c., con conseguente ammissibile riapertura della causa di merito e cognizione sulla esistenza del diritto di credito (Cass., sez. un., 6 aprile 2023 n. 9479). A differenza del decreto monitorio che sia stato pronunciato inaudita altera parte senza esercizio del potere-dovere di rilievo officioso della vessatorietà delle clausole apposte a contratti del consumatore, il lodo ICSID è pronunciato all’esito di un procedimento nel contraddittorio tra le parti e non ha mera efficacia preclusiva pro iudicato, bensì gode di efficacia piena di giudicato ex art. 2909 c.c. sulla esistenza del diritto di credito risarcitorio dell’investitore nei confronti dello Stato debitore. La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia UE conferma che l’effetto preclusivo del giudicato, quale derivante dalla mancata impugnazione del lodo arbitrale o dal suo passaggio in giudicato all’esito [continua ..]
Occorre dunque chiedersi se l’esecuzione di un lodo di condanna pronunciato da arbitri carenti del potere di rinvio pregiudiziale sia davvero in grado di vulnerare valori fondamentali e irrinunciabili del diritto europeo. E, in caso di soluzione affermativa, se il potere di rinvio pregiudiziale non possa e debba, allora, ove se ne manifesti la necessità o anche solo la opportunità, essere esercitato a posteriori dal giudice nazionale. Sotto il primo profilo, e non da oggi, ci era parso del tutto ingiustificato il rifiuto della Corte di Giustizia, dal celebre caso Denuit in avanti, di riconoscere agli arbitri rituali nazionali e a fortiori sopranazionali la qualifica di giudici degli Stati membri con facoltà di rimessione di quesiti pregiudiziali interpretativi di diritto europeo [16]. Esso non gode di alcuna giustificazione razionale, stante la funzione giurisdizionale svolta dagli arbitri e la omologia degli effetti del lodo rispetto a quelli della sentenza del giudice togato, ma si tratta di atteggiamento di chiusura giustificato solo dal timore della Corte di essere invasa da una spropositata mole di quesiti pregiudiziali, magari mal confezionati dai collegi arbitrali remittenti. Quell’atteggiamento di chiusura è tanto meno accettabile oggi, atteso che i lodi arbitrali, in molti Stati e certo anche in Italia, spesso non sono impugnabili per errori di diritto (e salvi gli sforzi altrettanto noti per eccettuarne la violazione delle norme di ordine pubblico, da intendersi in senso lato). Sicché la proposta de iure condendo di lasciare almeno agli arbitri privati la possibilità di sottoporre le questioni interpretative al Tribunale di primo grado UE, affinché esso – come filtro assai qualificato – deferisca alla Corte se e quando occorra davvero farlo, magari chiarendo meglio il senso di certe questioni, dovrebbe oggi a più forte ragione essere accarezzata. In caso di non ammissione, la motivazione, pur non in senso proprio interpretativa del diritto comunitario, avrebbe pur sempre offerto un certo ausilio agli arbitri “proto-remittenti mancati”. Nello stesso caso Achmea, del resto, lo stesso Avv. Gen. Wathélet aveva assunto un atteggiamento di maggiore e giusta apertura al riconoscimento del potere di rinvio pregiudiziale quanto meno in capo ad arbitri che traggano i loro poteri da trattati internazionali di investimento, stipulati dagli Stati membri, [continua ..]
Tanto premesso, per poter affermare una contrarietà del lodo o della sua esecuzione da parte di giudici di uno Stato membro all’ordine pubblico, occorrerebbe comunque verificare se in concreto la mancata attivazione del potere di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE carente in capo agli arbitri internazionali si sia tradotta in una violazione eclatante (arg. ex art. 45, Reg. n. 1215/2012 e 34, Reg. n. 44/2001) di disposizioni di diritto europeo di carattere fondamentale, posto che l’errore di diritto, in quanto tale, quantunque cada sulla applicazione di norme di diritto comunitario, non è ritenuto ostativo al riconoscimento delle sentenze, neppure di quelle provenienti dai giudici togati di altri Stati membri, e posto che non tutte le norme di diritto comunitario hanno la dignità di norme di ordine pubblico dell’ordinamento europeo, come più volte ribadito dalla stessa Corte di Giustizia UE [19]. La stessa giurisprudenza della Cassazione, d’altronde, quando adita ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. è orientata nel senso che non vi è invasione della sfera di competenza riservata al Giudice comunitario volta che il giudice nazionale (amministrativo) «abbia escluso – peraltro motivatamente – la ricorrenza dei presupposti per ritenere l’invalidità degli atti innanzi allo stesso contestati ed abbia altresì consapevolmente motivato le ragioni che escludevano la necessità del rinvio pregiudiziale di validità – in relazione all’interpretazione del quadro UE dal medesimo compiuta» (Cass., sez. un., 28 luglio 2021, n. 21641). Bisognerebbe allora chiedersi se la Direttiva 96/92/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996 concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, cui il lodo arbitrale di primo grado accenna, rivesta nell’ordinamento comunitario una importanza maggiore o analoga rispetto a quella della Direttiva 89/104/CE del Consiglio del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa. Disciplina, quest’ultima, che tuttavia, come visto, la stessa Corte di Giustizia ha ritenuto inidonea ad assurgere al rango di normativa di ordine pubblico comunitario. In secondo luogo, bisognerebbe chiedersi se le disposizioni di tale Direttiva siano state disapplicate o violate dagli arbitri. Nessuna [continua ..]
