Partendo da un inquadramento del principio di certezza del diritto sia nella teoria del diritto che negli ordinamenti interni, lo studio analizza la giurisprudenza della Corte di giustizia in cui il principio è menzionato o implicitamente applicato, al fine di individuarne la funzione nell’ordinamento UE, nonché il suo contributo allo sviluppo del sistema. Se, in un primo tempo, il principio è stato impiegato dalla Corte per porre un limite alla discrezionalità delle Istituzioni al fine di assicurare la stabilità degli atti nel tempo e la tutela del legittimo affidamento, successivamente è stato configurato come un parametro per i decision makers comunitari e nazionali nella redazione degli atti, nonché per i giudici comunitari e nazionali nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme. La certezza del diritto è divenuta così uno strumento per la costruzione e l’evoluzione della “Comunità di diritto”. Successivamente, nell’intento di contribuire alla realizzazione del mercato interno, la Corte ha applicato il principio di certezza del diritto come parametro dell’effettività dei sistemi nazionali. E, al fine di garantire che i principi dello Stato di diritto, riconosciuto dal Trattato di Amsterdam come un fondamento dell’Unione, fossero applicati sia sul piano interno che su quello europeo, la Corte ha affermato la necessità di assicurare la certezza del diritto in altri settori, come il diritto penale e la PESC. Dopo che il Trattato di Lisbona ha riconosciuto vincolatività alla Carta dei diritti fondamentali, la certezza del diritto si è sempre più identificata con la certezza dei diritti. E, di fronte alle rivendicazioni delle Corti costituzionali nazionali del loro ruolo di principali garanti dei diritti, la Corte di giustizia ha attribuito efficacia diretta a taluni principi contenuti nella Carta. Così il dialogo tra le corti, tramite il rinvio pregiudiziale, appare il metodo più efficace per il superamento della frammentazione e, di conseguenza, dell’incertezza strutturale del sistema europeo.
Putting the principle of legal certainty within the framework of legal theory and within the national legal orders, the study analyses the case-law of EU Court of Justice where the principle is mentioned or implicitly applied to verify its function within the EU legal order and its contribution to the system development. If, in the first time, the principle has been applied by the Court to limit the Institution’s discretion with the aim to assure the stability of the acts during the time and the protection of legitimate expectations, after it has been conceived as a parameter the national and EU decision makers have to respect in the act redaction, and the national and EU judges have to apply in the norm interpretation and application. So, the legal certainty became an instrument for the building and evolution of the European system ad a “Community based on the rule of law”. Later, to the extent to contribute to the internal market realization, Court of Justice applied the legal certainty principle as a parameter of the effectiveness of national legal systems. And, to the end to assure that the principles of rule of law, acknowledged by the Treaty of Amsterdam as an EU foundation, were applied on the internal and EU level, the Court of Justice affirmed the necessity to ensure the legal certainty in other sectors, as the criminal law and the EFSP. When the Treaty of Lisbon acknowledged the binding force of the Charter of Fundamental Law, the legal certainty was identified with the certainty of rights. And, facing the national Constitution Courts’demand to be considered the principal right guarantor, the Court of Justice conferred direct effect to some Charter principles. So, the dialogue between courts, through the preliminary ruling, appears the more effective instrument to overcome the fragmentation and, consequently, the EU system structural uncertainty.
KEYWORDS
Legal Certainty – Stability – Legitimate Expectations – Clarity – Rule of Law – Effectiveness – Certainty of Rights – Direct Effect – Dialogue between Courts – Preliminary Ruling.
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I. Introduzione. - II. La certezza del diritto come limite alla discrezionalità delle Istituzioni: la stabilità degli atti nel tempo. - III. (Segue). La ridefinizione della relazione con il legittimo affidamento - IV. (Segue). Parametro nella redazione, nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme. - V. Il principio di certezza del diritto come parametro dell’effettività del sistema di tutela multilivello - VI. Considerazioni conclusive.
