Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Sui rimedi per violazione del principio di non discriminazione: in margine alla sentenza della Corte di giustizia nel caso Gérard Buono (di Aurora Rasi)


The identification of remedies capable to restore equality, after that a breach of the principle of non-discrimination has occurred, is a controversial issue in general theory of law. In dealing with this issue, in a consistent case law, the ECJ tends to identify which are the measures that, in a system of rules, establish an unreasonable treatment for a certain class of situations and, then, proclaims the invalidity of such measures only. This approach was also adopted by the ECJ in its recent decision in joint Cases C-12/13 P e C-13/13 P, Gérard Buono. Such classical scheme of analysis, however, seems to be applicable only when certain pre-conditions are at stake: in particular, this is when there is the possibility to construe the rule establishing a discriminatory treatment as an exception to the otherwise uniform beneficial treatment established by another rule. In the absence of these pre-conditions, such a scheme reveals a number of theoretical and practical shortcomings.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. La vicenda alla base della controversia - III. Violazione del principio di non discriminazione e invalidità parziale nella giurisprudenza della Corte di giustizia - IV. I presupposti dell’invalidità parziale - V. Considerazioni conclusive - NOTE


I. Introduzione

Il problema di determinare la portata dell’invalidità di una normativa per violazione del principio di non discriminazione è uno dei problemi storici dei sistemi di judicial review. Dato che il principio di eguaglianza ingenera, per natura, un giudizio relazionale fra due regimi normativi e fra le situazioni fattuali che essi governano, la conseguenza più logica della sua violazione dovrebbe esser data dalla cancellazione dall’ordinamento giuridico dell’intero sistema normativo discriminatorio. Solo allorché il giudice riesca, evidentemente per ricorso ad altre operazioni interpretative, ad individuare, fra due regimi differenziati, la norma o il frammento normativo più idoneo a disciplinare la propria fattispecie, si potrebbe ritenere che egli sia legittimato ad invalidare solo l’altra norma, o l’altro frammento normativo, che stabilisce, per una situazione analoga, un regime giuridico “deviante”. Il medesimo schema logico dovrebbe corrispondentemente valere qualora un sistema normativo complesso tenda non già a produrre discriminazioni, quanto piuttosto a stabilire artificialmente un regime uniforme per situazioni che siano, tra loro, differenziate. Il problema si è recentemente riproposto nella giurisprudenza europea. Chiamate a definire più giudizi vertenti sulla interpretazione della medesima normativa, la quale era stata già ritenuta incompatibile con il principio di non discriminazione da parte della Corte di giustizia [1], il Tribunale e la Corte di giustizia stessa hanno adottato soluzioni tra loro differenti. Il Tribunale ha ritenuto, verosimilmente in ragione della difficoltà di individuare la soluzione normativa più appropriata nell’ambito di un atto dell’Unione che stabiliva un trattamento differenziato per situazioni identiche, che l’intero atto fosse travolto dalla dichiarazione di invalidità per violazione del principio di non discriminazione [2]. La Corte di giustizia, invece, con una pronuncia resa dalla grande sezione il 14 ottobre del 2014, ha ritenuto che il precedente accertamento di invalidità non concernesse l’intero atto ma che, al contrario, esso fosse limitato alla sola norma “deviante” [3]. La complessità della questione deriva dalla circostanza che le tre pronunce concernevano giudizi tra loro distinti, in ciascuno dei quali, [continua ..]


