Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Sui rapporti tra giurisdizioni in Europa (di Antonio Tizzano, Professore emerito di Diritto dell’Unione europea, Università“La Sapienza” di Roma; già Vice-Presidente della Corte di Giustiziadell’Unione europea, Lussemburgo.)


Il lavoro esamina il problema dei rapporti tra le giurisdizioni in Europa, e in modo particolare quelli tra la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte costituzionale italiana. Dopo un periodo di relativa tranquillità, tali rapporti si sono complicati, in particolare a seguito di una sentenza della Corte costituzionale (n. 269/17), che ha preteso una sorta di monopolio di quella Corte nel trattamento delle questioni attinenti ai diritti fondamentali, anche riguardanti materie di rilevanza dell’Unione europea, ed ha quindi imposto ai giudici comuni di rinviare ad essa Corte costituzionale eventuali dubbi dilegittimità al riguardo.Successivamente laCorte ha attenuato tale giurisprudenza, riconoscendo la possibilità di rinviare la questione anche alla Corte di giustizia, sia prima che dopo il rinvio alla Corte costituzionale, ma la questione non sembra ancora del tutto chiarita. L’A. prende quindi le mosse da tale nuovo indirizzo per riesaminare la questione dei rapporti tra le due Corti in ordine alla protezione dei diritti fondamentali, ricordando i termini normativi e strutturali del sistema instaurato dai Trattati, che danno priorità alla Corte di Lussemburgo. Ma l’A. segnala altresì l’importan­za e l’utilità del dialogo tra le Corti per una soluzione più efficace e completa delle numerose e delicate questioni che possono sorgere in questa materia e si dichiara convinto che questo dialogo continuerà ed anzi si svilupperà ulteriormente.

Relationships between Courts in Europe

This paper analyses the convoluted relationship between European jurisdictions, in particular the Court of Justice of the EU and the Italian Constitutional Court. After a relatively quiet period, this relationship has become strained since judgment 269/17 of the Constitutional Court. This judgment tried to put the Constitutional Court in a “monopolistic position” with regard to fundamental rights cases. It required ordinary judges to refer any question regarding violations of fundamental rights to the Constitutional Court – even where they involve EU law. Subsequent case-law softened this requirement: it clarified that ordinary judges can refer such questions also to the Court of Justice, both before and after having referred them to the Constitutional Court. The matter is, however, still not fully resolved. This paper takes as a starting point this new line of case-law to assess the relationship between the Constitutional Court and the Court of Justice with respect to fundamental rights protection. In this context, it recalls the relevant legal and structural framework set out by the Treaties, which provide priority to the Luxembourg Court. At the same time, the paper emphasizes the importance of judicial dialogue to ensure better and more comprehensive solutions to the numerous delicate questions raised in this field, and supports the view that this dialogue will continue improving in the future.

Keywords

Court of Justice – Italian Constitutional Court – Fundamental rights – Preliminary ruling – Priority of referral – Judicial dialogue.

SOMMARIO:

I. Premessa. - II. Evoluzione della materia con l'adozione della Carta dei diritti fondamentali. - III. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale: la sentenza n. 269/2017. - IV. Segue: le sentenze nn. 20/2019 e 63/2019. - V. Considerazioni sul ruolo istituzionale della Corte di giustizia e sull'efficacia delle sue sentenze. - VI. La portata dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali e la loro definizione da parte della Corte di giustizia. Il ruolo - VII. La cooperazione tra le Corti nella definizione dei diritti sanciti dalla Carta. - VIII. Carattere sistemico della pluralità delle giurisdizioni competenti in materia di diritti fondamentali. - IX. Ruolo dei giudici nazionali e rapporti con la Corte di giustizia. - X. Considerazioni conclusive. - NOTE