Una ragione impeditiva della esecuzione del lodo ICSID nel territorio italiano potrebbe tuttavia emergere alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Commissione c. Regno Unito. Come detto, la Supreme Court del Regno Unito ebbe a ritenere gli obblighi previsti dall’art. 54 Conv. ICSID senz’altro prevalenti su eventuali obblighi nascenti dal TFUE. Occorre soffermarsi in modo particolare sulle circostanze del caso, che atteneva alla esecuzione di un lodo ICSID, pronunciato tuttavia da arbitri che traevano la loro potestas iudicandi da un trattato bilaterale di investimento stipulato tra Romania e Svezia. Orbene, la Corte di Giustizia UE ha statuito che una norma di diritto europeo può essere resa inoperante da una convenzione internazionale in forza dell’art. 351, comma 1, TFUE, al ricorrere della duplice condizione che (a) si tratti di una convenzione conclusa anteriormente all’entrata in vigore dei trattati dell’Unione nello Stato membro interessato [20] e che (b) lo Stato terzo interessato ne tragga diritti di cui può esigere il rispetto da parte di tale Stato membro. La Corte di Giustizia ha rilevato che il lodo arbitrale, la cui efficacia esecutiva la Supreme Court del Regno Unito si era rifiutata di sospendere, traeva origine dalla clausola arbitrale convenuta in un trattato bilaterale stipulato tra Romania e Svezia, dunque da una convenzione stipulata esclusivamente da tali Stati membri. Di conseguenza, ha argomentato la Corte di Giustizia, «la controversia sottoposta nel caso di specie alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) dagli investitori mirava ad imporre a uno Stato membro, ossia il Regno Unito, l’obbligo di dare esecuzione, in applicazione della convenzione ICSID, a un lodo arbitrale per garantire il rispetto da parte di un altro Stato membro, nella fattispecie la Romania, degli obblighi ad esso incombenti in forza del TBI nei confronti di un ulteriore Stato membro, ossia il Regno di Svezia» (punto 73) e che nessuno Stato terzo sarebbe stato «legittimato ad esigere dal Regno Unito, ai sensi della convenzione ICSID, l’esecuzione del lodo arbitrale» (punto 74). In secondo luogo, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il Regno Unito avesse violato l’obbligo di leale cooperazione sancito dall’art. 4 TUE e le disposizioni di cui all’art. 107 TFUE, a causa della decisione del suo giudice supremo [continua ..]
Il lodo ICSID non è affetto da nullità radicale per carenza di potestas decidendi degli arbitri. La efficacia preclusiva propria del giudicato nazionale, cui il lodo arbitrale ICSID è equiparato, tuttavia, non impedisce ed anzi impone al giudice togato nazionale dell’esecuzione (o della opposizione all’esecuzione) di verificare se le statuizioni arbitrali siano conformi alle norme di ordine pubblico comunitario e all’occorrenza di sollevare questioni pregiudiziali interpretative alla Corte di Giustizia UE. Anziché impostare la questione in termini di conflitto fra Trattato UE e convenzioni bilaterali o multilaterali che prevedono l’arbitrato come metodo di risoluzione delle controversie tra imprese e Stati membri, ciò che porterebbe, secondo la Commissione, ad una radicale invalidità del lodo, la Corte di Giustizia UE dovrebbe essere nuovamente sollecitata ad interrogarsi se, al fine scongiurare il rischio di un contrasto tra i lodi arbitrali ICSID e il divieto comunitario di aiuti di stato, sia sufficiente la idea di giudicato ristretto, quale traibile in particolare dalla giurisprudenza Lucchini e Banco Desio o per meglio dire di giudicato ad efficacia vincolante depotenziata. In altre parole, una volta ammesso che il giudicato arbitrale è equiparato al giudicato nazionale, e che neppure quest’ultimo può precludere al giudice dell’opposizione alla esecuzione un controllo sulla conformità del dictum arbitrale alla disciplina in materia di aiuti di stato, specie poi se si tratti di aiuti a suo tempo notificati alla Commissione UE, ebbene, in tal caso, la effettività del diritto comunitario sostanziale in tema di aiuti di stato, così come le prerogative interpretative della Corte di Giustizia UE, dovrebbero ritenersi adeguatamente salvaguardate. A tal proposito, va tenuto conto del fatto che, nei casi Achmea e Komstroy, i lodi arbitrali di investimento, nonostante gli arbitri abbiano tratto i loro poteri da clausole compromissorie contenute nei trattati internazionali, erano lodi domestici, poiché resi ai sensi delle regole arbitrali Uncitral. In quei casi, pertanto, gli stessi giudici nazionali della sede dell’arbitrato erano investiti di un potere di sindacato sul lodo. Tuttavia, come sottolineato dalla Corte di Giustizia nel caso Komstroy, nel diritto francese dello Stato della sede dell’arbitrato, in base [continua ..]