II. La vicenda alla base della controversia

 L’oggetto di attenzione delle varie pronunce è dato dal regolamento della Commissione del 12 giugno 2008, n. 530 (d’ora in avanti, “il regolamento n. 530”) [4]. Esso ha stabilito la cessazione della campagna di pesca del 2008 per ragioni di carattere ambientale, connesse alla tutela dello stock di risorse della pesca. Peraltro, il regolamento stabiliva dies a quo per la cessazione del­l’attività di pesca in maniera differenziata sulla base della nazionalità dei battelli. L’art. 1 del regolamento stabiliva che, per le tonniere battenti la bandiera della Grecia, della Francia, dell’Italia, di Cipro e di Malta, il divieto sarebbe entrato in vigore il 16 giugno 2008; l’art. 2 prevedeva, invece, che tale divieto entrasse in vigore a partire dal 23 giugno 2008 per le tonniere battenti bandiera spagnola. Proprio in ragione di tale trattamento differenziato, la Corte di giustizia, con sentenza del 17 marzo 2011, pronunciandosi nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato da un giudice maltese, aveva accertato l’illegittimità del regolamento [5]. Si legge nel dispositivo che «(i)l regolamento n. 530/2008 è invalido nei limiti in cui (…) i divieti da esso sanciti prendono effetto a partire dal 23 giugno 2008 per quanto riguarda le tonniere con reti a circuizione battenti bandiera spagnola, o registrate in tale Stato membro, e gli operatori comunitari che hanno concluso contratti con esse, mentre tali divieti prendono effetto a partire dal 16 giugno 2008 per le tonniere con reti a circuizione battenti bandiera maltese, greca, francese, italiana, nonché cipriota, oppure registrate in questi Stati membri, e per gli operatori comunitari che hanno concluso contratti con esse, senza che questa differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata» [6]. Pochi mesi dopo tale pronuncia, nell’ambito di un ricorso per invalidità in relazione all’art. 1, regolamento n. 530, il Tribunale dichiarava, con ordinanza, il non luogo a provvedere, considerando che l’invalidità della norma era già stata dichiarata dalla Corte di giustizia nel caso AJD Tuna [7]. Su richiesta della Commissione, il Tribunale, inoltre, si pronunciava espressamente sulla portata della dichiarazione di invalidità emessa dalla Corte nel 2011. La Commissione, difatti, riteneva che la [continua ..]


III. Violazione del principio di non discriminazione e invalidità parziale nella giurisprudenza della Corte di giustizia

La soluzione adottata nella sentenza Gérard Buono, non è invero senza precedenti. Essa, anzi, sembrerebbe fondarsi su di una giurisprudenza sufficientemente consolidata della Corte di giustizia. Sovente, infatti, la Corte di giustizia ha ritenuto di poter identificare, in un sistema normativo complesso, la norma che direttamente genera la discriminazione, la cui eliminazione sia capace di produrre, quindi, una situazione conforme al principio di eguaglianza. Conviene seguire, ancorché sulla base di esempi tratti da una prassi molto ampia, il ragionamento seguito in tali casi. In tale ricca giurisprudenza si possono invero individuare taluni elementi comuni. Un primo elemento ricorrente è la coesistenza di due discipline normative interessanti situazioni analoghe, l’una discriminatoria rispetto all’altra. Da un punto di vista terminologico, è possibile osservare come, spesso, una delle due sia qualificata come la disciplina “di svantaggio”, ovvero “sfavorevole”, evidentemente paragonandola all’altra normativa ritenuta, invece, “di vantaggio” [14]. Questi caratteri, nella prassi recente, possono essere riscontrati a titolo esemplificativo nel caso Małgorzata Nierodzik, concernente profili di diritto del lavoro [15]. La Corte di giustizia constatava come, nel diritto nazionale polacco, vigessero due differenti discipline normative aventi ad oggetto il termine di preavviso da garantire al lavoratore in caso di licenziamento, l’una rivolta ai lavoratori assunti a tempo determinato, l’altra destinata alla generalità dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. La prima prevedeva un termine di preavviso prestabilito di due settimane, la seconda invece prevedeva che il termine di preavviso venisse computato in base alla anzianità di servizio maturata dal lavoratore [16]. La Corte individuava quindi, tra le due, una disciplina meno vantaggiosa, la quale poneva in “una situazione sfavorevole” i lavoratori a tempo determinato [17]. Un secondo elemento, frequentemente rilevabile, pare potersi ravvisare nella tendenza della Corte ad identificare l’origine della discriminazione non nell’in­tero sistema normativo, bensì nella sola norma, ovvero nel solo frammento normativo, che disciplini le situazioni già indicate come “di svantaggio”. Nel [continua ..]