I. Premessa.

Com’è noto, i rapporti tra le giurisdizioni in Europa, e in particolare tra la Corte di giustizia di Lussemburgo e le Corti costituzionali, sono molto intensi e si svolgono soprattutto grazie al dialogo che quelle giurisdizioni possono instaurare attraverso la c.d. competenza pregiudiziale della Corte di giustizia, una competenza – lo dico per i pochissimi che ancora non la conoscono – che permette ai giudici nazionali di sottoporre alla Corte di Lussemburgo questioni di validità e di interpretazione del diritto dell’Unione europea, ricevendone una risposta che non è vincolante solo per il giudice interrogante, ma produce effetti erga omnes. È pure noto che diffondere la pratica del rinvio pregiudiziale non è stata impresa del tutto agevole: non lo è stata in generale e non lo è stata neppure per l’Italia, vista la iniziale riluttanza dei giudici nazionali, specie della Corti superiori, a richiedere una valutazione di norme giuridiche ad un giudice impropriamente considerato come “terzo”, e non, al contrario, tutto interno all’orizzonte della nostra esperienza giuridica. Col tempo, però, i rinvii pregiudiziali sono diventati una pratica del tutto normale e diffusa per le giurisdizioni nazionali, quale che ne sia il grado o lo Stato di appartenenza; una pratica, va aggiunto, che, nonostante i problemi che il suo stesso successo ha accentuato, si svolge con piena soddisfazione da una parte e dall’altra. Di essi si sono avvalse anche numerose Corti costituzionali, inclusa la nostra, il cui esempio è anzi tanto più significativo se si considera che essa era la prima e per ora unica Corte che aveva dichiaratamente escluso di essere sottoposta all’obbligo di rinvio, sicché il suo cambiamento di rotta è stato salutato, anche per il prestigio di cui la Consulta gode in Europa, con particolare favore.


II. Evoluzione della materia con l'adozione della Carta dei diritti fondamentali.

Recentemente, tuttavia, la situazione ha registrato qualche novità soprattutto a seguito degli sviluppi intervenuti a livello europeo sul piano della normativa e della prassi relative alla tutela dei diritti fondamentali. Com’è ben noto, infatti, in questi ultimi anni, tale tutela ha subito una significativa evoluzione ed anche, per lo meno sul piano formale-istituzionale, un vistoso rafforzamento, perché più Corti e più Carte, le une e le altre sia europee che nazionali, concorrono, tutte, a detta tutela, e quindi occupano aree di competenza, in atto o in potenza, coincidenti. Per quanto riguarda le Corti, questo ha determinato il problema di definire il rapporto tra le stesse rispetto alla materia in questione o, se si vuole, di valutare come può funzionare e quali problemi (ma anche, benché se ne parli poco, quali vantaggi) potrebbero derivare da un sistema, come si dice con espressione oggi molto fortunata, anche se forse non del tutto appropriata, di tutela “multilivello” dei diritti fondamentali. Questione che, com’è ovvio, concerne anzitutto la Corte di giustizia, sia in modo diretto sia appunto nella triangolazione tra la stessa e le altre giurisdizioni che, seppure a titolo di­ver­so, potrebbero trovarsi investite, contestualmente o meno, di una questione che verte sulla tutela del medesimo diritto: segnatamente, la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito anche: Corte EDU o Corte di Strasburgo) e le Corti costituzionali. Ma oltre alle giurisdizioni potenzialmente competenti, si è anche accresciuto il numero dei testi ufficiali che si occupano della materia. Alle costituzioni e tradizioni costituzionali nazionali, difatti, si affiancano ormai non solo la Convenzione di Roma del 1950 per la salvaguardia dei diritti del­l’uo­mo e delle libertà fondamentali, ma anche la Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel dicembre 2000 e poi formalizzata, dieci anni dopo, con il Trattato di Lisbona. Segnalo peraltro, a questo proposito, che il principio della tutela dei diritti fondamentali era già penetrato da tempo nell’ordinamento giuridico dell’U­nione, grazie proprio alla giurisprudenza della Corte, a sua volta stimolata proprio dalle Corti costituzionali italiana e tedesca. Sulla pressione di tali Corti, che lamentavano la mancata considerazione dei diritti fondamentali da parte della [continua ..]


III. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale: la sentenza n. 269/2017.