Il principio di certezza del diritto costituisce, come è noto, un caposaldo degli ordinamenti giuridici. Ma, a fronte dell’importanza quasi “dogmatica” del principio, la sua portata e la sua natura sono tutt’altro che scontati. Dal punto di vista del suo inquadramento teorico, la dottrina si è attestata su posizioni diverse [1]. Per i giuspositivisti, la certezza del diritto era intesa come conoscibilità e prevedibilità delle norme giuridiche e, come tale, costituiva una qualità oggettiva dell’ordinamento giuridico [2]. Per i normativisti, invece, essa consisteva nella possibilità di conoscere ex ante i limiti dell’esercizio legittimo del potere coercitivo. Intesa in questi termini, la certezza del diritto non è una caratteristica immanente dell’ordinamento ma un obiettivo [3]. A fronte di sistemi giuridici sempre più complessi, composti da fonti eterogenee (nazionali, internazionali, sovranazionali, transnazionali) [4] e caratterizzati da incertezza strutturale, secondo la dottrina contemporanea, la certezza del diritto costituisce un ideale che deve essere realizzato nell’ordinamento e, a tal uopo, un ruolo fondamentale spetta all’interprete [5]. Quanto alla giurisprudenza, essa ha dato un diverso rilievo al principio [6]. Nell’ordinamento tedesco, ad esempio, il Bundesverfassungsgericht gli ha riconosciuto rango costituzionale e lo ha utilizzato per garantire la stabilità dell’ordinamento giuridico e la prevedibilità dell’azione statale. Nell’ordinamento spagnolo, dove è espressamente citato dalla Costituzione [7], la giurisprudenza ne ha fatto ampia applicazione – congiuntamente ai principi di buona fede e di tutela dei diritti acquisiti – soprattutto nell’ambito del diritto amministrativo. Negli ordinamenti francese e italiano il principio, pur non essendo sancito nelle Costituzioni, è stato largamente applicato dai giudici soprattutto nell’ambito del diritto amministrativo, con particolare riferimento all’irretroattività e all’intangibilità degli atti [8]. Infine, nei sistemi di common law la certezza del diritto, benché non esplicitamente riconosciuta come principio generale, costituisce la ratio [continua ..]
L’esigenza di salvaguardare la certezza del diritto è emersa, in primo luogo, in ambito CECA, in riferimento al potere dell’Alta Autorità di revocare con effetto retroattivo un atto illegittimo a portata individuale. In merito, la Corte di giustizia ha sottolineato che «il principio della certezza del diritto, per quanto importante sia, non va applicato in modo assoluto, ma in concomitanza col principio di legalità. La decisione se l’uno o l’altro di detti principi debba prevalere nel caso singolo dipende dal confronto fra l’interesse pubblico e gli interessi privati in contrasto, ossia, da un lato, l’interesse dei beneficiari, cioè il fatto che essi potevano in buona fede ritenere di non dover pagare contributi sul rottame … e potevano amministrare le loro aziende confidando nella stabilità di tale situazione, d’altro lato, l’interesse della Comunità, il quale consiste nel regolare funzionamento del meccanismo di perequazione … interesse il quale impone di evitare che gli altri contribuenti sopportino in via definitiva le conseguenze patrimoniali di esenzioni illegittimamente concesse a loro concorrenti» [14]. Emerge fin dalla prima sentenza l’identificazione tra certezza del diritto e stabilità delle norme nel tempo e un legame tra questa esigenza e la necessità di tener conto delle legittime aspettative dei soggetti interessati che hanno operato in buona fede. Ed in questa prospettiva la Corte ha sottolineato l’importanza del “fattore tempo”, ed in particolare che la revoca debba avvenire “in un termine ragionevole” [15]. E anche dopo aver evocato «il principio fondamentale di certezza giuridica – norma giuridica da osservarsi nell’applicazione del trattato – ...» [16], la Corte ha evidenziato la necessità di bilanciare la certezza del diritto con altre esigenze ed interessi rilevanti. Così, a suo avviso, nell’elaborazione di taluni meccanismi finanziari istituiti per salvaguardare l’equilibrio del mercato, l’Alta Autorità deve tener conto della realtà economica alla quale essi sono applicati «affinché gli scopi perseguiti siano raggiunti nel modo migliore e col minimo sacrificio possibile per le imprese partecipanti; questa esigenza di giustizia va tuttavia [continua ..]
(Segue). Se nelle prime pronunce la Corte aveva applicato il principio della certezza del diritto e quello del legittimo affidamento in maniera congiunta, successivamente essa ha affermato che «benché, in linea di massima, il principio della certezza delle situazioni giuridiche osti a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione, una deroga è possibile, in via eccezionale, qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato». Sembra, quindi, che i due principi abbiano assunto una funzione antitetica: il primo tenderebbe a privilegiare una concezione evolutiva e dinamica del diritto, mentre il secondo mirerebbe alla staticità e alla cristallizzazione delle situazioni consolidate [22]. Tuttavia, nella sentenza Salumi del 1981, relativamente al problema dell’irretroattività delle norme, la Corte ha richiamato entrambi i principi sottolineando che «le norme comunitarie debb[o]no presentare caratteri di chiarezza e prevedibilità per gli amministrati» [23]. E che la stabilità degli atti sia il reale obiettivo di entrambi i principi emerge con evidenza dalla sentenza Consorzio Cooperative d’Abruzzo del 1987 [24]. In tale pronuncia, motivi di certezza del diritto inducono la Corte ad evidenziare che la revoca di un atto inesistente può avvenire solo in caso di “vizi gravi ed evidenti” [25], in mancanza dei quali l’atto non può essere qualificato come inesistente, ma al più come illegittimo. E, anche in tale ultimo caso, la revoca non è scevra da condizioni: essa, infatti, «deve avvenire entro un termine ragionevole e … tenuto conto della misura in cui la ricorrente ha potuto eventualmente fare affidamento sulla legittimità dell’atto» [26]. I due principi, quindi, concorrono a configurare la revoca di un atto viziato come una soluzione eccezionale, cui ricorrere solo quando non leda la stabilità del sistema nel complesso e le legittime aspettative di coloro su cui ricadono gli effetti. Queste pronunce, lungi dall’essere l’esempio di un atteggiamento oscillante, quasi schizofrenico, della Corte, evidenziano che essa usa in maniera strumentale tutti i principi generali finora citati (certezza del [continua ..]
