L’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione russa ha prodotto uno shock rispetto alla concezione tradizionale di sicurezza e difesa comune dell’Unione europea e, più in generale, al ruolo che l’UE è chiamata a svolgere nell’immediato e in futuro a difesa della sicurezza dei suoi cittadini e di fronte alle richieste di aiuto militare da parte di Paesi confinanti. La fornitura di armi letali a uno Stato aggredito militarmente in Europa, deliberata attraverso la decisione (PESC) 2022/338, costituisce uno spartiacque rispetto al passato. La recente adozione della Bussola strategica costituisce, a sua volta, un passo in avanti verso il futuro della difesa di sicurezza e difesa comune. La Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, per quanto appaia tempestiva la sua adozione, rischia nondimeno di essere già inadatta a dare una risposta alle esigenze determinatesi a seguito del conflitto in Ucraina. Una nuova politica di sicurezza e difesa comune efficace potrebbe contemplare l’abbandono dell’unanimità nel processo decisionale e non potrà, in ogni caso, che accompagnarsi a importanti riforme di governance istituzionale dell’UE, soprattutto in tema di rappresentanza esterna. L’eventuale adesione dell’Ucraina all’UE porrebbe ulteriori significative sfide, anche nel settore della difesa tenuto conto dell’art. 42, paragrafo 7, TUE, che imporrebbero, a maggiore ragione, di organizzare una difesa europea il più possibile autosufficiente nella cornice degli indispensabili rapporti di collaborazione con la NATO.
The invasion of Ukraine by the armed forces of the Russian Federation has shaken the European Union’s traditional conception of common security and defence. More generally, it is questioning the role that the EU is and will be called upon to play in defending the security of its citizens and the Union’s response to requests for military aid from neighbouring countries. The supply of lethal weapons to a State under military attack in Europe, decided by Decision 2022/338, is a watershed from the past. The adoption of the Strategic Compass is, in turn, an important guideline for the future of the Common Security and Defence Policy. However, timely as its adoption may seem, its content risks being already ill-suited to the needs arising from the conflict in Ukraine. A new, effective Common Security and Defence Policy could envisage abandoning unanimity in the decision making process and can, in any case, only be accompanied by major reforms in the EU’s institutional governance, especially in terms of external representation. Ukraine’s possible accession to the EU would pose further significant challenges, also in the defence sector, in the light of Art. 42(7) TEU. These challenges would make all the more necessary to set up a self-standing European defence, within the broader framework.
Keywords: War in Ukraine – Common Security and Defence Policy (CSDP) – Decision (CFSP) 2022/338 – Strategic Compass for Security and Defence – EU institutional governance – Unanimity – Accession to the EU – Article 42(7) TEU – NATO.
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I. La guerra in Ucraina come fattore di stimolo per l’adozione di decisioni in materia di politica di sicurezza e di difesa comune nell’immediato e nel futuro prossimo - II. Nell’immediato: le decisioni (PESC) 2022/338 e 2022/339 e il loro fondamento giuridico - III. Nel futuro prossimo: le proposte contenute nella Bussola strategica per la sicurezza e la difesa - IV. I profili istituzionali irrisolti in merito alla conduzione di una politica di sicurezza e difesa comune realmente efficace - V. Due ulteriori questioni aperte con implicazioni molto rilevanti - VI. Prospettive ravvicinate in uno scenario in rapida evoluzione - NOTE