Per un certo periodo, per la verità, tutto ha funzionato relativamente bene e le Corti hanno mostrato una tendenza ad evitare conflitti; e in questo, anche la Corte costituzionale italiana ha dato negli anni il suo contributo [1]. Poi però il peso delle enunciate difficoltà in materia di tutela dei diritti fondamentali ha cominciato a giocare un ruolo crescente. Lo provano in particolare, per limitarci alle vicende italiane, il noto caso Taricco I e Taricco II, reso complesso anche da molte specificità del caso concreto, ma risoltosi comunque formalmente con una soluzione “pacifica”, anche se qualche strascico è rimasto [2]. Ma quasi in contemporanea con la vicenda Taricco, un nuovo indirizzo ha preso l’avvio da parte della Corte costituzionale, a partire dalla ormai celebre pronuncia n. 269/2017, ed è parzialmente proseguito, per ora, con altre due più recenti pronunce: le sentenze 20/2019 e 63/2019 [3]. Com’è ben noto, nella prima di tali sentenze (269/2017) la Corte costituzionale ha inserito – intenzionalmente, perché in realtà non ve n’era alcuna necessità – un obiter dictum (punto 5.2 della sentenza), con il quale rivendica una sorta di monopolio dell’interpretazione dei diritti fondamentali e impone quindi alle giurisdizioni comuni di sottoporre ad essa Corte costituzionale eventuali dubbi su questioni attinenti ai diritti fondamentali, anche se in materie di rilevanza europea. E ciò – si dice – in conseguenza di alcune “trasformazioni” del diritto UE dopo il Trattato di Lisbona, «che, tra l’altro, ha attribuito effetti giuridici vincolanti alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (da ora: CDFUE), equiparandola ai Trattati (art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea)»(come ho detto poc’anzi, peraltro, tali “trasformazioni” erano avvenute ben prima della formalizzazione della Carta dei diritti fondamentali da parte del Trattato di Lisbona). «Fermi restando i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto del­l’Unione europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale, occorre prendere atto che la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell’Unione [continua ..]


IV. Segue: le sentenze nn. 20/2019 e 63/2019.

Questo obiter, com’è noto, ha suscitato molti interrogativi e anche vivaci polemiche, visto che sembrava segnalare un revirement nella giurisprudenza della Corte costituzionale, almeno per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali [4]. Contrariamente all’affermazione della Corte costituzionale, infatti, la Corte di giustizia ha sempre dichiarato che l’efficacia del diritto dell’Unione rischierebbe di essere compromessa se l’esistenza di un ricorso obbligatorio dinanzi alla Corte costituzionale potesse impedire al giudice nazionale, al quale è stata sottoposta una controversia regolata dal diritto dell’Unione, di esercitare la facoltà, attribuitagli dall’art. 267 TFUE, di sottoporre alla Corte di giustizia le questioni vertenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, al fine di consentirgli di giudicare se una norma nazionale sia o meno compatibile con quest’ultimo (v. sentenze citate). Si riapriva dunque nuovamente, sia pure in termini diversi, una questione Corte costituzionale/Corte di giustizia, superata più di 40 anni fa con la sentenza Simmenthal [5], ma poi anchecon la sentenza Granital [6]? Sembrava di sì, a giudicare dalle prime reazioni. Il nuovo orientamento della Corte ha avuto infatti l’effetto di creare una difficoltà per i giudici nazionali, che prima avevano una chiara indicazione da parte dei Trattati europei e d’improvviso si sono ritrovati in una situazione di incertezza. Lo prova la stessa prassi successiva all’obiter della Corte costituzionale, che ha visto i giudici comuni costretti a scegliere tra l’opzione di non seguirne le indicazioni, facendone valere la portata non obbligatoria e dando comunque prevalenza all’obbligo imposto dall’art. 267 TFUE (è il caso delle ordinanze di rinvio pronunciate dalla Corte di Cassazione n. 13778/2018 e 451/2019); oppure di adeguarsi ad esso, ma di chiedere al tempo stesso alla Corte costituzionale come dovevano regolarsi con le pretese del diritto dell’Unione europea (v. Cass. ord. n. 54/2018; 3831/2018). Devo dire tuttavia che l’obiter mi sembra essere stato di molto attenuato nelle successive e già ricordate sentenze n. 20/2019 e 63/2019. È vero che in esse la Corte fa comunque salvi i suoi precedenti e vanta inoltre il diritto ad avere la “prima parola” [continua ..]