IV. I presupposti dell’invalidità parziale

Tutti questi elementi, a ben vedere, presentano un fondamento comune. Tutti, invariabilmente, si fondano sulla possibilità di identificare, nella normativa discriminatoria, una regola come regola di carattere generale, rispetto alla quale l’altra assuma il carattere di eccezione. Nel caso già menzionato Leopold Schmitzer, ad esempio, vi era la regola generale dell’avanzamento nei livelli professionali ogni biennio, e del pari sussisteva la previsione dell’avanza­mento, solo per taluni, trascorso un quinquennio, la quale si poneva in rapporto di eccezione rispetto alla norma generale [30]. Similmente, nel caso Małgorzata Nierodzik, veniva rilevata la regola generale che prevedeva il computo del preavviso in caso di licenziamento sulla base della anzianità di servizio del lavoratore ed, al contempo, una norma eccezionale la quale stabiliva, solo per taluni lavoratori, un termine di preavviso predeterminato [31]. Sulla base di questa analisi, pur sommaria, non appare irragionevole avanzare una ipotesi ricostruttiva: laddove sia possibile ricostruire le due norme contenenti una disciplina differenziata in un rapporto del tipo “norma generale – eccezione”, il giudizio di non discriminazione dovrebbe avere come esito naturale l’espunzione dall’ordinamento della norma eccezionale, la quale, cioè, determini un trattamento ingiustificatamente derogatorio rispetto alla norma generale. La legittimità del regime eccezionale andrebbe, quindi, valutata attraverso il diaframma costituito dal principio di eguaglianza. Qualora la disciplina eccezionale non risultasse compatibile con il principio di eguaglianza, essa dovrebbe venire abrogata. Per tal via, tutte le situazioni fattuali governate dalla disciplina eccezionale, verrebbero, ipso facto, a trovarsi sottoposte alla regola generale. L’attuazione di tale processo presuppone, logicamente ancor prima che giuridicamente, il ricorrere di due condizioni: che i diversi elementi che compongono l’atto normativo siano separabili tra loro; che la caducazione di taluni elementi normativi non alteri la sostanza dell’atto normativo generale. A ben vedere, tali requisiti sono i medesimi che debbono aversi affinché sia possibile l’annulla­mento parziale di un atto normativo [32]. Invero l’Avvocato generale Trstenjak, nelle sue Conclusioni nel [continua ..]


V. Considerazioni conclusive

L’applicazione di tale modello al caso del regolamento n. 530 solleva però una serie di problemi applicativi, derivanti, essenzialmente, dalla particolare struttura del rapporto normativo che intercorre fra le due disposizioni che lo compongono. La sentenza Gérard Buono tende, invero, a ricostruire il divieto di cui all’art. 2, regolamento n. 530 come una norma eccezionale rispetto al trattamento uniforme disposto dall’art. 1. È possibile leggere, nella sentenza in com­mento, che la pronuncia resa nel caso AJD Tuna ha dichiarato invalido tale regolamento solo nei limiti in cui «le tonniere con reti a circuizione battenti bandiera spagnola hanno beneficiato di una settimana di pesca in più, pur mantenendo la validità della data di entrata in vigore del divieto fissata per le altre tonniere, ossia il 16 giugno 2008» [34]. A ben guardare, questa soluzione non pare del tutto convincente. Il regolamento n. 530 è, infatti, composto sostanzialmente da due norme. Come già osservato, l’art. 1 stabilisce che la pesca al tonno rosso, in determinate aree e realizzata con determinate modalità, è proibita alle tonniere battenti la bandiera della Grecia, della Francia, dell’Italia, di Cipro e di Malta, o immatricolate in tali Paesi, a decorrere dal 16 giugno 2008. L’art. 2 sancisce, invece, che la pesca del tonno rosso, nelle medesime aree e con le medesime modalità di cui all’art. 1, è vietata alle tonniere battenti la bandiera della Spagna, o immatricolate in tale Paese, a decorrere dal 23 giugno 2008. Il regolamento n. 530 contiene, quindi, due divieti, dal contenuto analogo, eppure indirizzati a destinatari diversi ed aventi dies a quo differenti. Pare dunque difficile ricostruire le due norme secondo il rapporto “norma generale-eccezione”, presupposto essenziale della giurisprudenza osservata in precedenza. Vero è che, da un punto di vista quantitativo, il numero dei pescatori che hanno diritto al trattamento previsto dall’art. 2 del regolamento dovrebbe essere notevolmente inferiore rispetto a quello dei pescatori ai quali si indirizza l’art. 1. Per questo aspetto, quindi, si potrebbe essere tentati di qualificare l’art. 2 del regolamento come una disposizione eccezionale rispetto al trattamento, quantitativamente generale, disposto dall’art. [continua ..]


NOTE