La guerra in Ucraina ha prodotto uno shock molto forte nelle capitali europee e scosso nelle fondamenta i rapporti istituzionali nell’Unione europea in termini paragonabili, se non superiori, a quelli determinati, nei due anni precedenti, dalla pandemia da COVID-19 [1]. La circostanza che la discontinuità, rispetto al passato, si sia prodotta in tempi rapidissimi – come vedremo i primi provvedimenti sono stati adottati all’indomani dell’inizio degli eventi bellici – conferma, ancora una volta, che l’Unione europea progredisce celermente nel suo processo di integrazione per lo più solo se sottoposta a eventi eccezionali e contingenti, in questo caso di gravità assoluta [2]. Nel caso specifico della guerra in Ucraina, la spinta verso l’adozione di decisioni, sotto molti profili senza precedenti, non può (e non deve) essere analizzata esclusivamente in una prospettiva politica, posto che il diritto resta un parametro di legittimità irrinunciabile e decisivo specialmente quando si agisce sotto l’incalzare degli eventi [3]. Le decisioni assunte via via dall’Unione europea, dall’inizio degli eventi bellici in poi, hanno riguardato ambiti tra loro differenti. In primo luogo, sono state adottate dall’Unione europea misure restrittive, aventi ad oggetto sanzioni di vario contenuto, nei confronti della Federazione russa e di enti e soggetti privati russi. Si tratta di provvedimenti in linea con quelli assunti nel 2014, a seguito della presa di controllo della Crimea da parte della Federazione russa, basati sul regolamento (UE) n. 269/2014, a sua volta fondato sull’art. 215 TFUE. Le recenti sanzioni sono decisamente più rilevanti rispetto a quelle esistenti e riguardano vari ambiti. In alcuni casi, esse investono profili finanziari, come quelle che hanno come conseguenza l’estromissione di alcune banche russe dall’accesso al circuito dei pagamenti internazionali SWIFT e intervengono sulle riserve di valuta, detenute all’estero, della Banca centrale della Federazione russa. Altre hanno per destinatari persone fisiche, a vario titolo implicate nell’apparato governativo della Federazione russa, a cominciare dal Presidente Vladimir Putin e dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov. Infine, e si tratta di una novità, alcune restrizioni intervengono per autorizzare la messa off-line dei siti e canali TV di media [continua ..]
La reazione dell’Unione europea all’aggressione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione russa è stata, per quanto concerne il sostegno militare, straordinariamente tempestiva [9]. Il 28 febbraio 2022, appena quattro giorni dopo l’inizio delle operazioni militari, è stata formalmente adottata la decisione (PESC) n. 2022/338 del Consiglio (di seguito, la decisione) [10] relativa a una misura di assistenza per la fornitura alle forze armate dell’Ucraina di materiale e piattaforme militari concepiti per l’uso letale della forza. Il giorno precedente la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa condotta insieme all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, aveva dichiarato: «Per la prima volta, l’Unione europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi e altre attrezzature a uno Stato che è sotto attacco». «Si tratta di un momento spartiacque», aveva aggiunto. I contenuti della decisione sulla fornitura di armi letali meritano particolare attenzione in considerazione delle implicazioni giuridiche, ad essi sottese, nell’immediato [11]. Iniziamo con l’osservare che la decisione in questione ha, con riferimento all’Ucraina, un precedente recente nella decisione (PESC) n. 2021/2135, assunta dal Consiglio il 2 dicembre 2021, che ha autorizzato il ricorso allo Strumento europeo per la pace (di seguito, SEP; in inglese European Peace Facility) per migliorare e rafforzare le capacità operative delle forze armate ucraine in «crises or emergency situations» [12]. Successivamente all’adozione della decisione, e precisamente il 23 marzo 2022 con decisione (PESC) n. 2022/471, è stato previsto un finanziamento per la fornitura di armi letali per un importo di ulteriori 450 milioni di euro [13]. Inoltre, va ricordato che la decisione del 28 febbraio 2022 è stata accompagnata dall’adozione della decisione (PESC) n. 2022/339, finalizzata alla fornitura di equipaggiamento protettivo per 50 milioni di euro, a cui sono stati aggiunti altri 50 milioni di materiale militare non letale a seguito della successiva decisione (PESC) n. 2022/472 del Consiglio del 23 marzo 2022. Il SEP, a cui si è attinto per finanziare la fornitura di armi letali e di [continua ..]