V. Considerazioni sul ruolo istituzionale della Corte di giustizia e sull'efficacia delle sue sentenze.

Questa è dunque la situazione al momento. Devo confessare però che non so se in queste stesse ore la Corte costituzionale stia ulteriormente affinando la propria giurisprudenza, così come ha fatto proprio mentre scrivevo queste note, obbligandomi a qualche difficile equilibrismo. D’altra parte, non posso tentare di prevedere una giurisprudenza che credo sia in fase di assestamento. Mi limiterò quindi a considerare alcuni aspetti generali del problema, sotto il profilo più ampio dei rapporti tra le Corti in causa, e mettendomi ovviamente dal punto di vista del diritto dell’Unione europea. La prima osservazione che vorrei fare è che la Corte di giustizia deve assicurare, conformemente alla propria missione istituzionale, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto dell’Unione, e quindi anche della Carta dei diritti fondamentali, per quanto applicabile [8]. Essa, quindi, deve svolgere in questa materia il medesimo ruolo che svolge in tutti gli altri casi in cui esercita la propria competenza, ruolo che, com’è noto, carica la Corte di una straordinaria responsabilità ed è fondamentale, direi anzi addirittura qualificante per il sistema dell’Unione. Sottolineo questo punto, qui e una volta per tutte, perché spesso, nella foga della polemica su una pretesa vocazione monopolistica, se non “imperialistica” dei giudici del Lussemburgo, si tende a dimenticare che quel ruolo non è stato richiesto dalla Corte, ma che ovviamente ad esso la Corte non può, non deve e non vuole venir meno, essendo in ciò confortata anche dagli importanti sviluppi impressi al sistema da tutte le revisioni dei testi succedutesi in questi anni, a conferma della fiducia di tutti gli Stati membri nell’i­sti­tuzione giudiziaria dell’Unione. D’altra parte, proprio in ragione di quanto precede, ove sia stata adita e sia competente, la Corte non può neppure, in nome di esigenze per così dire diplomatiche, limitare la portata sostanziale e l’efficacia formale delle proprie pronunce. E ciò non solo perché tali pronunce hanno di regola i medesimi effetti vincolanti per tutta l’area di applicazione del diritto dell’Unione, ma perché la Carta non può avere una diversità di applicazione da Stato a Stato, senza tradire la sua [continua ..]


VI. La portata dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali e la loro definizione da parte della Corte di giustizia. Il ruolo

Quanto poi al rischio di attribuire ai diritti sanciti dalla Carta una portata “universalistica”, va segnalato che la Corte si è sempre sforzata di evitare tale rischio, malgrado le tentazioni e le sollecitazioni che, soprattutto nei primi anni successivi all’entrata in vigore della Carta, le venivano dalle stesse giurisdizioni nazionali. Essa, infatti, non ha attribuito alla Carta una portata per così dire illimitata, ma ne ha definito l’ambito di applicazione con riferimento a quello del diritto dell’Unione. In ossequio all’art. 51, par. 1, della Carta, la Corte di giustizia si è così tenuta al principio secondo cui è quel diritto a delimitare la sfera di applicazione della Carta, e non il contrario, evitando in tal modo che quest’ultima potesse diventare il cavallo di Troia per una surrettizia estensione delle competenze dell’Unione e quindi anche di quelle della stessa Corte. Del resto, in questa materia la Corte non può non dare prova della massima discrezione nell’esercizio del ruolo che le è proprio. Essa deve infatti tenere ben presente che a trovarsi in prima linea sono qui le corti costituzionali nazionali e la Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno in tutto o in parte la loro ragion d’essere proprio nella tutela dei diritti fondamentali. Ora, se si analizza attentamente la giurisprudenza della Corte, si vedrà che nella materia de qua la Corte è stata meno assertiva di quanto non sia rispetto alla tutela delle libertà sancite dai Trattati, consapevole del fatto che di regola per la tutela dei diritti fondamentali essa non ha la stessa competenza esclusiva, il ruolo di ultimo e definitivo interprete delle relative disposizioni, dovendo contemperare le proprie valutazioni, come previsto del resto dalla stessa Carta (art. 52), con i valori, i principi e le tradizioni costituzionali degli Stati membri e con le disposizioni della CEDU, e quindi anche con le valutazioni delle giurisdizioni che presidiano al rispetto degli uni e delle altre. Certo, tra le migliaia di sentenze della Corte può esserci qualche passaggio debole o non convincente, ma l’indirizzo di fondo sembra chiaro e non si presta ad equivoci. Non mi pare quindi giustificato il timore di una espansione eccessiva delle sfere di intervento della Corte europea attraverso un’interpretazione in termini [continua ..]