(Segue). L’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche comporta anche la necessità di assicurare l’accessibilità degli atti, intesa come facilità di conoscenza, di accesso e di reperimento [33]. In questa prospettiva, i giudici si sono focalizzati su aspetti di natura redazionale degli atti, verificando che gli stessi fossero dotati dei requisiti di chiarezza e precisione [34], sia nelle disposizioni di carattere procedurale [35] che in quelle di carattere sostanziale [36]. Secondo la Corte, finanche gli atti di soft law devono presentare tali requisiti [37]. Un elemento fondamentale per garantire la chiarezza e la precisione dell’atto è la corretta indicazione della base giuridica [38]. Poiché gli atti comunitari devono essere adottati in conformità alle norme del Trattato vigenti al momento della loro adozione, «sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto prendere in considerazione, per determinare la base giuridica di un atto …, un’asserita evoluzione dei rapporti fra istituzioni che non sia ancora sancita dai testi normativi o che risulti dalle disposizioni di un Trattato non ancora entrato in vigore» [39]. In pratica, secondo la Corte, il principio di certezza del diritto deve costituire, in fase di redazione degli atti, una guida per i decision makers, non solo comunitari ma anche nazionali. In particolare, questi ultimi, in fase di trasposizione delle direttive devono assicurare «un’attuazione che risponda pienamente alle esigenze di chiarezza e di certezza delle situazioni giuridiche volute dalle direttive stesse» [40]. La normativa interna di trasposizione, oltre ad avere carattere vincolante [41], non deve essere generica [42] o ambigua [43], ma – anzi – deve essere formulata in maniera non equivoca, affinché gli interessati possano conoscere i propri diritti ed obblighi in modo chiaro e preciso e i giudici possano garantirne l’osservanza [44]. Oltre che in fase di elaborazione degli atti, la certezza del diritto deve essere garantita anche nella loro interpretazione e applicazione. In questa prospettiva, il principio deve fungere da guida non solo per i decision makers ma anche per i giudici, comunitari e nazionali. Quanto ai primi, nell’interpretazione di un atto [continua ..]
A partire dagli anni ’90, sulla scia della nuova linfa che animava il processo di integrazione europea in vista del completamento del mercato interno, la Corte ha prestato una sempre maggiore attenzione alla corretta attuazione degli atti comunitari. In questa prospettiva, essa ha cercato di assicurarsi che quegli stessi principi che dovevano guidare l’attività delle Istituzioni fossero rispettati anche negli ordinamenti interni. E proprio il principio di certezza del diritto è stato applicato dalla Corte per verificare la capacità dei sistemi nazionali di garantire alle posizioni giuridiche di derivazione comunitaria una tutela equivalente a quella assicurata a livello nazionale [52] e soprattutto una tutela effettiva. Il percorso è stato graduale. Nella sentenza Peterbroeck, la Corte ha affermato che «ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali … il principio della certezza del diritto» [53]. Successivamente, la Corte ha specificato che disposizioni, come i termini di ricorso, che costituiscono applicazione del principio di certezza del diritto rispondono “transitivamente” all’esigenza di effettività della tutela [54]. Nelle pronunce successive, poi, la massima di cui alla sentenza Peterbroeck appare espressamente collegata al principio di effettività [55]. L’attenzione per il rispetto negli ordinamenti interni dei principi cardine della Comunità di diritto è divenuta ancora più forte in seguito al Trattato di Amsterdam e al riconoscimento esplicito, all’art. 6, §1 TUE, che l’Unione si fonda sul rispetto dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto. Infatti, per quanto l’art. 7 TUE abbia stabilito solo un meccanismo di controllo politico, la Corte di giustizia ha voluto fornire il proprio contributo, in particolare, procedendo a verificare se negli ordinamenti interni i principi fondamentali dello Stato di [continua ..]