Passando ad analizzare le decisioni assunte dall’Unione europea con effetti non solo nell’immediato ma anche e soprattutto nei prossimi anni, corre l’obbligo di prendere in considerazione il recente documento strategico, intitolato “A Strategic Compass for Security and Defence”, noto anche come Strategic Compass o, in italiano, Bussola strategica (di seguito, Bussola strategica) adottato il 21 marzo 2022 dal Consiglio dell’Unione europea, nella composizione Affari esteri/difesa [23]. Tre giorni dopo, il 24 marzo, il Consiglio europeo ha, a sua volta, approvato la Bussola strategica. Sebbene l’adozione sia avvenuta a un mese dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina, la sua ideazione e successiva redazione sono, evidentemente, antecedenti [24]. Un attento lavoro di confronto sinottico tra la versione da ultima approvata e quelle precedenti, via via rese accessibili, consente di notare come il testo finale abbia risentito, e non poco, degli eventi bellici recentemente occorsi in Ucraina. L’incipit della Bussola strategica recita: «The return of war in Europe, with Russia’s unjustified and unprovoked aggression against Ukraine, as well as major geopolitical shifts are challenging our ability to promote our vision and defend our interests» e prosegue «The European Union is more united than ever. We are committed to defend the European security order (…) supporting Ukraine in facing Russia’s military aggression». In pratica, come scritto nel seguito a chiare lettere, «the more hostile security environment requires us to make a quantum leap forward and increase our capacity and willingness to act, strengthen our resilience and ensure solidarity and mutual assistance». La Bussola strategica è il frutto di un complesso negoziato portato avanti dall’Alto rappresentante Josep Borrell con l’ambizione di dettare la linea di sviluppo della difesa europea nei prossimi anni e così fino al 2030. Se l’adozione della Bussola strategica appare, per un verso, tempestiva rispetto a quanto da ultimo accaduto, per altro verso, rischia di non essere al passo con le esigenze imposte a seguito della guerra in Ucraina. Si osservi, a mero titolo di esempio, che la previsione di costituire una forza militare europea di pronto impiego, composta da 5.000 uomini, è, allo stesso tempo, innovativa, almeno per certi [continua ..]
Un aspetto della PSDC che ha destato a più riprese, non solo in occasione degli eventi della guerra in Ucraina, più di una perplessità riguarda l’assetto istituzionale di governance della difesa europea. Esso appare attualmente troppo articolato e inadatto a esprimere decisioni con la rapidità indispensabile rispetto alle situazioni di emergenza come quelle di un attacco armato. L’istituzione a cui è attualmente rimessa la facoltà decisionale è il Consiglio dell’Unione europea, nella composizione Affari esteri/difesa, che si avvale del Comitato politico e di sicurezza (COPS), il quale, a sua volta, agisce d’intesa, ma in realtà sotto la supervisione, del COREPER e fornisce pareri non vincolanti. Il COPS deve tenere in considerazione la posizione espressa, a seconda degli argomenti, dal Comitato per gli aspetti civili della gestione delle crisi (CIVCOM) e dal Comitato militare dell’Unione europea (CMUE), composto dai capi di Stato maggiore della Difesa degli Stati membri, a sua volta supportato dallo Stato maggiore dell’Unione europea (SMUE), ente formato da personale militare degli Stati membri, messo a disposizione dell’Unione, nonché dal Comitato per la capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC), costituito da personale sia civile sia militare e finalizzato a garantire maggiore cooperazione/coordinamento tra le strutture militari e civili della PSDC. Si tratta, come è evidente, di un meccanismo di funzionamento complesso e, comunque, subordinato alla necessità di contemperare gli interessi nazionali degli Stati membri che, il più delle volte, sono tutt’altro che coincidenti. Non può, d’altra parte, essere trascurata la sempre latente possibile sovrapposizione di ruoli di rappresentanza esterna riconducibile alle figure del Presidente del Consiglio europeo, dell’Alto rappresentante e del Presidente della Commissione europea quando entrano in gioco i temi qui presi in esame e, in particolare, quello della difesa. Come ampiamente noto, l’art. 15 TUE riserva al Presidente del Consiglio europeo la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell’Alto rappresentante. Questa previsione istituisce, tra le due figure istituzionali, sostanzialmente una suddivisione di tipo verticale di [continua ..]