VII. La cooperazione tra le Corti nella definizione dei diritti sanciti dalla Carta.

Detto questo in termini generali e di principio, non v’è dubbio che la soluzione più ragionevole sia che la Corte costituzionale possa chiedere ai giudici comuni di valutare, per le ragioni da essa stessa indicate nell’obiter dictum, se rinviare alla Corte di Giustizia o alla Corte Costituzionale, restando comunque inteso che in ogni caso al giudice comune resta la facoltà/ob­bligo di rivolgersi alla Corte di Giustizia, anche se ha preliminarmente optato per la Corte Costituzionale. Si tratta di una soluzione che favorisce un’apertura al dialogo, oltre che più conforme agli obblighi imposti dai Trattati europei e da una prassi ormai ultra-sessantennale. Essa mi sembra anche più conforme alla natura delle situazioni in campo, nonché dei rapporti tra le Corti in Europa. In effetti, nella materia in esame le eventuali divergenze tra le Corti si riferiscono di regola alla definizione di un diritto fondamentale e alla qualità della sua protezione, e quindi ad un problema di precisazione del contenuto e della portata dei valori protetti. Ad essere qui in causa cioè, più ancora dei rischi di conflitti formali tra norme e/o istituzioni giudiziarie, sono i rischi di conflitti tra e su principi e valori. Orbene, poiché nessuno può considerarsi, per definizione, depositario dei “migliori valori”, ciò che conta qui, più che “chi” abbia titolo per dire la prima o l’ultima parola, conta piuttosto come dire (o… cercare di dire) la “migliore” parola. E questo implica di regola uno sforzo comune per ricercare una definizione condivisa dei valori in questione, o per conciliare eventuali disarmonie tra valori diversi, ma in principio suscettibili a pari titolo d’essere protetti. Ciò tanto più che la reale portata di questi valori, così come la definizione della loro reciproca compatibilità, non sempre emerge con chiarezza dai testi. I principi proclamati dalle costituzioni, come quelli della CEDU, e della Carta, presentano in effetti, al pari di quasi tutti i documenti della stessa natura, una formulazione assai generale, e talvolta perfino generica. Inoltre, essi non possono dirsi scolpiti nel marmo, perché la loro effettiva portata resta tributaria dei cambiamenti e delle evoluzioni del sistema (non solamente giuridico) nel quale si inseriscono. Com’è [continua ..]


VIII. Carattere sistemico della pluralità delle giurisdizioni competenti in materia di diritti fondamentali.

D’altra parte, credo che gli sviluppi che ho prima segnalato sulla pluralità delle istanze giurisdizionali non siano intervenuti per caso o comunque senza un preciso disegno, ma siano il frutto di una scelta consapevole, l’espressione di una qualche razionalità del sistema, che li ha prodotti come risposta, non necessitata ma comunque legittima e giustificata, ad una specifica, oggettiva esigenza dello stesso sistema. Personalmente sono convinto, e non da oggi, che i vari “pezzi” di questo puzzle non siano lì per vivere e operare in modo isolato, ma che si configurino nel loro insieme come un sistema, un quadro organico e razionale, volto ad arricchire la protezione dei diritti fondamentali a più livelli e ad avvalersi a tal fine degli apporti della pluralità delle istanze giurisdizionali e dei sistemi giuridici coinvolti. E ciò grazie, per l’appunto, ad una “rete” giurisdizionale europea che favorisca, da parte delle diverse istanze interessate, una partecipazione più ampia, più aperta e più attenta alla dimensione europea di quella tematica, come pure confronti e riflessioni comuni sui problemi, in fondo assai simili, che dette istanze incontrano. Se è vero che, come spesso ed efficacemente si dice, in materia di diritti fondamentali tutti i giudici coinvolti guardano la stessa montagna, ma da punti di osservazione diversi, è però anche vero che comune resta l’obiet­tivo, se non di uniformare i punti di osservazione, almeno di avvicinare i metodi e quindi i risultati dell’osservazione, sapendo che tutti hanno o dovrebbero avere le stesse preoccupazioni e la stessa finalità. Se così è, la descritta situazione deve essere analizzata in questa prospettiva, e segnatamente in coerenza con la logica di un sistema che, per il fatto stesso d’essere articolato su una pluralità di giurisdizioni, non può che ispirarsi ad una dinamica di collaborazione e di convivenza tra le stesse. Ed è in questo senso che deve essere intesa, a mio avviso, la ricorrente evocazione della necessità di un dialogo, di una cooperazione, di una collaborazione, dell’ascolto, ecc. tra le varie corti, evocazione che non vuole essere una banale esortazione retorica alle stesse a mostrare una qualche buona volontà reciproca e ancor meno un artifizio dialettico per eludere o [continua ..]


IX. Ruolo dei giudici nazionali e rapporti con la Corte di giustizia.

Mi pare del resto incontestabile che l’atteggiamento aperto e dialogante della Corte di cui si è detto in precedenza, è confortato da una prassi e da un indirizzo che essa ha maturato in decenni di cooperazione con le giurisdizioni nazionali, una cooperazione che si iscrive per definizione nel quadro di un sistema integrato e nel quale, quindi, in una logica, interattiva e non gerarchica, di apporti reciproci, si è cercato da entrambi i versanti di assicurare il pieno rispetto e l’efficace applicazione del diritto dell’Unione. A perseguire queste finalità concorrono, infatti, a pari titolo sia la Corte che i giudici nazionali, perché se la definizione del principio di diritto è riservato dai Trattati alla Corte, sono i giudici nazionali che, oltre a promuovere l’intervento della Corte, devono poi farsi carico delle modalità e delle condizioni di applicazione di quel principio, a dover cioè concretamente immetterlo nell’ordinamento di appartenenza. E questa solo molto di rado costituisce una mera operazione meccanica, che vede il giudice nazionale in un ruolo per così dire notarile o di puro esecutore. Solo una visione schematica e riduttiva del rapporto tra le giurisdizioni in campo potrebbe autorizzare una simile conclusione e indurre a pensare che quel rapporto si esaurisca nella supina acquiescenza al responso di una fonte superiore o speciale, alla quale cedere automaticamente il passo. In realtà, anche se si ritiene che il diritto dell’Unione, e con esso le sentenze della Corte, prevalgono sulle norme e le decisioni nazionali, non si è ancora esaurita la problematica del rapporto tra le competenze normative e soprattutto giurisdizionali in campo. Al contrario, si è solo conclusa la fase forse più semplice di quel rapporto, perché successivamente può essere richiesto, in relazione alle circostanze del caso, un ruolo attivo del giudice nazionale che deve calare il principio enunciato dalla Corte nello specifico processo, cercando di coordinarlo con i principi del proprio ordinamento e, all’oc­cor­renza, di risolvere i problemi che possono emergere da tale trasposizione in un sistema complesso, che ha i propri principi, le proprie regole e i propri meccanismi di funzionamento. È evidentemente in questa sede che possono emergere divergenze o anche autentici contrasti tra le pretese del [continua ..]


X. Considerazioni conclusive.

A titolo di conclusione, dirò solo che tutta la prassi della Corte di giustizia mostra segni inequivoci della sua volontà di ricercare punti di convergenza tra le diverse istanze giurisdizionali per assicurare l’armonia e gli equilibri nelle relazioni reciproche, senza alcuna pretesa di monopolio o di priorità gerarchiche. Ma analoga reazione si registra in tutte o quasi le Corti supreme degli Stati membri e nella stessa Corte di Strasburgo, che sembrano ugualmente ispirarsi, in larghissima misura, ad una prassi di apertura e di “leale collaborazione”, per operare in conformità con la razionalità, la coerenza e l’evoluzione del sistema. Come dimostra l’esperienza di questi decenni, pur essendo ciascuna legata ad un principio identitario e rispettosa della coerenza intrinseca del proprio sistema giuridico, esse si sforzano tutte, o quasi, di operare nella direzione indicata. Non è un caso, del resto, che in questo clima siano state create negli ultimi anni una serie di strutture associative tra i diversi livelli e ordini di giurisdizioni degli Stati membri, che, del tutto impensabili ancora poco tempo fa, costituiscono ormai istanze molto utili per scambiare esperienze e per confrontare esigenze e difficoltà comuni, ma anche per dibattere con franchezza i problemi derivanti dalla loro coesistenza. Questa sorta di “rete” giudiziaria si presta, come ho già detto, a garantire una giustizia costituzionale europea più ampia e robusta, e con essa lo sviluppo di un corpus di diritti e di principi, arricchito dagli apporti reciproci dei sistemi interessati e suscettibile di alimentare, grazie anche all’apporto dell’elaborazione dottrinale, quel «patrimonio costituzionale comune», chia­mato a formare l’essenza stessa dell’identità europea. Questo processo di osmosi di valori giuridici, che funge evidentemente da autentico e potente fattore d’integrazione e rappresenta senza dubbio uno dei risultati più concreti e più importanti della costruzione europea, è favorito proprio dalla peculiarità del sistema dell’Unione, che ha vocazione ad operare anche e soprattutto all’interno delle strutture giuridiche degli Stati membri, con ciò obbligando al confronto, ma anche alla convivenza e alla ricerca della massima compatibilità reciproca, tutti i sistemi in [continua ..]


NOTE