Al momento in cui si scrive, molte incognite restano all’orizzonte e sarebbe velleitario ipotizzare scenari di cui è molto difficile cogliere anche solo i contorni. Di certo pare indispensabile che ogni successiva decisione di indirizzo, che sarà posta all’ordine del giorno del Consiglio europeo, e di scelte operative, che spetteranno al Consiglio dell’Unione nella composizione Affari esteri/difesa, siano vagliate con estrema attenzione, senza mai perdere di vista le implicazioni giuridiche e le conseguenze fattuali che essa potrebbe determinare. Questa necessità è ulteriormente rafforzata dalla circostanza che in materia PSDC il Parlamento europeo è, come noto, escluso dal processo decisionale e che le misure adottate sono sottratte al vaglio di legittimità garantito dalla Corte di giustizia, tanto più quando viene fatto ricorso, per consentire la fornitura di armamenti a uno Stato belligerante, a uno strumento finanziario extra-bilancio UE, quale il SEP. Due sono, a tale riguardo, le questioni delicate che già si sono manifestate e restano aperte. La prima questione attiene all’esigenza di non estendere ulteriormente il conflitto e di non accrescerne l’intensità. Il rischio che la guerra in Ucraina costituisca il potenziale innesco di un terzo conflitto mondiale si è dimostrato realistico. A questo riguardo, appare condivisibile il diniego opposto alla reiterata richiesta formulata dall’Ucraina, tanto alla NATO quanto all’Unione europea, di istituire una no-fly zone o, in subordine, di fornire aerei militari e/o armamento pesante di attacco. Una risposta positiva esporrebbe, infatti, gli Stati membri dell’Unione europea, attraverso la NATO, ad una escalation militare in cui il punto di arrivo, altamente probabile se non certo, sarebbe un conflitto prima convenzionale e, in un secondo momento, nucleare con esiti catastrofici per tutti gli Stati coinvolti (compresa l’Ucraina). Basti a tale proposito sottolineare che in base all’art. 6 del Trattato del Nord Atlantico, per attacco armato, agli effetti di attivare l’obbligo di difesa collettiva ai sensi dell’art. 5 del medesimo trattato, si intende un attacco armato non solo contro il territorio di una delle Parti contraenti ma anche contro le forze, le navi o gli aeromobili di una delle Parti contraenti. La fornitura di aerei militari all’Ucraina, in aggiunta [continua ..]
La tragica esperienza della guerra in Ucraina ha messo in evidenza tutte le debolezze ma anche l’imprescindibile esigenza di una difesa europea. La PSCD, tutt’oggi ancorata a un impianto tipicamente intergovernativo [36], resta prigioniera di un doppio paradosso che ne impedisce un reale sviluppo e una definitiva affermazione. La prima contraddizione in cui si dibattono, non da ora, i Governi degli Stati membri consiste nel mantenere in vita ed efficienti 27 forze armate nazionali, espressione di una sovranità individuale, e, contemporaneamente, nel tentare di dare vita a una difesa comune che, in ultima analisi, andrebbe a sostituire dette forze armate nazionali (con esclusione, almeno per ora, di quelle della Danimarca, la quale, come è noto, ha espresso la sua volontà, sulla base di quanto convenuto con il Protocollo n. 22 ai trattati, «di non partecipare all’elaborazione e all’attuazione di decisioni e azioni dell’Unione che abbiano implicazioni di difesa» [37] e con i distinguo e le deroghe che caratterizzano la posizione di Svezia, Finlandia, Austria, Irlanda e Malta). La seconda contraddizione è la diretta conseguenza dell’apparentemente inscindibile legame tra gli Stati membri dell’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. Più forte è l’alleanza, maggiore è la dipendenza e minore la prospettiva di una reale autonomia strategica, tale da poter dare vita a un’effettiva difesa europea. Questa tensione si avverte, in particolare, con riferimento alla dipendenza tecnologica e di armamento dei Paesi membri e l’Unione europea, nel settore militare, rispetto agli Stati Uniti. Così, in tempi di relativa pace globale, non si avverte la necessità di investire ingenti risorse economiche per fare progredire la tecnologia militare europea per renderla maggiormente autonoma, mentre in tempo di tensioni globali o addirittura di una guerra, si percepisce, a maggior ragione, la necessità per l’Europa di cercare, attraverso la NATO, la protezione degli Stati Uniti, abdicando preventivamente a ogni proposito di protagonismo e, quindi, di autonomia strategica in ambito globale e operativa sul campo. Questi due paradossi potranno eventualmente trovare soluzione solo attraverso un’intesa virtuosa tra la Francia e la Germania, i due soli Stati membri che possano davvero spostare gli [continua ..]